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Fotogiornalismo: ma lo spettacolo uccide l’ informazione

Una tesi di laurea su ‘’Informazione e immagini cruente’’ affronta le questioni che ripetutamente l’ attualità ci propone di fronte a vicende di morte, crudeltà, violenza – Dove si trova il limite tra ciò che è giusto vedere e ciò che trasforma l’osceno in spettacolo? Qual è il ruolo del giornalismo per immagini? E’ possibile costruire, rispetto al partito del “vedere ad ogni costo”, una linea di equilibrio, che faccia prevalere le ragioni di coloro che, al  contrario, riconoscono le conseguenze di questo “vedere” e cercano una soluzione alternativa? – Una strada, secondo la tesi, c’ è,  ‘’Un duplice equilibrio: rispetto per chi guarda e rispetto per chi é guardato’’

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L’ informazione è vitale, ma la spettacolarizzazione la uccide.

E’ la conclusione di una tesi di laurea sul tema del rapporto fra informazione e immagini cruente che cerca di rispondere ai complessi interrogativi che l’ attualità ci ripropone in continuazione di fronte a episodi di morte, di guerra, di violenza.

Dove si trova il limite tra ciò che è giusto vedere e ciò che trasforma l’osceno in spettacolo? E come far prevalere rispetto al partito del “vedere ad ogni costo”, una linea di equilibrio, che affermi le ragioni di coloro che, al  contrario, riconoscono le conseguenze di questo “vedere” e cercano una soluzione alternativa, nel rispetto di chi guarda e di chi viene guardato?

La tesi – ‘’Informazione e immagini cruente. Un duplice equilibrio: rispetto per chi guarda e rispetto per chi é guardato’’ – che Lsdi pubblica, cerca di rispondere a questi interrogativi, affrontando gli aspetti più aspri e difficili del lavoro dei fotogiornalisti.

Il lavoro – con cui si è appena laureata in Scienze della Comunicazione all’ università di Padova (relatore il professor Raffaele Fiengo) Alice Santi – affronta i diversi aspetti del linguaggio fotogiornalistico, il  ruolo dell’ immagine nella creazione della notizia e gli aspetti che potrebbero alterarne la comprensione, producendo conseguenze anche gravi nei soggetti più deboli. In particolare, il fenomeno del “War Porn” ed il rischio di emulazione che tali immagini possono indurre.

L’attenzione è rivolta, soprattutto, a mettere in luce, in una fase in cui nel paesaggio mediatico predominano sensazionalismo e teledipendenza, la linea di confine che separa la volontà di informare dal desiderio di spettacolarizzare la notizia cruenta, alla luce anche delle nuove frontiere rappresentate da docufiction e fotofiction.

La ricerca affronta anche la questione della creazione di nuovi sistemi di tutela e dei codici di autoregolamentazione e, attraverso un’ analisi delle opinioni dei principali “addetti ai lavori” cerca di individuare quali siano i limiti etici, morali e professionali che dovrebbero governare il foto e video-giornalismo.

Ampio spazio viene dedicato al tema della selezione delle immagini, con una analisi di un dibattito tenutosi nell’ ultima edizione del Festival internazionale del giornalismo di Perugia (in occasione della conferenza “Vedo e non vedo, spostare il limite più in là”,  22 aprile 2010) e attraverso una interessante  intervista con Pier Paolo Cito, fotoreporter dell’ Associated Press.

La tesi si chiude con una ampia Riflessione etica, che riportiamo qui di seguito, e che dà il sottotilo alla tesi, ‘’Un duplice equilibrio: rispetto per chi guarda e rispetto per chi é guardato’’.

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IMMAGINI CRUENTE: UNA RIFLESSIONE ETICA

di Alice Santi*

Individuare il limite sottile che separa la volontà di diffondere immagini per dovere di cronaca, dallo sfruttamento della pietas e dello choc in esse contenuto è molto complesso.

Dalle diverse opinioni presentate in questa trattazione emerge una chiara divisione tra coloro che promuovono il “vedere ad ogni costo” e coloro che, al contrario, riconoscono le conseguenze di questo “vedere” e cercano una soluzione alternativa, nel rispetto di chi guarda e di chi viene guardato.

Fino a che punto è giusto scuotere lo spettatore?

È difficile trovare una risposta universalmente valida.

Eliminare tutti i contenuti più crudi per tutelare i soggetti deboli porterebbe ad una forma di censura difficilmente controllabile, allo stesso tempo eliminare tutti i filtri porterebbe ad una perdita di buon senso e ad una possibile assuefazione alla visione del dolore altrui.
Nascondendosi dietro l’ideale della cronaca senza filtri si finisce con il dimenticare che non è sempre fondamentale mostrare tutto.

I casi presentati in queste pagine hanno contribuito ad animare il dibattito e la ricerca di possibili soluzioni.

A livello tecnico si stanno introducendo i primi sistemi di tutela come il viewer’s discretion advised, a livello istituzionale sono nati i primi organi deputati al controllo e alle eventuali sanzioni, mentre parallelamente si sono sviluppate associazioni volte alla promozione del ruolo etico-educativo dei media.

