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Facebook riuscirà a cambiare il paradigma del visitatore unico?

Di fronte alla catastrofe del web dell’ informazione, provocata, più che da Google (come semplicisticamente qualcuno sostiene), dall’ uso di strumenti matematici di misurazione assolutamente distorti, la via di uscita sembra essere l’ alleanza con il web sociale e la sostituzione della misura del visitatore unico con il paradigma della comunità – Facebook, secondo ReadWriteWeb, ha da tempo avviato la corsa, facendo intuire ai potenziali inserzionisti le sue grandi potenzialità in termini di personalizzazione – Di fronte alle critiche per la sua irresponsabilità e per aver modificato a più riprese in maniera radicale la sua politica di rapporto con gli utenti, senza mai assumersene le conseguenze, i geek e gli analisti avvertiti se ne sono fatti una ragione e hanno già fatto evolvere il loro uso di Facebook, e cioè lo hanno abbandonato del tutto – Ma poiché questa aristocrazia del web non ha più oggi l’ impatto che poteva avere ieri, e poiché il web si è massificato, tutto sembra indicare che Facebook è sul punto di vincere la sua scommessa
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di  Fabrice Epelboin
(da ReadWriteWeb)

Nonostante i grossi sforzi fatti, Google non è mai riuscito a diventare un protagonista del web sociale. Ma una cosa bisogna riconoscergli: è (è stato) il padrone assoluto del web 1.0, quello dell’ informazione, il famoso “formidabile mezzo di accesso all’ informazione”, un paradigma costruito negli anni ’90 e ancora largamente sfruttato oggi.

E tra gli assiomi prodotti per il web 1.0 c’ è il visitatore unico. Questa misura os­cura* indica il numero di internauti finiti su un sito almeno una volta in un periodo determinato (generalmente un mese). Che voi clicchiate su repubblica.it tutte le mattine a colazione oppure che capitiate su quel sito una sola volta al mese per caso, Ad esempio seguendo un link di Google News, non farà alcuna differenza agli occhi di questo tipo di contabilità. Sarebbe come contabilizzare nelle stesse colonne un lettore che in un’ edicola ha dato un’ occhiata svogliata alla prima pagina di Repubblica e un abbonato fedele di quel giornale.

Sembra una follia, ma tutta l’ economia del gratuito nell’ industria dei contenuti è costruita su questa traballante contabilità. E c’ è da meravigliarsi se i risultati economici non arrivano? Gli inserzionisti si rendono conto dell’ assurdità di una tale unità di misura come base per i loro investimenti?

Questo meccanismo di misurazione può essere corretto in qualche modo da altre misure connesse, come il tempo medio passato su una pagina, il rapporto col numero di pagine viste o altro? Assolutamente no. Bisogna arrendersi all’ evidenza: il paradigma di base che ha tentato di sostituire (per non dire ricalcare) la misura della diffusione della stampa scritta non ha assolutamente alcun senso, e siccome tutta l’ economia dell’ informazione (con l’ eccezione dell’ informazione a pagamento) è costruita sopra di essa, possiamo scommettere che una delle vie d’ uscita dalla crisi della stampa online passa attraverso la revisione dei fondamentali, in particolare degli strumenti di calcolo del valore dell’ informazione. Dopo tutto, è anche di moda, e sarebbe molto meno grave degli strumenti super-matematicizzati che ci hanno regalato i sub-prime.

Ma, certo, questo cambiamento di paradigma comporterà conseguenze pesanti, scombussolerà le classifiche e le gerarchie, qualcuno potrà uscirne male.

Pensiamo ad esempio a un grande quotidiano che vende nelle edicole poco più di 100.000 copie e che proclama di avere milioni di visitatori unici: non si è probabilmente di fronte a una bolla? Come interpretare il differenziale di crescita dei siti di informazione – +30% – conm quello di penetrazione di internet nello stesso periodo: 13% ? La ragione ci spinge a credere che gli strumenti di misura sono distorti, che in realtà non misurano un granché, in ogni caso niente che possa permettere di costruire, con un minimo di serenità, un modello economico.

Si potranno anche immaginare dei calcoli che permettano di dimostrare che due carote e tre cavolfiori fanno sette barbabietole, ma anche questi dovranno ammettere, alla fine, che il conto finale non sarà certo in euro.

I sub­prime del web dell’ informazione

Come ogni volta che uno strumento matematico serve come indicatore del successo, il gioco consiste nel modellare i propri prodotti in modo da approfittarne. Nello stesso modo con cui i ‘derivati’ e i subprime hanno dato vita a una coorte di prodotti finanziari che contenevano l’ errore originale, il ‘visitatore unico’ ha infettato tutto il complesso dell’ economia dei contenuti e ha avuto un impatto profondo sul ‘prodotto informazione’.

La redazione è diventata una macchina per immagazzinare visitatori unici, con tutte le derive che abbiamo conosciuto, sacrificando tutte le principali componenti del mestiere giornalistico. Questa infestazione da parte della dittatura del buzz ha colpito tutto quello che somigliava da vicino o da lontano all’ informazione: per avere una minima speranza di essere redditizia, e quindi di sopravvivere, essa deve fare ‘colpo’, incamerare la sua bella quantità di visitatori unici, aumentare questo punteggio, diventato – in dieci anni – il principale indicatore per gli inserzionisti e i media.

