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Che cos’ è il giornalismo? E’ obsoleto, è inutile, è morto? O si sta solo evolvendo?

Quattro recenti  vicende accompagnate da fiumi di inchiostro (e di bit) hanno sollevato gli interrogativi sul giornalismo che ciclicamente si ripropongono – In questo caso sono in particolare  gli ‘’atti di giornalismo’’ possibili da parte di non-giornalisti al centro della discussione, che soprattutto negli Usa ha avuto toni molto accesi – Alla fine pesano le parole sagge, come sempre, di Jeff Jarvis: ‘’ dobbiamo discutere, discutere a fondo ogni asserzione: che cosa il giornalismo è, chi lo fa, come si produce del valore aggiunto, come si costruisce e si mantiene la fiducia, quali sono i modelli economici. Sarà importante riconsiderare la parola giornalismo, visto che trasporta con sé più bagagli di un aereo di linea’’ – Il dibattito, come auspica Jarvis, è intenso e Lsdi cerca qui di indicarne alcuni dei passaggi principali

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Quattro recenti  vicende di fortissimo impatto mediatico – Michael Arrington, fondatore di Tech Crunch, che annuncia la costituzione di un Fondo di investimento che dovrebbe sostenere le start-up, comprese alcune di quelle di cui il suo staff ha scritto e parlato; lo scandalo di Henry Blodget, grosso imprenditore finanziario, per l’ uso improprio delle informazioni ottenute dalle sue fonti; gli ultimi sviluppi del caso WikiLeaks; e infine l’ enorme ”bolla” giornalistica dell’ urgano Irene – hanno scatenato  un dibattito che ha visto alcuni dei più noti  commentatori in materia di media, soprattutto americani, porre (con tutti i rischi di retorica che argomenti del genere comportano)una serie di interrogativi complessi – vecchi e nuovi – sul giornalismo e i giornalisti.

Non sono domande da poco.

Che cos’ è il giornalismo? si chiede Jeff Jarvis.
Il giornalismo che conosciamo è diventato obsoleto?, fa Mathew Ingram, citando Dave Winer
Non sarebbe il caso di cominciare a pensare al giornalismo come a una ”utility”?,osserva Aaron Holesgrove.
E, naturalmente, il solito dubbio necrologico:  Il giornalismo è morto?. Con la risposta, anch’ essa prevedibile, ‘’no, sta solo cambiando’’.

Conclusioni (provvisorie): fare degli ”atti di giornalismo” è ormai alla portata di tutti, farne la propria professione richiede una dose di abnegazione e un investimento senza precedenti. Ma ne vale la pena.

Vediamo un po’.

Il chi e il cosa

Il giornalismo – dice Jarvis sul suo buzzmachine – aiuta una comunità a organizzare la sua conoscenza. Io penso che una comunità, ora, può condividere le sue informazioni senza aver bisogno di noi, e quindi noi giornalisti ci dobbiamo chiedere come possiamo aggiungere valore a questo scambio.

Penso – aggiunge Jarvis – che sia un errore definire il giornalismo attraverso chi lo fa, visto che chiunque può compiere un atto di giornalismo. Chiunque può condividere informazioni.

Usando questa definizione sia Arrington che Blodget hanno fatto degli atti di giornalismo raccogliendo e diffondendo informazioni. L’ informazione in tv forse è meno efficace. Ma Wikileaks forse è troppo efficace.

Allora, cosa diavolo è il giornalismo? Dave Winer dice che ”il giornalismo in se stesso è diventato obsoleto”. Mathew Ingram rincara la dose domandando se per caso il giornalismo sia diventato obsoleto perché nessuno può più farlo.

L’ informazione – osserva Jarvis – viene, sempre di più, da non giornalisti che non hanno firmato nessun patto’’. La chiave, come ha replicato Chris Tolles su Topix, ‘’è proprio questa. Il giornalismo non è  più il controllore. Le proteste dei giornalisti su questo versante sono puro e semplice protezionismo corporativo’’. Ma è proprio questo il rischio di fare delle norme: esse sono, in tutti i sensi della parola, limitanti.

Ma allora, cos’ è questo Giornalismo, dannazione?

Non lo so.

So che le persone possono scambiare informazioni e conoscenze più facilmente di prima. Credo che ci sia bisogno di qualcuno che aggiunga valore aggiunto a questo scambio. Spero che quel ‘’qualcuno’’ possa essere un giornalista che userà risorse preziose solo per aggiungere valore. Prego affinché i loro sforzi possano essere sostenibili (che significa che possono sopravvivere; è per questo che faccio quello che faccio nel campo del giornalismo imprenditoriale). Ma penso che dobbiamo discutere – non respingere ma riconsiderare – ogni asserzione: che cosa il giornalismo è, chi lo fa, come si produce del valore aggiunto, come si costruisce e si mantiene la fiducia, quali sono i modelli economici. Sarà importante riconsiderare la parola giornalismo, visto che trasporta con sé più bagagli che un aereo di linea.

