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Il non-profit salverà l’ informazione? No, sì, ma…

Alan D. Mutter (a sin.) e John Thornton

Per sostenere l’ attuale produzione giornalistica solo nel campo dei quotidiani, dice Alan D. Mutter,  ci vorrebbero donazioni per 88 miliardi di dollari, pari a circa il 30% di tutte le somme (307,7 miliardi) fluite complessivamente al settore non-profit – Ma intanto solo 141 milioni di dollari di contributi filantropici sono andati ai progetti giornalistici non-profit negli ultimi  4 anni: meno dello 0,05% – Dati alla mano, insomma, Mutter invita a smettere di  “coltivare la fantasia secondo cui i contributi  filantropici potrebbero  sostituire quel sostegno finanziario al giornalismo  che è stato assicurato finora dalle tradizionali aziende editoriali” e a provare a cercare delle possibilità realistiche – Ma,  gli ribatte John Thornton , investitore in media e nuove tecnologie e presidente di un giornale online, Texas Tribune: “il giornalismo non-profit sarà una parte del nostro futuro molto più grande di quello che pensa Mutter”, che, secondo il manager, oltre al punto di osservazione, avrebbe anche sbagliato i suoi calcoli Noi sostenitori della sperimentazione del  non-profit – sostiene il manager –  non stiamo pensando alle riviste di moda  o alle guida tv, ma a quel “nucleo di acciaio” del giornalismo serio che rappresenta il 15% dei contenuti globali dei giornali

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Un numero sorprendente di persone intelligenti e sofisticate continuano a coltivare la fantasia secondo cui i contributi  filantropici potrebbero  sostituire quel sostegno finanziario al giornalismo  che è stato assicurato finora dalle tradizionali aziende editoriali.

Per contribuire a riportare la discussione sul rischio di estinzione del giornalismo professionale nel regno del pensiero realistico, proviamo oggi a spiegare perché tutto questo non potrà mai accadere.

Ci prova con la matematica Alan D. Mutter, in una analisi sul suo blog, Reflections of a Newosaur.

La matematica, secondo Mutter, indica che ci vorrebbero 88 miliardi di dollari – cioè un terzo circa di tutti i 307,7 miliardi di dollari donati complessivamente nel corso del 2008 – per sostenere il giornalismo fatto finora dai quotidiani americani.

Se poi si vogliono coprire anche le riviste  e l’ emittenza commerciale – per non parlare della miriade di nuove testate giornalistiche che cercano di riempire il vuoto provocato dal declino dei media mainstream – ci vorrebbero altri miliardi in termini di sostegno filantropico. Ma la cifra è così grossa e inavvicinabile che mi sembra inutile provare a fare il calcolo – aggiunge-, quando poi vedo in compenso quanto poco  – 141 milioni di dollari – sia stato raccolto negli ultimi 4 anni per sostenere testate giornalistiche non-profit.

Per essere esatti, qualche boutique non-profit come  Pro Publica, la Texas Tribune e il Center for Independent Media (recentemente rinominato “American Independent News Network”)  è stata sostenuta generosamente per produrre del giornalismo specializzato su determinate argomenti. Ma costoro non hanno certo la pretesa di produrre quell’ intensa copertura informativa che storicamente è stata il piatto forte  del giornalismo locale di qualità.

La netta contrazione negli anni scorsi delle vendite e dei ricavi delle aziende giornalistiche commerciali ha condotto a delle drammatiche e traumatiche riduzioni di organico in pressoché tutte le redazioni del paese. E poiché l’ economia  era in crisi nel 2008 anche l’ emittenza pubblica sostenuta da interventi  filantropici ha dovuto  tagliare gli organici quando le donazioni hanno cominciato a ridursi non solo da parte delle Fondazioni ma anche da parte di lettori ed ascoltatori.

Rick Edmonds, il noto esperto economico del Poynter Institute, ha calcolato che i giornali americani stanno spendendo ora 4,4 miliardi di dollari per la loro produzione giornalistica, e cioè circa il 29% in meno dei 6,2 miliardi di dollari che spendevano le redazioni nel 2006. E’ un calo di 1,8 miliardi di dollari.

Se si volesse sostenere l’ attuale livello di copertura giornalistica sostituendo le risorse commerciali con i dollari del non-profit – sostiene Mutter -, l’ approccio tipico sarebbe quello di raccogliere donazioni da investire conservativamente per produrre un reddito annuale del 5%. L’ investimento globale verrebbe suddiviso e distribuito anno per anno per assegnare i budget operativi alle testate giornalistiche non-profit.

La donazione necessaria per poter avere a disposizione 4,4 miliardi di dollari da destinare ogni anno alle redazioni  sarebbe di 88 miliardi. E cioè il 29% dell’ intero importo – 307,7 miliardi – dei contributi filantropici di tutto il 2008, secondo i dati  pubblicati dalla Giving USA Foundation, il braccio non-profit di una organizzazione di professionisti del settore della raccolta di fondi.

Data la crisi economica del 2008 è sicuro che le donazioni nel 2009 siano ulteriormente calate:  probabilmente saranno meno dei 307 miliardi dell’ anno precedente.

Il calo delle donazioni non è comunque la sfida principale per coloro che contano sul filantropismo per risollevare la stampa – rileva -. L’ ammontare infinitesimale del sostegno che finora è andato ai progetti giornalistici non-profit suggerisce che i filantropi hanno altre e più antiche priorità.