Tutto ciò denota una grande sensibilità nei confronti di questo tema, diffusasi anche grazie all’introduzione dei nuovi media che hanno rivoluzionato le abitudini nella fruizione della notizia, destabilizzando gli utenti e ponendoli di fronte ad un overload informativo che spesso travalica il buon senso e mostra l’osceno.

In molti criticano questa volontà di proteggere bambini ed adulti dalla visione di immagini forti, ma la risposta più ragionevole è che nella realtà stessa provvediamo – in base all’agire comune – a proteggere i più sensibili da spettacoli di morte e violenza che, generalmente, salvo in zone di guerra, non sono certo comuni.

Inoltre, non si tratta solo di protezione, ma di educazione al rispetto. Rispetto per chi guarda, ma anche e soprattutto rispetto per chi è rappresentato.

Il sentiero da seguire è quello del Codice Deontologico – nel rispetto della privacy e della dignità degli individui.
Si tratta di considerare questo confine come un limite labile, fluttuante, che dipende dalla notizia da pubblicare, dal tipo di fruitore cui è indirizzata e dal momento storico in cui si colloca, così come dalla coscienza personale di chi media la notizia.

Quest’ultima, in quanto “mediazione”, è una trasformazione non neutrale della realtà. La realtà e la rappresentazione della realtà non potranno mai coincidere, ma quando entrano in gioco sentimenti e situazioni delicate come la morte, la violenza e la guerra questa mediazione assume un ruolo ancora più importante, sia nelle parole che nelle immagini.

Le immagini della stampa e le immagini della televisione hanno un impatto diverso sul pubblico. La televisione trasmette immagini che il pubblico è costretto a seguire passivamente, mentre i giornali sono scelti dal proprio pubblico e su questo essi modellano i propri limiti.

Ne consegue che il limite debba anche essere adattato a seconda del mezzo utilizzato per la diffusione della notizia.
Il giornalista ha il compito di selezionare le immagini sulla base del loro puro contenuto informativo, riproponendole corredate da elementi che ne consentano una giusta interpretazione.

Tale selezione deve basarsi su una riflessione che va al di là del solo aspetto commerciale e della logica di attrazione dei lettori, muovendosi su scelte di  natura etica e morale.
Se si considera che, nella maggior parte dei casi, l’informazione è un prodotto di ingegno collettivo, si arriva a dedurre l’importanza di ogni singolo ruolo professionale all’ interno delle redazioni.
Indubbiamente, il livello di qualità delle immagini e dei contenuti in esse racchiusi si innalzerebbe se si promuovesse uno speculare innalzamento del livello culturale e delle competenze di redazione.

In primo luogo, attraverso il riconoscimento di nuovi profili professionali specializzati come il Photo o Picture Editor ed, in secondo luogo, inserendo nel percorso di formazione di giornalisti e operatori dell’informazione insegnamenti di comunicazione visiva e psicologia sociale.
In questo modo si diffonderebbe un patrimonio di conoscenze e competenze professionali tale da autoregolare i professionisti nella selezione delle immagini, accrescendone la sensibilità.

Del resto, nessun telespettatore avrà mai la voglia di spegnere il televisore ed interrompere la visione delle immagini anche se indignato, poiché l’imperativo della nostra società è quello di essere al corrente, sempre.

Per questo, in quanto professionisti dell’informazione, è importante continuare a cercare nuove soluzioni e nuovi linguaggi, tenendo sempre in considerazione l’eterogeneità del pubblico.

Ci vuole dunque un duplice equilibrio, che permetta di distinguere le fotografie giornalistiche da quelle illustrative in cui viene rappresentata una violenza gratuita. Le fotografie giornalistiche rappresentano il diritto delle persone coscienti di sapere-vedere ciò che gli esseri umani sono in grado di fare.

Le immagini dei lager nazisti ne sono ancor oggi un esempio.

Esse pur rappresentando situazioni atroci permettono di mostrare l’entità del genocidio e trasmettono l’alienazione ed il dolore dei sopravvissuti.

Non sono pornografia, né spettacolarizzazione. Se non fossero state pubblicate, qualcuno avrebbe potuto negarne l’esistenza.

L’importante è che i giornalisti siano sempre in condizione di spiegare e di giustificare le proprie scelte, condizione che spesso nella realtà manca.

Presentare immagini che possano impressionare fino al rifiuto di guardare oltre o favorire la creazione di una barriera tra le immagini e chi guarda per allontanare ciò che non si sopporta di vedere è controproducente, perché in fondo raccontare significa anche mettere al centro dell’attenzione i problemi con la speranza di risolverli.

L’ informazione è vitale;  la spettacolarizzazione uccide l’informazione.

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*Alice Santi è nata a Padova e vive ad Abano Terme, dove dal 2009 segue un portale web, “La voce delle terme”, un progetto innovativo di informazione locale che sfrutta i social media per promuovere notizie ed eventi legati al bacino termale euganeo.
Dopo la laurea si è iscritta al Corso magistrale in “Strategie di Comunicazione” all’ Università di Padova.

– Il testo integrale della tesi è qui.

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