Jay Rosen, come riporta Jarvis, commenta:

‘’Gli utenti non si preoccupano più di tanto per il ‘giornalismo’. E’ solo il nome che chi fa quelle cose ha assegnato a quel lavoro. Notizie, informazioni, ‘ultimi avvenimenti’, aggiornamenti, sistemi di alert, ecc. mi dicono tutto quello che ho bisogno di sapere… Sì. Le persone si preoccupano di queste cose. Del giornalismo? Non molto’’.

Giusto – risponde Jarvis -. Il problema di che cosa sia o meno il Giornalismo è un problema che si pongono i giornalisti. Non ha niente a che vedere con le questioni che si pone la gente. E il lavoro dei giornalisti, ritengo, sia di rispondere alle domande del pubblico. O no?

Jarvis aggiunge una  ‘’interessante prospettiva’’ posta su  Google+ da David Sass:

Io penso che il giornalismo non sia altro che un concetto accademico – come le forme di Platone – che non è mai realmente esistitito se non, in maniera vaga, nei testi accademici di Scienze politiche. La realtà è che io ricevo informazioni da varie fonti – osservazione diretta, amici, intrattenimento, politici, governo, media, propagandisti. Il giornalismo è la credenza ingenua che si possa fare affidamento su qualcuna di queste fonti più che su un’ altra.  L’ informazione non viene certificata da NESSUNA fonte. Pensarla diversamente è abdicare alla propria individuale responsabilità di cercare la verità.

Il giornalismo diventa obsoleto?

Su Gigaom Mathew Ingram risponde a Dave Winer – che, di fronte al caso Arrington (il quale  comunque non si è mai definito giornalista), si chiedeva se il giornalismo non stia diventando ‘’obsoleto’’-, che ‘’per certi versi ciò è possibile’’. Una cosa è certa – aggiunge -: il giornalismo è stato trasformato dal web e dai network dell’ informazione in tempo reale, cosa che Om chiama la “democrazia della distribuzione.” Se questo sia un bene o un male dipende dai punti di vista.

Per Winer il caso Arrington mostra che il Giornalismo come lo conosciamo sta diventando obsoleto, in parte perché  un non-giornalista ora può fare facilmente quello che fa un giornalista. La questione è che il giornalismo era ‘’una risposta ai forti costi della stampa’’.

Costava un sacco di soldi diffondere bit nella rete prima che ci fosse una rete. Bisognava avere delle grossi capitali per impiantare le tipografie e mettere insieme una flotta di furgoni e un bel gruppo di persone per la distribuzione. Ora invece possiamo ascoltare direttamente le fonti e costruirci il nostro personale network di Informazione. E’ appena cominciato… ma nel giro di una generazione o due non avremo più bisogno di persone che raccolgono le notizie per noi. Funzionerà diversamente.

Ma – dice Ingram – invece di dire che il giornalismo è obsoleto, direi piuttosto che  si sta evolvendo ed espandendo – e spenso che sia una buona cosa. In che consiste attualmente? Gran parte delle cose che faceva prima e in più alcune cose nuove: costruire connessioni con la comunità dei lettori è un compito giornalistico così come la ‘curation’ (come sta facendo ad esempio il New York Times col suo account su Twitter) lo è. E abbiamo ancora bisogno di persone per avere conferma sui fatti e scoprire la disinformazione, che è ad esempio quello che fa Snopes, uno dei migliori siti di giornalismo non-giornalistico.

Abbiamo bisogno di persone che intervistino alter persone per dare un senso a quello che dicono – che è il motivo per cui  Reddit ha alcuni aspetti di giornalismo, e Quora idem (proprio Winer recentemente si chiedeva perché  il New York Times hnon avesse ancora adottato un approccio tipo  Quora). Tutte queste e altre capacità sono ancora necessarie e richieste, come l’ abilità di aggregare le cose in maniera intelligente, o di capire e dare un senso alle enormi quantità di dati.

