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Giornalismo digitale: il potere dell’ aggregazione
(Innovazioni e paradossi di una rivoluzione ancora in cerca di un modello economico/6)

Pirateria o rispettabile nuovo modello economico? Il sesto capitolo di ”The story so far” è dedicato all’ analisi dell’ aggregazione e degli aggregatori, a partire naturalmente dal più famoso e ”ricco”, l’ Huffington Post, cresciuto impetuosamente e diventato, almeno per bacino di utenti, un grosso concorrente del New York Times –  L’ HuffPo, racconta il Rapporto della Columbia,  ha insegnato a molte testate a ”capire il fascino dell’ aggregazione, la sua capacità di dare risalto a voci altrimenti inascoltate”, così come i suoi costi minimi, ma è stata anche al centro di critiche feroci e di accuse aperte di sfrontata pirateria – In realtà, rilevano gli autori, la maggior parte dei siti di informazione  pubblicano delle combinazioni di resoconti originali, aggregazioni e commenti o evidenziando storie già presentate in altri siti –  In ogni caso il successo può andare solo a quelle testate che svolgono questa funzione in modo ricco e intelligente potenziando i materiali, come fa l’ HuffPo, un miscuglio di social media, presentazioni dinamiche, foto e grafici – Queste tecniche possono portare a risultati molto apprezzati, ma anche a forti critiche e attacchi, soprattutto da parte degli editori tradizionali, che si sentono ”saccheggiati” e sfruttati – Sul piano economico i benefici dell’ aggregazione e dell’essere aggregati possono significativi, anche se differiscono notevolmente da un sito all’altro. Dal momento che l’aggregazione è molto più economica della produzione di contenuti originali, essa comporta un vantaggio economico automatico, anche se questo porta in campo un numero molto più elevato di concorrenti – E a questo punto l’essere un semplice aggregatore è difficilmente garanzia di sicurezza economica

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In soli sei anni, Arianna Huffington ha trasformato il sito da un abbozzo di progetto a un vero e proprio concorrente – almeno per bacino di utenti- del New York Times. L’ HuffPo ha approfondito e perfezionato non solo il meccanismo dell’ aggregazione, ma anche l’ utilizzo dei social media, i commenti dei lettori, e più in generale, il senso di ciò che vuole il suo pubblico. In questo processo, l’ Huffington ha aiutato le testate giornalistiche, vecchie e nuove, a capire il fascino dell’ aggregazione: la sua capacità di dare risalto a voci altrimenti inascoltate, di riunire e soddisfare una platea fortemente impegnata, così come i suoi costi minimi se paragonati alle risorse spese nella tradizionale e laboriosa attività di raccolta di contenuti originali.

Tuttavia, il modello dell’ HuffPo ha provocato anche critiche feroci. Tra gli altri, Bill Keller, direttore esecutivo del New York Times, che, come il Capitano Renault in “Casablanca”, appare scioccato dal successo dell’ aggregazione. “Troppo spesso l’ aggregazione diventa prendere le parole scritte da altre persone, impacchettarle sul proprio sito web e raccoglierne i guadagni che altrimenti dovrebbero andare ai creatori originali dei materiali”, ha scritto Keller. “In Somalia questo sarebbe chiamato pirateria. Nella sfera dei mezzi di comunicazione è un rispettabile modello economico.”

In realtà – osservano gli autori – quasi tutti i siti d’ informazione online adottano qualche forma di aggregazione, con collegamenti a contenuti apparsi altrove o evidenziando storie già presentate in altri siti. Un’ analisi dei 199 principali siti d’ informazione condotta dal Pew Project for Excellence in Journalism ha scoperto che la maggior parte di essi aveva pubblicato delle combinazioni di resoconti originali, aggregazioni e commenti, e che il risultato finale si discostava notevolmente a seconda della strategia di gestione adottata, dalla storia del sito e del budget a disposizione.

Il Progetto ha classificato 47 dei siti osservati come aggregatori/commentatori e 152 come creatori (in prevalenza) di contenuti originali.

