Sette motivi per cui i giornali Usa non riescono a risollevarsi

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Li elenca su Poynter Rick Edmonds, analista dell’ economia dei media, tracciando un quadro incerto ma non drammatico dell’ industria dei quotidiani –  La ripresa economica, conclude, dovrebbe portare nel 2011 le entrate della stampa e del digitale in zona positiva: quasi tutti i gruppi editoriali stanno reagendo con un mix di offerte digitali e pubblicazioni di nicchia. Cellulari e tablet dovrebbero essere un ottimo affare specialmente per le grandi testate che hanno intenzione di investire in ricerca e sviluppo.  Per ora comunque, la carta stampata rimane ‘’piena di speranza’’ ma incerta sui risultati o su quale sia il percorso verso la prosperità

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Seven Reasons Newspapers Are Not Rebounding Financially
di Rick Edmonds
(Poynter.org)
(traduzione di Claudia Dani)

Questo doveva essere un anno di convalescenza per i quotidiani, non un recupero vero e proprio, ma una crescita importante rispetto ai risultati deprimenti del 2008 e 2009. Ma, stando  ai dati più recenti del 2010,  i segnali di vita dell’industria della carta stampata appaiono come un mix eterogeneo.

Prima le buone notizie. I quotidiani hanno soldi e profitti, spesso anche piuttosto alti sul piano operativo. Stanno generando abbastanza liquidità per far fronte ai debiti e finanziare una massiccia esplorazione del potenziale digitale e dei suoi possibili punti di guadagno.

Ma continuo a vedere almeno sette segnali di problemi di breve periodo che rendono accidentato il percorso verso il mitico ‘’nuovo modello economico’’.

1. Le entrate da investimenti pubblicitari continuano a diminuire

Le perdite non sono più del 20% l’anno, come nel 2009. Ma la progressione verso un rallentamento delle perdite è in stallo nel terzo trimestre, con una caduta degli investimenti  pubblicitari, nella maggior parte dei gruppi, fra il 5 e il 6%: più o meno lo stesso nel secondo trimestre. Settembre è stato un mese al ribasso. Alcuni gruppi, con testate a diffusione locale, hanno avuto dei risultati sostenuti  dal boom della campagna elettorale, ma questo trend è finito il giorno dopo le elezioni di mid-term.

2. La crescita digitale non ferma il rallentamento dei rendimenti

Molti gruppi hanno riportato una crescita a due cifre, anno dopo anno, per quanto riguarda il loro business nell’ambito digitale. Ma  è una fetta troppo piccola per portare una vera svolta e questo probabilmente continuerà a verificarsi per anni.

Consideriamo un gruppo editoriale al passo coi tempi, in cui la parte digitale delle entrate copre il 12.5 % e cresce del 20% ogni anno. Ma bisogna, comunque, tener conto del fatto che l’ altro 87.5 % degli introiti, quelli che vengono dalla carta stampata, stanno scendendo dell’8% annuo.  Questo significa che si guadagna fino a 2.5 punti sull’online ma se ne perde 7.5 nella carta stampata e in generale quindi si registra un declino del 5%.

Nel gennaio 2005 avevo scritto un articolo, “An Online Rescue For Newspapers”, prevedendo che il ‘’salvataggio’’ da parte dell’ online sarebbe avvenuto nel 2017 o 2018, prima che i due flussi di entrate diventassero uguali. La mia supposizione pre-recessione ha ora bisogno di qualche aggiustamento, ma l’affermazione secondo cui il digitale sarebbe stato solo il 12.5 % delle entrate entro il 2010 è stata rispettata. Ma i tempi della completa transizione al digitale come unico business sembrano parecchio più lenti.

3. I costi dei quotidiani stanno aumentando ancora

I gruppi editoriali sono stati capaci di tagliare le spese a fondo, nel 2008 e nel 2009, in parte perché i prezzi della carta sono calati del 20-30% (se ne usa sempre meno e i giornali ‘dimagriscono’). Quando il ciclo dei costi si chiude, solitamente le aziende cartarie si consolidano e chiudono parte delle strutture per limitare le scorte,  e ora i prezzi stanno risalendo, fino al 20% in più: una situazione che dovrebbe andare avanti per almeno un anno.