Il giornalismo – conclude Ingram – soffrirà per il fatto che qualcuno è in conflitto di interessi o abusa delle fonti anonime oppure infrange qualcuna delle cosiddette regole della professione? Non direi. La maggior parte dei giornali più popolari e delle testate giornalistiche alla fine degli anni ’50 hanno fatto tutto quello, e ancora peggio (sì, anche peggio dello spionaggio telefonico illegale della News Corporation). I quotidiani possono andare e venire e i blogger crescere e cadere, ma il giornalismo continua – non tanto come istituzione, ma come uno stato della mente, una serie di convinzioni e un modo di comportarsi.

E, ora, ci sono molti più modi per farlo,  nel bene e nel male.

Il giornalismo come una utility?

E’ il momento di cominciare a pensare in questi termini, sostiene su Business insider Aaron Holesgrove, un blogger australiano (senza aspirazioni professionali nel giornalismo, giura) che cura il sito OzTechNews.com.

Le utilities come l’ elettricità o l’ acqua sono caratterizzate dal fatto di essere essenziali per la vita quotidiana delle persone e – sostiene – I professionisti che operano in quell campo hanno bisogno di una opreparazione specifica seria per tutelare l’ integrità di quelle stesse utilities.

Potrà sembrare un po’ una estremizzazione – aggiunge – Holesgrove, ma non mi sembra scorretto dire che anche l’ informazione giornalistica è un Servizio essenziale per qualsiasi persona sul pianeta e che è potenzialmente pericoloso quando un non giornalista oltrepassa le regole non scritte di una pratica professionale accettabile diffondendo disinformazione e non controllando le fonti. Per noi lettori, soprattutto online, è arduo dire la differenza fra un giornalista format professionalmente e uno che pretende di esserlo senza aver avuto nessuna preparazione.

E quindi – osserva – perché non immaginare per i giornalisti una ‘’certificazione’’ specifica fornita da un organismo giornalistico non commerciale?

Una iniziativa del genere – aggiunge – darebbe grandi vantaggi ai giornalisti certificati rispetto a non giornalisti come quelli di Tech Crunch? Sì, certo, ma il punto pè proprio questo. Tutti sono sconvolti dalla vicenda delle divulgazioni fatte da Arrington perché sentono che è importante fornire alle persone i fatti per come sono prima di offrire dei pareri su di essi. Mi pare – conclude – abbastanza corretto.

Un neo-giornalismo in presa diretta

E’ il titolo di un ampio articolo sulla vicenda pubblicato da Damien Van Achter su Owni.fr.

Dave Winer, pioniere del web e abitué di Harvard – osserva l’ autore –  pensa che sia il giornalismo in sé stesso a essere diventato obsoleto.  Non è solo la funzione, ma il concetto in sé di intermediario dell’ informazione che è sul punto di andare in frantumi.

Secondo Winer:

Prima che arrivasse internet era molto costoso trasportare l’ informazione fino ai consumatori finali: c’ era bisogno di un buon capitale, di rotative, di tonnellate di carta e di una flotta di camion e di strilloni. Ormai gli utenti del digitale possono mettersi in ascolto di qualunque fonte e crearsi i propri punti di riferimento informativi. Non siamo che all’ inizio ma in una o due generazioni nessuno più delegherà ad altri la cura della scelta delle ‘’buone’’ informazioni che lo interessano. Tutto funzionerà diversamente.
La mutazione irreversibile del DNA del giornalismo
CklueLa “democrazia della distribuzione“, come la chiama Om Malik, sta per modificare il Dna del giornalismo con una potenza fenomenale. Le conversazioni tra individui connessi stanno per realizzare la profezia del Cluetrain Manifesto (che è comunque del 1999). Sono diventate il mercato. Nel 2011, se una informazione è importante per uno di questi individui, non è sul tg della sera o sul giornale del mattino che l’ apprenderà, ma tramite i suoi ‘’amici’’ sui loro blog, su Facebook o su Twitter. Conta soltanto la fiducia che egli pone nei componenti del suo grafo sociale (l’ insieme delle connessioni che lo riguardano), e questa fiducia non si acquisisce con la sola presentazione del tesserino da giornalista.

La speculazione sul mercato dei bit di informazione non è mai stata così elevata. I pacchi di dollari che alcuni sono capaci di mettere sulla tavola, per detenere un pizzico di Facebook o di Groupon, lo dimostra a volontà. Il valore non sta più nelle aziende di produzione di contenuti. Un articolo, per quanto sia buono e pertinente, non vale più niente, letteralmente. Se non viene distribuito e diffuso dalle reti di individui interconnesse, la sua esistenza nel migliore dei casi li limiterà ad essere disponibile per un po’ attraverso un motore di ricerca interno, fino a quando il sito effettuerà la ‘’purga’’ dei suoi server ‘’per fare un po’ di posto’’, come si invia al macero le copie invendute dei giornali.  .

