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Giornalismo digitale: piccolo è bello ma quanto è difficile avere successo
(Innovazioni e paradossi di una ‘’rivoluzione’’ ancora in cerca di un modello economico/3)

Siti di nicchia e informazione locale e iperlocale: il titolo del terzo capitolo di ”The Story so far”, che pubblichiamo oggi, aggiunge nel titolo: ”il vantaggio di essere piccoli”. Ma mostra come sia difficile gestire questo vantaggio e come il passaggio dalla teoria alla pratica sia irto di problemi – Soprattutto per la la sproporzione di fondo tra i costi di produzione dell’ informazione locale e i ricavi limitati dal basso peso quantitativo del pubblico potenziale e dal basso livello dei prezzi delle inserzioni (oltre che dalla pressione della cultura editoriale tradizionale, difficile da contenere e ancora più difficile da sradicare) – Le difficoltà di TBD, i calcoli ‘’scientifici’’ di Patch, i sostanziali fallimenti dei siti iperlocali lanciati dal New York Times e dal Washington Post mostrano che non è stato ancora prodotta una dimostrazione concreta sul piano commerciale della teoria secondo cui il valore aggiunto starebbe nel prestare maggiore attenzione alla propria comunità –  Alla fine, conclude il Rapporto, definire e attirare un pubblico selezionato è necessario, ovviamente, ma non sufficiente, ma acquisire quel pubblico con un budget limitato è ciò che differenzia le iniziative di successo da quelle perdenti

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Specializzarsi o localizzarsi. Era l’ indicazione che già nel 2006 aveva lanciato una Ricerca della Kennedy School of Government di Harvard sulla  “creazione di valore” nel giornalismo. Perché, spiegava il Report, “dato l’ aumento della gamma di fonti di informazione, le maggiori possibilità di accedere a contenuti da ogni luogo e in ogni momento e le esigenze di creare forti legami che portano a consumatori fedeli, l’ editoria giornalistica dovrà allontanarsi da quel prodotto informativo sfocato, quel un qualcosa-per-tutti, in stile taglia unica, tipico della seconda metà del ventesimo secolo”.

Dunque siti di nicchia e informazione locale e iperlocale. Il titolo del terzo capitolo di ”The Story so far”, che pubblichiamo oggi, aggiunge nel titolo: ”il vantaggio di essere piccoli”. Ma mostra come sia difficile gestire questo vantaggio e come il passaggio dalla teoria alla pratica sia irto di problemi.

Gli autori partono dal ridimensionamento di un grosso sito a vocazione locale come TBD per far emergere uno dei nodi più complessi della transizione all’ editoria digitale: la sproporzione di fondo tra i costi di produzione dell’ informazione locale e i ricavi limitati dal basso peso quantitativo del pubblico potenziale e dal basso livello dei prezzi delle inserzioni. Oltre che dalla pressione della cultura editoriale tradizionale, difficile da contenere e ancora più difficile da sradicare.

Una situazione che altre iniziative stanno cercando di affontare mettendo a punto strategie più mirate. Che però ancora non hanno messo a fuoco un modello consolidato.

Ad esemopio Patch, il network di siti locali presenti in circa 700 comunità e contee (marzo 2011), acquistato nel 2009 da una AOL in dificoltà che si è trovata invece l’ editore che ha assunto più giornalisti negli ultimi due anni in tutti gli Stati Uniti. Ogni sito di Patch infatti è diretto da un redattore locale pagato dai 40.000 ai 50.000 dollari all’ anno, che coordina informazioni e notizie scritte e curate da persone di quella stessa comunità.

La caratteristica di Patch è che i siti vengono scelti accuratamente, quasi ”scientificamente” – la sua formula tiene conto per ogni cittadina di 59 fattori, dai guadagni medi all’affluenza elettorale -, e sono però sostenuti da una forte struttura centrale  fra cui un grosso staff pubblicitario interno, addetti alle vendite con buoni contatti con i brand nazionali e una sofisticata tecnologia di sviluppo di motori di ricerca per massimizzare la produttività e la durata – e quindi il ritorno economico – di ogni elemento di contenuto che viene prodotto.

Le nicchie

Si tratta della stessa infrastruttura che sostiene il gruppo crescente di siti di contenuti di nicchia o “verticali” di AOL , assicurato da acquisti quali il blog di arti marziali MMAFighting.com, il sito specializzato in nuove tecnologie TechCrunch e infine l’ Huffington Post, in continua espansione, che AOL ha comprato nel 2011 per 315 milioni di dollari.

