I ‘’misteri’’ economici del giornalismo online

Columbia

Quale tipo di giornalismo digitale è in grado di sostenere il mercato Usa, e come? E’ la domanda chiave al centro del recente Rapporto sul giornalismo online realizzaro da tre docenti della Columbia Journalism School  col titolo “The Story So Far: What We Know About the Business of Digital Journalism” – In attesa della traduzione integrale della Ricerca, a cui Lsdi sta lavorando, presentiamo un’ ampia sintesi del primo capitolo, dedicato alle questioni economiche che dominano il nuovo ecosistema mediatico digitale

Quale tipo di giornalismo digitale è in grado di sostenere il mercato Usa, e come?

E’ la domanda chiave al centro del recente Rapporto sul giornalismo online pubblicato dalla Columbia Journalism Revue col titolo “The Story So Far: What We Know About the Business of Digital Journalism”, che Lsdi presenterà fra una decina di giorni in traduzione integrale (ne abbiamo già parlato due giorni fa in relazione alla commistione fra giornalismo e pubblicità).

Il lavoro, curato da Bill Gueskin, Ava Seave e Lucas Graves, docenti e ricercatori della Columbia journalism School, affronta tutti gli aspetti del giornalismo digitale, a partire dai problemi economici che hanno scandito questi 15 anni di sviluppo tumultuoso del sistema dei nuovi media.

In particolare, i tre autori sottolineano come l’affermarsi del modello digitale non abbia soltanto trasformato il business dell’informazione, ma abbia modificato il modo stesso con cui le notizie vengono riportate, diffuse e condivise.

Ognuno di questi cambiamenti – osservano ancora – ha un proprio fondamento economico, e i media si sono rivelati talvolta lenti nel fiutare la metamorfosi, quando non sono rimasti paralizzati dall’ impatto.

Alcuni di questi cambiamenti – che a volte presentano aspetti apparentemente paradossali – vengono analizzati nel primo capitolo, dedicato specificamente all’ Economia del giornalismo digitale. Ne presentiamo un’ ampia sintesi, in attesa della versione integrale del Rapporto

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THE ECONOMICS OF DIGITAL JOURNALISM

di Bill Grueskin, Ava Seave, Lucas Graves

(da The Story So Far: What We Know About the Business of Digital Journalism)

 

 

(a cura di Andrea Fama)

Columbia2Agli inizi del 2005 Rick Edmonds, analista finanziario presso il Poynter Institute, scrisse un articolo molto dibattuto partendo da un interrogativo: quanto ci vorrà perché le entrate dei giornali digitali pareggino quelle cartacee?

Secondo le sue stime, il comparto pubblicitario digitale in USA ammontava al 3% delle entrate totali di un quotidiano medio, con un tasso di crescita digitale del 33% rispetto al più sobrio 4% della carta stampata. A questo ritmo, ci sarebbero voluti 14 anni per colmare il gap.

Sebbene molti ritenessero inverosimile un tale tasso di crescita, inizialmente lo scenario dipinto da Edmonds sembrò realistico. Nel 2005 e nel 2006 la crescita dei giornali digitali superò il 30%, salvo poi arrestarsi e tornare attualmente ai livelli del 2007. Il settore cartaceo, invece, è stato ben lontano dal registrare un segno positivo, con entrate ad oggi dimezzate rispetto al 2005.

A 15 anni dall’avvento dei media digitali è evidente che il panorama dell’informazione è stato stravolto, rivelando la vulnerabilità dei media tradizionali rispetto al Web. Ma perché la tecnologia digitale – così dirompente nella diffusione dell’informazione – non è ancora riuscita a spingere le imprese verso il profitto?

I media tradizionali, in realtà, avevano iniziato a perdere pubblico anche prima della diffusione di Internet (tra il 1990 e il 2010 i giornali hanno perso 20 milioni di lettori, passando da 62,3 a 43,3 milioni), riuscendo comunque a mantenere se non ad incrementare le entrate, in parte grazie ad una bolla pubblicitaria indotta proprio dal boom della Rete.

Per comprendere la rivoluzione copernicana digitale è necessario conoscere le ragioni per cui il business dell’informazione è rimasto profittevole così a lungo. Innanzitutto, bisogna considerare l’impatto benefico dell’industrializzazione e dello sviluppo economico, demografico e urbano, con il conseguente allargamento del mercato pubblicitario, soprattutto a livello locale. Secondo molti storici, l’affermarsi del modello pubblicitario (un’inserzione costa ben più di una copia del giornale) oltre a garantire la sostenibilità finanziaria dei giornali, ha emancipato il giornalismo rendendolo obiettivo e sempre più professionale a partire dagli anni ’20 del secolo scorso per i decenni a venire.

