Fotogiornalismo: Articolo quinto, chi ha in mano le foto ha vinto!

Foto-rubate1 Un plateale caso di plagio per 13 foto del terremoto di Haiti al centro di un nuovo episodio di quella sorta di serial planetario dal titolo ‘le difficoltà del fotogiornalismo ai tempi di internet’ – Il racconto e le riflessioni (amare) di Fotografia&Informazione – Il 17 giugno udienza al tribunale di New York

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Un fotogiornalista haitiano di lunga e significativa esperienza, Daniel Morel, già corrispondente di AP, che si trova ad Haiti il 12 gennaio durante il terrificante terremoto e riesce a scattare una serie di foto e a pubblicarle su Twitter, attraverso TwitPic. Un ladro di diritti d’autore, Lisandro Suero, che si attribuisce la paternità delle fotografie e dopo avere aperto a sua volta un account su Twitter e caricato le foto rubate su TwitPic, reindirizza al proprio recapito telefonico le richieste di contatto per negoziare i diritti di riproduzione. E infine la France Press (AFP) che, senza aver ricevuto risposta dopo vari tentativi di entrare in contatto con Morel, decide comunque di inserire nei propri circuiti distributivi le tredici foto, che naturalmente fanno il giro del mondo, attribuendole ora al vero autore, ora al responsabile del plagio.

E’ l’ intreccio di una nuova, avvincente, puntata di quello che Marco Capovilla, di Fotografia&Informazione, definisce “il serial planetario ‘le difficoltà del fotogiornalismo ai tempi di internet’ ”. In “Articolo quinto”, una approfondita ricostruzione della vicenda, Capovilla racconta questo caso plateale di plagio, finito naturalmente nei tribunali, uno dei quali – quello di New York – si dovrà pronunciare il 17 giugno, tirandone varie, amare, riflessioni sulla difficoltà dei fotogiornalisti di far valere i propri diritti e sul clima da scorrerie che caratterizza il mondo dell’ immagine digitale.

Capovilla, naturalmente, spiega anche ai profani il senso del titolo del suo commento, che fa riferimento a un detto, noto nel mondo del commercio delle immagini, che in italiano suona più o meno così: “Articolo quinto: chi ha le foto in mano ha vinto!”.

Ecco: anche oggi, dopo mesi, se si fa una ricerca su Google Images, si possono ancora trovare centinaia di siti in cui compaiono le foto di Morel attribuite a Suero e a AFP/Getty.

“Io l’ ho imparato venticinque anni fa – racconta Capovilla -, quando nei giornali si utilizzavano carte politenate e diapositive e mai l’ho scordato in tutto questo tempo. E’ ancora valido, ma adesso andrebbe attualizzato, e dunque reso ancora più vasto e profondo, includendo le considerazioni relative alla smaterializzazione delle foto digitali: “Articolo quinto: chi ha una copia delle foto sul computer ha vinto”. E dunque, la domanda che viene spontanea è, nuovamente: perché mai caricarle su TwitPic? Un collega francese cui ho raccontato la vicenda ha tagliato corto: “Naïve”.

Seconda riflessione, strettamente connessa alla prima: davvero ci si può, nel 2010, immaginare che nella quotidiana battaglia per le primizie, gli scoop, nel mercato giornalistico globale ci sia ancora spazio per valutazioni non dico di tipo etico in senso stretto, ma anche solo di correttezza e di fair play? Sì, è pur vero che, a differenza di AFP, a quanto risulta AP (Associated Press) dopo aver infruttuosamente contattato Morel, non avendo ricevuto risposta, ha preferito soprassedere all’eventuale mossa che invece AFP ha intrapreso, apparentemente senza troppe remore”.

Una piccola, paradossale, postilla per il mercato italiano:

“Se la questione non fosse in verità piuttosto seria, verrebbe scherzosamente da notare, per inciso, che l’abitudine dei nostri quotidiani nazionali di non firmare le foto ha avuto, in questo caso, un esito positivo, nel senso che non attribuendo la foto a nessuno, non hanno rischiato di attribuirla nemmeno al ladro di copyright”.