I siti con contenuti originali hanno risultati leggermente migliori nella capacità di trattenere i visitatori per maggior tempo e nel condurli attraverso  diverse pagine Web, ma è difficile immaginare che tale lieve maggior impegno sia sufficiente per coprire i costi di produzione dei contenuti originali..

E poi – rileva il Rapporto – i link da altri siti o i motori di ricerca sono tra i modi più economici ed efficaci per portare nuovi utenti. Anche i più grandi fornitori di notizie, come Time.com o CNN.com, apprezzano quello che i grandi numeri di Youtube o di Google News possono fare per aumentare il traffico e le entrate pubblicitarie.

Nell’ era digitale, in fondo, non è molto diverso da qello che accadeva prima: Le testate giornalistiche hanno sempre mescolato materiale preso da una varietà di fonti, combinando i contenuti editoriali prodotti dalla redazione, e quelli delle agenzie di stampa e dei collaboratori esterni; aggiungendo le inserzioni pubblicitarie e distribuendo poi il pacchetto ai consumatori.

Semmai le testate che fanno aggregazione digitale possono avere successo quando svolgono questa funzione in modo ricco e intelligente, fornendo accesso immediato ai contenuti provenienti da altre fonti, e generano valore offrendo ai consumatori tali materiali in modo efficace.

Personalizzazione e ”raccomandazioni”

Le possibilità di personalizzazione e di ”raccomandazuione”, attraverso il tracciamento delle abitudini degli internauti, sono un’ altro elemento importante di questi nuovi territori editoriali. Anche l’ Huffington Post ha iniziato con l’ applicazione di algoritmi per la scelta dei materiali da aggregare, ma affidandone la gestione a dei redattori che impostano le priorità e poi rimaneggiano gli articoli, sintetizzandoli o realizzando diverse versioni della stessa storia. HuffPost potenzia lo schema con un miscuglio di social media, presentazioni dinamiche, foto e grafici. Queste tecniche possono portare a risultati molto apprezzati, ma anche a forti critiche e attacchi, soprattutto da parte degli editori tradizionali, che si sentono ”saccheggiati” e sfruttati.

L’ intervento umano nella scelta e nella riedizione dei materiali utilizzati acuisce questa ostilità e il risentimento dei proprietari dei contenuti ”rubati” spesso raggiunge livelli molto alti come nel caso di Newser.com, in cui  brevi riscritture di informazioni tratte da vari altri siti e presentate con un design che enfatizza l’aspetto grafico e utilizza uno slogan molto urlato “Leggere di Meno, Conoscere di Più.” e che si si propone di limitare i suoi articoli a 120 parole.

“La maggior parte del lavoro redazionale è dedicata a individuare quali vicende riprendere” spiega uno dei fondatori, Patrick Spain,  “E dobbiamo identificare le due o tre fonti principali da utilizzare per stendere l’ articolo.”. “Se sei un consumatore – chiede Wolf – perché dovresti servirti da un’unica fonte?” Il New York Times, aggiunge, ”un tempo considerato come un ampio punto di vista sull’ informazione”, ora viene visto come “provinciale e limitato”.

Ma c’è anche il caso di siti – come il Nymag.com –  che producono contemporaneamente articoli originali e materiali aggregati, curando molto alcuni settori di nicchia, come ristoranti e viaggi, che producono un forte interesse.

Ma sul piano economico?

I benefici economici dell’aggregazione e dell’essere aggregati possono significativi, anche se differiscono notevolmente da un sito all’altro.

Dal momentoche l’aggregazione è molto più economica della produzione di contenuti originali, essa comporta un vantaggio economico automatico, anche se questo porta in campo un numero molto più elevato di concorrenti.

E a questo punto l’essere un semplice aggregatore è difficilmente garanzia di sicurezza economica.

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Capitolo 6 – Aggregazione: ”sfrontata” ed essenziale

(Introduzione e Capitolo 1 qui;
Capitolo 2 qui;
Capitolo 3
qui;
Capitolo 4 qui);
Capitolo 5 qui)

(La traduzione del Rapporto è a cura di: Valentina Barbieri, Elena Bau, Stefania Cavalletto, Claudia Dani e Andrea Fama).

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