Ma l’incantesimo Pubblicità = Più soldi per tutti si è rotto nel 2001. La recessione frutto dell’11 settembre ha ridotto gli investimenti sia tra le media company che tra gli inserzionisti. Allo stesso tempo sono emersi nuovi competitor, determinando maggiore scelta e velocità nella distribuzione  delle notizie. E, soprattutto, si è affermata tra gli utenti l’abitudine a fruire di queste informazioni gratuitamente. Sono questi i tratti caratteristici del nuovo mondo dell’informazione digitale.

Tuttavia, l’affermarsi del modello digitale non ha soltanto trasformato il business dell’informazione, ma ha modificato il modo in cui le notizie vengono riportate, diffuse e condivise. Ognuno di questi cambiamenti ha un proprio fondamento economico, e i media si sono rivelati talvolta lenti nel fiutare la metamorfosi, quando non ne sono rimasti paralizzati dall’impatto. Di seguito riportiamo alcuni dei cambiamenti più significativi.

1. Un business diverso

  • Il digitale impone un nuovo modo  di pensare al proprio pubblico, il cui accesso all’informazione è passato, nell’arco di una sola generazione, dalla scarsità all’abbondanza. Anche i produttori di contenuti hanno oggi molte più opzioni: senza numeri di pagine o minuti di trasmissione predeterminati, i limiti dell’informazione tradizionale sono stati superati, nel bene e nel male.

Impatto: I lettori hanno molto più accesso all’informazione, spesso gratuitamente. Gli editori affrontano una competizione quasi infinita, per cui l’informazione è un bene a cui attribuire un prezzo.

  • Gli utenti si muovono verso il digitale. Secondo l’ultimo studio del Pew Research Center for the People & the Press, il 65% delle persone di età compresa tra i 18 e i 21 anni si informa su Internet, superando per la prima volta la televisione e surclassando i giornali (la percentuale scende al 34% per la popolazione tra i 50 e i 64 anni). La crescente popolarità del Web ha determinato il cosiddetto “effetto rete”, in grado di esponenzializzare il valore e la diffusione dei nuovi siti di informazione. Intanto cresce anche l’accesso da mobile, al 47% tra gli americani adulti secondo uno studio del Pew.

Impatto. Le piattaforme digitale consentono di costruire un’utenza in modo rapido e con minori costi di marketing. Il passaggio al mobile apre ulteriori orizzonti ai contenuti ed alle pubblicità targettizzate. Tuttavia, utenze più ampie non sempre si traducono in entrate più consistenti. Come rivela un recente studio di McClatchy Co., il terzo editore statunitense, nel 2010 i visitatori unici giornalieri dei siti Web del gruppo sono cresciuti del 17,3%, mentre le entrate del comparto digitale hanno registrato un ben più esiguo + 2,4%.

Il digitale consente di innovare rapidamente, determinare la propria utenza agevolmente e chiudere le imprese infruttuose con spese minime. Di fatto non servono grandi capitali: il personale è maggiormente razionalizzabile e attrezzature come antenne per la trasmissione o strumenti per la stampa non sono più necessarie.  Sports Illustrated ci ha messo almeno dieci anni a trovare la formula giusta, mentre Huffington Post meno di sei anni per passare da un’idea ad una valutazione di 315 milioni di dollari nell’acquisizione da parte di AOL nel 2011.

Impatto. Il tempo per passare da un’idea al mercato si è ridotto, aumentando significativamente l’uso efficiente delle risorse di una società. Tuttavia, la capacità di imitazione e adattamento dei concorrenti corrode l’unicità delle innovazioni rendendole difficilmente monetizzabili.

  • Le piattaforme digitali allungano la vita al giornalismo. Nell’era analogica le notizie erano effimere e non duravano un giorno oltre la data di pubblicazione o di trasmissione, condannate all’ergastolo di un archivio. Oggi i prodotti giornalistici restano accessibili per tutto il tempo che un editore desidera: non esiste più “il giornale di ieri”.

Impatto. I gruppi editoriali possono monetizzare i propri archivi attraverso servizi di abbonamento o pay-per-view, ampliando i contenuti e creando traffico ed entrate pubblicitarie. Archivi aperti sempre più ricchi, però, potrebbero rendere più difficile la ricerca delle informazioni da parte dei consumatori.