Per Clay Shirky,  “non sono i giornali che bisogna salvare, ma il giornalismo’’. A condizione di includervi gli altri supporti e di accordarsi su che cosa è ancora il giornalismo…

Cercare di definire il giornalismo somiglia a spalare la neve mentre sta ancora cadendo. Chiunque però sarà d’ accordo sul fatto che la ricerca di senso nella nostra piccola esistenza è un’ attività che merita l’ unione di più persone, se non vogliamo lasciarci intossicare dai messaggi teleguidati dei comunicatori di ogni razza.

Perché è senza dubbio qui che sta il principale interesse nel ‘’salvare il giornalismo’’, questa arte nobile e a volte marziale, perché ha bisogno  che le energie e la forza di ciascuno vengano tutte canalizzate per guardare, e toccare con mano. E sarebbe uno sciocco chi pretendesse di detenere la chiave magica che apre tutti i chakra del mostro mediatico. Per lo meno, centrare nuovamente, senza fermarsi, il mestiere sull’opera ci permetterà di avvicinarsi ai nodi gordiani che fanno e disfano la reputazione di questi nuovi intermediati dell’informazione.

Il giornalismo soffrirà di conflitti di interesse, di abusi di potere o di forme multiple di deviazione dalle leggi (sedicenti) intoccabili che reggono l’ esercizio di questa professione che verrebbero provocate da queste nuove forme di distribuzione dell’ informazione? Veramente no, spiega  Mathew Ingram.

Nel corso degli ultimi 50 anni, i media tradizionali si sono già resi colpevoli di tutte le turpitudini possibili (le intercettazioni illegali della News Co. Ne sono solo l’ ultimo esempio). I giornali nascono e muoiono, I blogger crescono e poi spariscono, ma il giornalismo continuerà ad esistere; non tanto come istituzione ma piuttosto come una stato dello spirit, un catalogo di coinvinzioni e di comportamenti che ad esse si adattano. Ci sono molti modi diversi di fare del buon e del cattivo giornalismo.

Sì, fare degli atti di giornalismo è ormai alla portata di tutti, farne la propria professione richiede una dose di abnegazione e un investimento senza precedenti. I media che hanno finalmente capito che il loro ecosistema stava per cambiare radicalmente stanno cercando di reinventarsi, piazzando senza paura la via digitale al centro della loro strategia.  Quello che 5 anni fa sembrava una evidenza ora sta diventando sempre più una urgenza, un si salvi chi può, a volte, bisogna dirlo, anche un po’ pietoso.

Una delle scialuppe di salvataggio – secondo Van Achter – è reinvestire nel potenziale umano, nella ricchezza degli individui che affrontano venti e maree per vivere del loro giornalismo. Farli diventare forti e potenti grazie al controllo degli strumenti, attirare progressivamente su di essi i fari dell’ attenzione anche prima che essi comincino a preoccuparsi della loro redditività. Ma soprattutto non eludere questo obbligo, senza di cui non potranno mai godere veramente di una qualsiasi indipendenza di spirito e di azione.

Diventare giornalista? C’ è un business plan da preparare !

Non è quindi una sorpresa vedere delle scuole (di giornalismo, ma non solo) come la Columbia o la CUNY a New York, dedicare dei corsi interi di formazione alle dinamiche messe in atto dalle ‘’roto-piattaforme’’ costituite ormai da Google, Facebook, Twitter, LinkedIn, Foursquare,Tumblr e compagnia.

E non è sorprendente, quindi, veder emergere delle nuove linee di formazione dedicate alla costruzione e alla gestione della propria identità giornalistica e al suo finanziamento; o, ancora, delle sessioni di studio dedicate interamente all’ uso del codice html o allo sfruttamento dei data base.

Intraprendere una carriere giornalistica nel 21° secolo – conclude Van Achter – è un investimento che va pianificato, un business plan che si costruisce via via, un ideale che si concretizza ben al di là di mettere in tv il proprio mezzo busto o la propria firma in calce a un articolo.

Come l’ uomo di Neanderthal con le selci e il fuoco, il giornalista del 21° secolo deve imparare a utilizzare gli strumenti del suo tempo per sperare di sopravvivere e di prosperare. Perché sì, preoccuparsi del giornalismo significa preoccuparsi degli individui che vi aspirano. E la migliore assicurazione sulla vita che essi possono stipulare non è un contratto a tempo indeterminato con un’ azienda giornalistica, ma un tacito rinnovo dei tanti scambi, umani e materiali, con quanti li onorano di informarsi tramite loro.

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