Quando l’ editore di USA  Today, Dave Hunke, è venuto in visita al Poynter, il mese scorso, ha definito l’ andamento dei costi della carta ‘’catastrofici’’, anche se poi ha  aggiunto che forse aveva esagerato. Ma una carta più cara è proprio quello di cui l’industria dei giornali non ha affatto bisogno in un momento in cui cerca di mettere in equilibrio costi ed entrate lievemente in discesa.

L’andamento dei costi crea un circolo vizioso: i quotidiani dovrebbero iniziare a vendere più pubblicità sulla carta stampata e puntare ad accrescere gli spazi per l’ informazione, che erano stati drasticamente tagliati nel 2008 e 2009. Più pubblicità o maggiori contenuti saranno un buon affare, anche  se la stampa costerà di più.

4. Altri tagli in vista

Con poche eccezioni, i gruppi editoriali hanno limitato i giorni e le settimane di ferie che erano state registrate come d’ abitudine anche nel 2009. Così le aziende hanno visto un abbassamento o  lievi crescite dei costi del lavoro nel secondo e terzo trimestre. Combinando questo dato con i budget previsti per il 2011, si profilano ulteriori tagli alle redazioni e al personale, in particolare a McClatchy e a  Gannett.

5. Le entrate da diffusione si sono appiattite

Nel 2008 e nel 2009 i giornali nazionali e quelli metropolitani hanno aumentato aggressivamente sia le consegna a domicilio che il prezzo per copia. In questo modo, pur perdendo qualche copia, hanno registrato però un modesto guadagno. Il trend si è fermato quest’anno, gli editori sembra abbiano deciso all’ unisono che era tempo di fermare la crescita del prezzo. Così le perdite continue nella diffusione si sono tradotte in una piccola perdita nelle entrate. E certamente il pagamento dei contenuti online rimane una grossa questione.

6. La spirale mortale continua

Una bassa diffusione fa calare le entrate della pubblicità. Gli analisti hanno spiegato ai gruppi editoriali che giornali più smilzi realizzati da meno giornalisti perdono lettori. E così via.

7. I debiti continuano ad essere un problema

Diciotto mesi fa alcune testate della carta stampata erano state costrette a ricorrere alle norme sui fallimenti ed alcuni  dei gruppi editoriali sopravvissuti sono stati spinti forzosamente a chiedere prestiti a tassi molto alti e a ridurre la liquidità, viste le entrate ridotte. Questo mese il gruppo del New York Times ha dichiarato di aver restituito il suo debito al milionario Carlos Slim. Gruppi come McClachty, Media general e Lee hanno contratto obbligazioni e gradualmente ridotto il loro debito.

Ma sostenere un indebitamente ancora pensante costituisce spesso una condizione pesante, anche di fronte alla riduzione della liquidità. Ai tassi attuali, alcuni gruppi editoriali stanno pagando interessi a  due cifre, con una situazione singolare in cui i debiti sono diminuiti  ma gli interessi sono più alti che nel 2009.

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Ma tutto questo significa che la prossima destinazione della sofferente industria della carta stampata sarà un ospizio? Non è detto. La ripresa economica dovrebbe portare nel 2011 le entrate della stampa e del digitale in zona positiva. Quasi tutti i gruppi stanno reagendo con un mix di offerte digitali e pubblicazioni di nicchia. Cellulari e tablet dovrebbero essere un ottimo affare specialmente per le grandi testate che hanno intenzione di investire in ricerca e sviluppo.  Per ora comunque, la carta stampata rimane, come l’ incoscente amico di David Copperflied,  il signor Micawber,  ‘’piena di speranza’’ ma incerta sui risultati o su quale sia il percorso verso la prosperità.

Il valore azionario delle aziende quotate è cresciuto rispetto alle perdite di marzo e aprile 2009, ma quasi tutta questa crescita è avvenuta nel solo quarto trimestre dell’ ultimo anno.  Wall Street sembra concordare, con me, sulla traiettoria della carta stampata nel 2010:  alcuni bene, altri male ma fermi, altri in equilibrio.