2. Contenuti e diffusione: un cambiamento fondamentale

  • Il digitale ha cancellato il modello di aggregazione rivelatosi profittevole così a lungo. Praticamente nessuno leggeva tutte le pagine di un quotidiano, eppure gli vendevano la pubblicità come se il lettore ne sfogliasse ogni singola pagina, utilizzando un moltiplicatore di 2,5 per calcolare i lettori di ogni edizione. All’epoca gli inserzionisti non avevano scelta. Ma oggi nel mondo digitale i contenuti sono atomizzati ed ogni articolo esiste indipendentemente dagli altri. Le conseguenze economiche sono devastanti per gli editori tradizionali, soprattutto perché hanno ceduto parte dei benefici derivanti dall’aggregazione a fonti quali Drudge report, Huffington Post o Google News, perdendo il potere legato ai cosiddetti “pacchetti”.

Impatto. Assemblare notizie rivolte ad un pubblico specifico è facile ed economico, a tutto vantaggio dei lettori e della varietà delle fonti. Tuttavia, gli aggregatori low-cost spesso superano i produttori di contenuti in quanto a visualizzazioni: “oggi la concorrenza è qualcuno che da via gratis i tuoi articoli”, spiega prosaicamente Aaron Kushner, un investitore che aveva tentato di acquistare il Boston Globe.

  • Oggi i giornalisti hanno lettori ovunque vi sia una connessione a Internet. Superando le barriere geografiche, l’editoria online significa che ogni articolo o video prodotto è immediatamente disponibile in ogni parte del mondo, senza costi aggiuntivi. I contenuti non rispondono più al mercato locale e sono meno vincolati dai regolamenti federali.

Impatto. Giornalisti e testate possono raggiungere ovunque i propri lettori, ampliando i mercati a costi contenuti. Naturalmente, però, l’abbattimento dei confini e l’assenza di limiti nella distribuzione fa si che la concorrenza sia senza frontiere.

  • Le piattaforme digitali consentono agli editori di contare su lettori ed utenti nel pubblicizzare e diffondere i propri contenuti. Se un tempo nel computo dei lettori venivano inclusi anche coloro che sbirciavano una rivista nella sala di attesa di un dentista (alimentando lo scetticismo degli inserzionisti in merito alle cifre finali), oggi è possibile conoscere con precisione chi  e come condivide determinati contenuti – soprattutto tramite i social network. Questo modello di diffusione consente ai giornalisti di accreditare e pubblicizzare il proprio lavoro.

Impatto. Gli editori godono di una distribuzione gratuita e di informazioni in tempo reale sulla propria utenza, a scapito del controllo di quelle piattaforme per la distribuzione che un tempo avevano generato i ricchi profitti che conosciamo. L’attuale modello di diffusione, inoltre, consente a tutti di commentare, nel bene ma anche nel male, la qualità dei contenuti.

3. Cosa sta accadendo ai consumatori?

  • Oggi è più semplice costruirsi un’audience incentrata su argomenti o interessi settoriali. Poiché in Rete tutto è istantaneamente e contemporaneamente disponibile, risulta molto più facile creare offerte di contenuti specifici per i quali trovare degli utenti, a prescindere da dove essi vivano.

Impatto. Utenze ultra-settoriali rappresentano un valore maggiore per gli inserzionisti. Tuttavia, suddividere gli utenti in troppe nicchie potrebbe generare nuove problematiche: i consumatori potrebbero non apprezzare l’idea di muoversi tra svariati produttori di contenuti, senza indicazioni di sorta sulla qualità degli stessi.

  • Gli editori hanno più informazioni sui propri lettori, in tempo reale. A fronte di un’abbondanza senza precedenti di tali informazioni – ricavabili attraverso strumenti gratuiti come Google Analytics o servizi più sofisticati quali Omniture o Chartbeat – non corrisponde un livello soddisfacente di affidabilità delle stesse (la varianza è stimata al 200% secondo secondo un rapporto del Tow Center for Digital Journalism della Columbia University). Il problema è che, a differenza di quanto accaduto con i media tradizionali, i new media non hanno ancora trovato la quadratura del cerchio in merito agli standard da adottare per calcolare  il proprio pubblico.

Impatto: I media sono in grado di misurare il gradimento dei propri prodotti e adeguare le proprie strategie al fine di ottimizzare entrate e pubblico. Tuttavia, le incertezze in merito agli standard adottai per calcolare l’audience inibiscono gli investitori.