Ecco – spiegano gli autori – la logica di fondo di AOL è chiara: in un mondo in cui la maggior parte delle notizie quotidiane sono diventate merce, solamente le notizie che la gente non riesce a trovare da nessuna parte si imporranno a un pubblico fedele. Ma non si tratta certo di una intuizione originale tra gli analisti di media, che già alla fine degli anni ’90 avevano indicato ad esempio le notizie finanziarie come un esempio dei pochi tipi di informazione per cui la gente e gli inserzionisti sarebbero disposti a pagare nell’online.

Naturalmente – osserva il Rapporto -, non tutte le testate possono essere il Financial Times o il Wall Street Journal, con una competenza a lungo coltivata in un genere di informazione di grande valore e in continuo aggiornamento. Per gran parte delle testate digitali la scelta più evidente per “aggiungere valore” risiede nel prestare maggiore attenzione alla propria comunità.

Ma, appunto, questa è la teoria. E TBD, Patch, i siti iperlocali lanciati dal New York Times e dal Washington Post, e molti altri come questi, non hanno ancora prodotto una dimostrazione pratica sul piano commerciale di questa teoria .

Chi ha avuto successo?

L’ elenco delle iniziative che hanno avuto successo nel campo dell’ informazione locale online non è cambiata molto negli ultimi anni. Esso comprende soprattutto piccoli siti di comunità di base. Se vengono tolte dalla lista le iniziative non profit con un significativo appoggio finanziario di base, come il MinnPost o il Voice of San Diego, la lista si riduce a Baristanet, Alaska Dispatch, The Batavian, West Seattle Blog e pochi altri.

Queste iniziative variano per quel che riguarda i business model e il genere di giornalismo che producono. Ciò che li accomuna sono le risorse limitate, la copertura limitata e nessuna pretesa di ottenere un rendimento analogo a quello dei loro coetanei maggiori. Meno risorse  certo, ma nemmeno i costi dei siti di informazione locale finanziati da giornali affermati o grandi emittenti  televisive.

Delle indicazioni molto chiare emergono dalle esperienze di Baristanet, Batavian e Alaska Dispatch. Innanzitutto, tutti e tre i siti hanno adottato un sistema di determinazione dei prezzi pubblicitari basato sul ciclo dei giorni, che produce entrate maggiori di quelle che ci si potrebbe aspettare attraverso il sistema delle impression. I prezzi bassi, il passaparola sull’ efficacia del sito e il senso di appartenenza alla comunità assicurano agli inserzionisti dei criteri di valorizzazione che un inserzionista nazionale d’acchito sarebbe portato a rifiutare.

Ma – rilevano gli autori del Rapporto – sarebbe un errore vedere in questi esempi una formula che qualsiasi iniziativa locale può replicare semplicemente chiedendo a dei negozianti qualche centinaio di dollari ogni mese. Ognuno di questi siti ha riempito un vuoto quando è stato lanciato e la sua posizione non è stata scalfita da eventuali concorrenti.

La loro vera impresa è stata quella di aver costruito un pubblico abbastanza grande a basso costo.

Lo stesso discorso vale per siti di nicchia o “verticali”, che si rivolgono ad un particolare segmento demografico o a specifiche “comunità d’interesse”, piuttosto che ad un’ area geografica, come il  DailyCandy, la newsletter di costume e consumi, una sorta di Lucky dell’ online.

Conclusioni

In senso generale, l’esperienza del successo di siti locali e di nicchia conferma il giudizio secondo cui nel panorama ipercompetitivo odierno le iniziative nel campo dei media devono “specializzarsi o localizzarsi”. Ma solo una minima parte delle testate online che portano avanti questa strategia alla fine ha successo. Definire e attirare un pubblico selezionato è necessario, ovviamente, ma non sufficiente. Acquisire quel pubblico con un budget limitato è ciò che differenzia le iniziative di successo da quelle perdenti.

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Capitolo 3 – Locale, iperlocale, nicchie: i vantaggi di essere piccoli

(Introduzione e Capitolo 1 qui; Capitolo 2 qui)

(La traduzione del Rapporto è a cura di: Valentina Barbieri, Elena Bau, Stefania Cavalletto, Claudia Dani e Andrea Fama).

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