Le derive sono numerose, e regolarmente denunciate. Giornali un tempo rispettabili che scivolano sul triviale al solo scopo di raddizzare tassi di audience troppo deboli per attirare la pubblicità, con incidenti di percorso a volte comici, come nel caso delle voci sulle infedeltà incrociate della coppia presidenziale francese (‘la rumeur‘). Nessuno si meraviglia più se qualcuno aggrega, in seno a un gruppo editoriale, le audience di siti che non hanno assolutamente nessun rapporto gli uni con gli altri per ritoccare l’ audience, ritenuta ancora troppo debole, di una testata che un tempo era stato il faro della casa…

Se questi ‘montaggi’ e questi trucchi sono più primitivi di quelli concepiti dagli esperti del mondo della finanza, nascono comunque dalla stessa intenzione: amplificare le cifre fornite dagli strumenti di misura, facendo qualsiasi acrobazia col prodotto, a rischio di vedere tutto l’ insieme sprofondare, prima o poi.

Principale accusato in questa bolla del visitatore unico: Google. L’ azienda di Mountain View è l’ agnello sacrificale preferito dalla stampa, che senza aver identificato la radici del problema che ha di fronte, pensa che esso non sia lontano. Se non sei tu, sarà tuo fratello. E così, all’ occorrenza, ecco che Google diventa il responsabile, con il web dell’ informazione, su cui regna sovrano.

Facendo passare l’ informazione dalla forma giornale – unaserie di articoli confezionati – a una forma liquida – una immensità di asrtioli più disparati – il web dell’ informazione ha ucciso il giornale proprio come la musica digitale ha ucciso l’ album. Lo strumento di misura del visitatore unico cerca di mascherare il problema, ed ecco la bolla, che, fino al suo prossimo imminente scoppio, ha comunque due conseguenze: il calo delle tariffe pubblicitarie sul web e la corsa al visitatore unico per tentare di compensarla. Ma siccome le cose non sono elastiche all’ infinito, e il numero di internauti naturalmente limitato, la catastrofe è quindi inevitabile.

Questa catastrofe, che la stampa del mondo intero vive nella sua carne, è la catastrofe del web dell’ informazione che ha allegramente confuso audience e lettori e che ha troppo spesso dimenticato l’ idea che l’ audience di domani era più vicina a un altro concetto che gira molto su internet,  quello di comunità (con tutte le pesanti conseguenze che, anch’ esso, può avere sul giornalismo). Essa è dovuta, molto più che a Google, a degli strumenti matematico distorti, sui quali si è costruita una larga parte dell’ economia digitale, in particolare quella che riguarda l’ informazione online.

L’ uscita dalla crisi

Vi sono diverse possibili vie d’ uscita da questa crisi. La prima, la più evidente, è quella di continuare così: corsa sfrenata all’ audience, riduzione dei costi di produzione dell’ informazione e rimodellamento dei prodotti per renderli più efficaci possibile in questa corsa.

Il “cannone di notizie d’ agenzia”  (Lsdi ne ha parlato qui) non è che una tappa in questa corsa: domani la mitragliatrice, dopodomani il napalm, prima o poi la bomba atomica. Qualcuno, senza dubbio, potrà trovarci anche un modello economico, ma  ci arriveranno in pochi e il giornalismo ci lascerà sicuramente le penne.

La seconda strada è quella immaginata oggi quasi all’ unanimità dalla stampa:  il ritorno al pagamento. Senza insistere su questo punto, né sul suo presunto Vitello d’ oro, l’ iPad, è però difficile che tutti possano trovarci il loro tornaconto. Due generazioni sono cresciute intorno al’ idea del gratuito e cambiare quelle abitudini non sarà facile (in molti paesi il conservatorismo non è solo appannaggio dei vecchi). Una stampa che si immagina che la soluzione sia nel cambiamento del supporto e nella mobilità, senza peraltro mettere in discussione il modo con cui tratta l’ informazione, una massa di lettori abituati a piluccare le proprie informazioni in una miriade di pubblicazioni, mentre le generazioni precedenti davano tutta la loro fiducia a uno o due supporti per ottenere una visione globale… Gli ostacoli sono tanti, e non tutti potranno trovare rifugio in questa strada.

La terza strada, infine, è il ritorno ai fondamentali e la rimessa in discussione della dittatura del Visitore Unico, senza peraltro passare attraverso il visitatore pagante. E per imboccarla bisognerà pas­sare dal para­digma del visi­tatore a quello della comunità, cosa che molto pochi hanno fatto finora.

Quest’ ultima strategia consiste nel fondere il web dell’ informazione con il web sociale e nel trovare in quest’ ultimo degli indicatori in grado di attirare dei nuovi inserzionisti su una offerta e una griglia di tariffe senza alcun punto in comune con quelle che venivano praticate nell’ epoca in cui si confondevano allegramente l’ internauta curioso con il lettore fedele, attaccato, e quindi coinvolto, che una testata giornalistica può legittimamente pretendere di ‘influenzare’.