Come è stato riferito recentemente in State of News Media, l’  annuale Studio del Pew Project for Excellence in Journalism, Jan Schaffer, del  J-Lab dell’ American University, stimava che solo 141 milioni di dollari (esclusa l’ emittenza pubblica) di sostegno filantropico sono andati ai progetti giornalistici non-profit negli ultimo 4 anni. Si tratta di meno dello 0,05% dei 307 miliardi di dollari dati in sovvenzioni solo nel 2008.

Alla luce di questi fatti, è chiaro che ci sono solo due strade per stabilire una base filantropica concreta per salvare il giornalismo:

O (1) si individuano delle nuove, ampie fonti di sostegno economico di tipo filantropico, oppure (2) bisognerà convincere i filantropi esistenti  ad abbandonare i loro tradizionali settori di interlocutori, che, come mostra la cartina sotto, sono soprattutto nel campo di religione, educazione, servizi sociali, ambiente, ecc..

Poiché c’ è un bisogno pressante di salvare la stampa, un maggiore impegno nel settore sembra improbabile, specialmente in un periodo in cui molta gente – con la notevole eccezione di pochi fortunati – sembra stringere la cintola.

E quindi – conclude Mutter -, smettiamola di sognare l’ arrivo di qualche coniglietto magico dell’ informazione non-profit e mettiamoci seriamente a cercare qualche possibilità realistica.

Il giornalismo non-profit sarà una parte del nostro futuro molto più grande di quello che pensa Mutter

Ma, ribatte John Thornton, presidente del giornale non-profit online Texas Tribune, il giornalismo non-profit sarà una parte del nostro futuro molto più grande di quello che pensa Mutter.

In una sua risposta a Mutter, Thornton rileva una serie di errori concettuali in cui sarebbe incorso Mutter, che, soprattutto, avrebbe completamente sbagliato il punto di vista. Noi sostenitori della sperimentazione del  non-profit – sostiene il manager –  non stiamo pensando alle riviste di moda  o alle guida tv, ma a quel “nucleo di acciaio” del giornalismo serio che rappresenta il 15% dei contenuti globali dei giornali.

Nessuno di noi sciocchi e sofisticati sostenitori del non-profit sta pensando che il nostro sforzo possa sostituire l’ informazione commerciale. Noi diciamo che il giornalismo è in pericolo perché non è abbastanza redditizio. Ora che, come asserisce Marissa Mayer di Google, ogni articolo sui siti web dei giornali dovrebbe diventare una fonte autonoma di “profitti”, come sanno tutti, noi dobbiamo cercare di immaginare come aiutarlo.

Non bisogna confondere quello che si legge su Voice of San Diego o ProPublica con quello che c’ è sulle Guide Tv o le riviste di cucina – prosegue Thornton -. Noi del Paese delle Meraviglie stiamo cercando invece di aiutare a puntellare quello che Alex Jones chiama  “il nucleo di acciaio” del giornalismo nel suo libro Losing the News. L’ analisi di Jones rivela che questo nucleo di contenuti seri costituisce circa il 15% dei contenuti globali dei giornali, e quindi diciamo che rappresenta il 15% dei costi redazionali, al meglio. Se ci tocca il brutto compito di sostituire tutto il giornalismo serio dei quotidiani con quello che gli scettici del non-profit indicano derisoriamente come “propaganda”, ci troviamo di fronte a un problema da 660 milioni di dollari all’ anno.  Non c’ è dubbio, sono bei soldi, ma pensiamoci un attimo: secondo i dati di Mutter, sarebbe quanto i cittadini danno ogni anno per il sostegno delle cause ambientaliste. Propaganda?

Modelli

Ma la cifra di 600 milioni – aggiunge Thornton – forse ingigantisce la dimensione del problema. Neanche due redazioni non-profit hanno esattamente lo stesso modello, ma gran parte di noi cercano di fare il loro meglio per praticare quello che io definisco “promiscuità di ricavi”. Alla Tribune, in aggiunta alle sovvenzioni e alle donazioni di individui e Fondazioni, stiamo cercando di trovare sponsorizzazioni da parte di aziende per eventi organizzati da noi o per i nostri siti web. Raccogliamo circa il 15% delle nostre spese attraverso gli abbonamenti a Texas Weekly, una newsletter economica che stiamo cercando di sviluppare come una pubblicazione di nicchia di alta qualità. Il nostro obbiettivo intermedio è raggiungere un budget annuale di 3 milioni di dollari, suddivisi fra abbonamenti, sostegno da parte di aziende e pubblicazioni specializzate. Siamo abbastanza lontani da quel traguardo, ma stiamo facendo progressi – e sottolineo che non abbiamo ricevuto finora nessun sostegno da parte di Fondazioni.

Se organizzazioni come la nostra possono trovare fonti non ‘’propagantistiche” per due terzi del loro budget, il problema degli 88 miliardi di dollari di Mutter diventa un problema da un paio di centinaia di milioni. E’ considerevolmente meno di quanto una compagnia di balletto raccoglie negli Usa ogni anno.  Ma la questione principale è questa: non solo la filantropia, da sola, non potrà salvare il giornalismo, ma probabilmente – conclude Thornton – non potrà sostenere neanche la maggioranza dei nostri modesti sforzi. Dobbiamo tornare a condurre il nostro business come business, anche se il nostro obbiettivo è il servizio pubblico piuttosto del profitto.

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