  • Le piattaforme digitali modificano radicalmente l’esperienza del cliente, con riflessi ambivalenti per l’economia delle testate. Di fatto, il digitale consente di ottenere molte più informazioni sugli utenti, i quali, tuttavia, raramente si immergono nella fruizione del media come avveniva con le piattaforme tradizionali. Gli utenti, inoltre, spesso sono convogliati sui siti attraverso i motori di ricerca, e la loro permanenza su una determinata pagina è assolutamente volatile.

Impatto: Personalizzando contenuti e pubblicità, gli editori possono guadagnare più denaro con gli inserzionisti e maggiore fiducia con i lettori. Tuttavia, le criticità legate alla privacy possono determinare regolamenti che limitino le informazioni sugli utenti utilizzabili dagli editori. Inoltre, i lettori digitali trascorrono molto meno tempo sui siti rispetto a quello che un lettore tradizionale spendeva a leggere un giornale cartaceo, con una soglia dell’attenzione decisamente più bassa.

IV. Tagliare i costi e rastrellare le entrate

  • Il digitale stravolge il tipico modello dei media che prevede costi fissi elevati (ad esempio, la prima copia di un giornale) e costi variabili bassi (tutte le altre copie). Nel mondo digitale molti dei costi di avviamento sono eliminati e, come nel caso di blog, tendono allo zero.

Impatto: Quanto esposto è una criticità soprattutto per quelle aziende che hanno contratto debiti o speso grossi capitali per un’acquisizione dagli elevati costi fissi, a differenza delle imprese digitali concorrenti che non sono piegate da questo fardello.

  • Il digitale consente di tagliare i costi del giornalismo, soprattutto attraverso il coinvolgimento dei cittadini nella produzione di contenuti e nella partecipazione attiva estrinsecata dai commenti.

Impatto: Dal momento che i contenuti prodotti da professionisti retribuiti dell’informazione generano i contenuti gratuiti riverberati dai lettori/utenti, il costo medio necessario alla visualizzazione di una pagina tende al ribasso, a scapito di qualità, accuratezza e autorevolezza.

  • La pubblicità è trasformata dal formato digitale, e non sempre in meglio. I banner sono lontani dall’appeal di una pubblicità patinata e per estrarre un’informazione utile i lettori sono spesso costretti a cliccarci su per poi essere reindirizzati ad un altro sito – cosa che molti navigatori spesso non fanno. Alcune aziende digitali stanno apportando il valore dei contenuti alle proprie inserzioni, ma non si tratta dei media dell’informazione.

Impatto: Il digitale consente una targetizzazione e una capacità di misurazione senza precedenti. Tuttavia gli utenti non attribuiscono grande valore o utilità alla pubblicità digitale.

  • Le piattaforme digitali – soprattutto mobili – aprono nuovi orizzonti ai pubblicitari per attirare i nuovi clienti e mantenere i vecchi.

Impatto: Le media company possono promuovere le inserzioni digitali attraverso i più fruttuosi pacchetti pubblicitari tradizionali. Una simile combinazione, però, renderebbe più complessa la distinzione tra le rendite attribuibili ai diversi media.

  • Molti degli sforzi fatti per spingere i lettori a pagare per i contenuti sono stati attuati in modo erroneo e sono stati dettati da ragioni ideologiche piuttosto che economiche. I contenuti gratuiti sono stati il peccato originale del giornalismo? Forse si, giacché i gruppi editoriali sono oggi costretti a chiedere ai lettori un contributo per contenuti che sono stati gratuiti per quindici anni. Inoltre, il modello che prevede singoli pagamenti per singoli articoli non ha attecchito al giornalismo: a differenza di una canzone dei Beatles, un articolo giornalistico ha scarso valore al di là del singolo utilizzo.

Impatto: Gli utenti hanno accesso illimitato alla maggior parte dei contenuti, e gli editori hanno accesso illimitato alla maggior parte degli utenti. Le entrate derivanti dalla tiratura sono state erose e uno dei metodi usati dagli inserzionisti per valutare la qualità dell’utenza – ovvero la predisposizione a pagare – è anch’esso evaporato.

Scorrendo questo elenco risulta evidente che i gruppi editoriali hanno ben presenti gli ostacoli di natura economica posti dal mezzo digitale, mentre molti dei benefici – quali un’esplosione delle inserzioni su mobile – sono più potenziali che reali. Allo stesso tempo, stanno emergendo nuovi modelli che potrebbero sostituire alcune, se non tutte, le entrate su cui hanno fatto finora affidamento i gruppi editoriali. Sullo sfondo, giornalisti ed editori, nuovi e vecchi, stanno reagendo con modalità diverse a questo nuovo ambiente.