Dopo Google, Facebook

E’ qui che entra in scena Facebook. Anche se non ha ancora un grosso peso di fronte a un gigante come Google in termini di apporto di lettori ai media, conviene pensarci bene dopo un decennio di ‘Search Engine Optimisation’, e di ‘Search Engine Marketing’, che non hanno fatto altro che spingere i media nell’ abisso economico del visitatore unico. Grazie (o a causa, dipende) Facebook, i media possono alla finer sperare di accorciare il loro ritardo sul web sociale. Integrando in esso le proprie funzionalità, possono non solo sperare di attirare un insieme di lettori  più interessati ai loro contenuti (che vengono segnalati dai loro amici), ma anche integrarli in una vera comunità, e farne dei visitatori ricorrenti (e non unici).

Perfettamente informati sui loro gusti, le loro abitudini, le loro reti di amici, la loro localizzazione, e su molti altri dettagli un tempo molto privati, Facebook sarà in grado di valorizzare lo spazio pubblicitario in un modo molto più efficace di quello che si pratica oggi. E ci si può scommettere che questa pubblicità sarà infinitamente più sofisticata, personalizzata e integrata ai media di quanto non sia mai stata.

Immaginate per esempio, quando Facebook potrà contare su quelle informazioni (geolocalizzazione, stato civile, numero di figli, estrapolazioni sui redditi, dati che sarebbe in grado di detenere sui suoi membri), a che cosa potrebbe somigliare un publiredazionale interamente personalizzato sul settore immobiliare, in rapporto a quelli che vengono realizzati oggi (ad esempio quello pro­posto nei giorni scorsi da Le Monde). Il numero di lead inviati dalla testata verso l’ inserzionista sarebbe non solo più ampio, ma i contatti sarebbero molto più qualificati, rendendo molto più semplice e redditizia l’ attività dell’ inserzionista una volta che riceverà i prospetti relativi ai contatti. Uno spazio pubblicitario del genere può generare molto più valore di tutto quello che potrebbe essere costruito sul paradigma del visitatore unico

Per la testate, la comunità dei lettori potrebbe affinare i suoi gusti visita dopo visita e vedersi proporre un giornale sempre più personalizzato, rendendo la relazione col lettore sempre più riavvicinata. Rovescio della medaglia, poiché questi dati relativi alla personalizzazione sono legati ai profili degli utenti e appartengono a Facebook, qualunque altra testata potrebbe approfittarne ugualmente per costruire una relazione con quesrti stessi lettori (certo, non tutto è roseo).

Questa terza via si apre oggi non solo davanti ai media, ma anche agli inserzionisti, così come all’ insieme degli editori di siti web. Se la scommessa di Facebook riuscirà, il suo impatto sul web sarà grande quanto lo fu a suo tempo quello di Google.

Come le derive del web dell’ informazione, che ha generato questa bolla in procinto di scoppiare, anche questo web ‘3.0’ avrà le sue, perché questa allenza fra il web dell’ informazione e il web sociale, saldata attraverso il web semantico, sarà controllata da Facebook,  una azienda conosciuta per la sua irresponsabilità e che, a più riprese, ha modificato in maniera radicale la sua politica di rapporto con gli utenti, senza mai assumersene le conseguenze.

Il timing dunque è – relativamente – semplice. O Facebook schianta, cosa che per il momento non sembra possibile (la levata di scudi di fronte al progetto Beacon non sembra però niente di pesante), oppure ha successo e, in questo caso, è già cominciata la corsa per sapere chi, nel web dell’ informazione, sarà il vincitore del web sociale e semantico di domani.

Ora, il fatto che Facebook abbia proceduto in due tempi, annunciando l’ apertura dei suoi dati, fino ad ora privati, nel novembre scorso, per rivelare che cosa ne intendesse fare cinque mesi dopo, mostra molto bene che lì hanno imparato la lezione delle sconfitte del passato. Se Facebook avesse proceduto a questi due annunci uno sull’ altro, le proteste avrebbero probabilmente avuto ragione della sua iniziativa.

Siccome il  malcontento – perfettamente legittimo – contro questa nuova politica di Facebook sa di naftalina (cinque mesi su internet sono una eternità), i geek e gli analisti avvertiti se ne sono fatti una ragione e hanno già fatto evolvere il loro uso di Facebook, e cioè lo hanno abbandonato del tutto. E poiché questa aristocrazia del web non ha più oggi l’ impatto che poteva avere ieri, e il web si è massificato (anche se lo si può rimpiangere), tutto sembra indicare che Facebook è sul punto di vincere la sua scommessa.

Chi è editore di un sito web costruito sull’ informazione è avvertito: le conseguenze possono essere fenomenali.

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* Il termine «visitatore unico » è un falso, perché il  VU non è veramente unico. Questa unità di misura dell’ audience, sorta di Graal dei siti web per il mercato pubblicitario, designa un individuo che ha cliccato su un contenuto di un sito almeno una volta nel corso del periodo misurato (di solito un mese), e resta unico anche se nel corso di quel periodo torna più volte sullo stesso sito.

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