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Informazione digitale a pagamento? Anche il gruppo Mecom ci prova (con contenuti specifici)

L’ultimo sondaggio della Nielsen rivela che il 33% dei netizen  (soprattutto gli under 35) “potrebbe” pagare per l’informazione on-line, e l’8% lo fa già. Forse per questo sempre più editori sposano la strategia del paid-content. L’ultimo è l’europeo Mecom, il cui piano triennale si sviluppa lungo tre direttrici: capitalizzare i contenuti a pagamento, sostenere un programma di tagli alle spese, attrarre tanti visitatori unici al giorno quanti sono i lettori dei quotidiani tradizionali. Partendo da quella che è la vera rivoluzione editoriale, ovvero ridefinire i ruoli all’interno delle redazioni.

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di Andrea Fama

Continua a crescere il numero di editori pronti ad “andare a pagamento” sul Web, dove il potenziale pubblico pagante (a patto che i contenuti abbiano un significativo valore aggiunto) rappresenta circa il 34% dei netizen presi a campione dall’ultimo sondaggio che la Nielsen ha condotto in 52 Paesi del mondo (la restante percentuale si divide tra chi non pagherebbe mai un abbonamento, 58%, e chi lo paga già, 8%)

Al Wall Street Journal & co.,infatti, si aggiunge il gruppo editoriale europeo Mecom – cui fanno capo circa 300 testate giornalistiche, prevalentemente di stampo locale e concentrate in Olanda, Danimarca, Norvegia e Polonia – che ha presentato un piano di rilancio finanziario ed editoriale notevolmente ambizioso.

Pur costretto a vendere diverse testate, il Gruppo si è dimostrato più rapido di molti altri nell’adeguarsi alle mutate condizioni del panorama dell’informazione – sempre più attanagliato tra Web e recessione – e oggi è pronto a raccogliere i frutti di tale reattività, annunciando una crescita del fatturato nonostante la stagnazione del settore pubblicitario.

Il piano triennale appena varato dalla società si pone l’obiettivo di sviluppare nuove forme di entrate relative ad aree distinte dal tradizionale settore della carta stampata, il cui futuro pubblicitario è quanto mai incerto. Tali entrate dovrebbero pervenire attraverso i contenuti a pagamento e le inserzioni on-line, incrementando gli introiti del Gruppo fino a 100 milioni di euro rispetto ai 67 milioni attuali (frutto di un – 11% accumulato negli ultimi anni), e portando i visitatori unici da 32 a 58 milioni.

“Non sappiamo quando si registrerà una ripresa nei mercati pubblicitari europei”, sostiene David Montgomery, presidente di Mecom ed ex amministratore capo del gruppo Mirror, “ma ci aspettiamo di compensare le perdite dovute ai tagli alle inserzioni su carta attraverso un incremento delle nostre attività on-line”.

Era stato lo stesso Montgomery ad anticipare quali sarebbero state le rinnovate attività digitali del Gruppo. Innanzitutto, una strategia studiata per rendere fruttuosa la politica dei contenuti a pagamento (che saranno unici e molto più specifici, e non riguarderanno le news generaliste ed internazionali), volta a  inglobare e rafforzare le azioni già sperimentate con due testate, rispettivamente in Polonia e Danimarca. In secondo luogo, la conferma di un programma di tagli alle spese che ha già trattenuto nelle casse del gruppo 124 milioni di euro rispetto ai 67 preventivati. Il terzo e, forse, più interessante aspetto riguarda la volontà di investire ulteriori capitali nel mercato dei contenuti digitali locali, ponendosi l’obiettivo di attrarre tanti visitatori unici al giorno quanti sono i lettori dei quotidiani tradizionali, con un effetto benefico per le entrate pubblicitarie facilmente prevedibile.

Il “grande passo in avanti” annunciato da Montgomery per il 2010 dipende dall’attuazione di una strategia digitale ben definita che, nelle parole del numero uno di Mecom, “riguarda le pratiche lavorative e la ridefinizione dei ruoli all’interno delle redazioni: questa è la vera rivoluzione. Non si può pensare di assumere eserciti di persone per partorire un titolo di giornale. Il business deve concentrarsi su poli di produzione dei contenuti al servizio di una gamma di prodotti su carta ed in digitale”.

Secondo Montgomery, ad ogni modo, il vecchio quotidiano, seppur acciaccato, non sparirà così facilmente: l’attuale crisi, sostiene, “non ha a che fare con la stampa o con i giornali, ma con la pubblicità”, sottolineando come la diffusione e gli abbonamenti delle testate del Gruppo siano rimasti relativamente stabili. “Il declino del mercato pubblicitario sta rallentando. È evidente che chi aveva già cancellato i giornali, lo ha fatto troppo presto”.

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