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Dal ‘mobile’ una seconda grande occasione

Come i dispositivi mobili salveranno il giornalismo dal suo peccato originale: aver regalato i propri contenuti on-line – Sulla Columbia Journalism Revue Curtis Brainard fa il punto sull’ evoluzione dei mobile devices – Non si tratta ancora di una vera e propria rivoluzione, sottolinea, ma è sempre più evidente che i dispositivi mobili hanno il potenziale di offrire al business del giornalismo una cosa tanto meravigliosa quanto rara: una seconda opportunità – un’ altra chance per monetizzare i contenuti digitali e assicurarsi una futura profittabilità che non è stata colta con l’avvento del Web 1.0 – Le cifre: nel 2008 sono stati venduti 1 milione di lettori con display in carta digitale, cifra che è salita a 5 milioni nel 2009. ed entro il 2018 i dispositivi venduti nel mondo dovrebbero essere 90 milioni – Perché gli utenti sembrano più propensi a pagare per il ‘mobile’?  – Si può pensare al Web come al magazzino di un museo, colmo di ogni sorta di cianfrusaglia polversosa, mentre il ‘mobile’ è identificabile con le gallerie del museo stesso, i cui pezzi sono stati amorevolmente selezionati da esperti in materia. Secondo la qeusta teoria, quindi, una simile esperienza ristretta aggiunge valore ad un prodotto di informazione e fa sì che gli utenti siano disposti a pagare per usufruirne – Ma gli editori devono fare chiarezza su ciò che intendono fare, poiché “non si possono regalare i contenuti su di una piattaforma e farli pagare su un’altra” – Il progetto Next Issue Web, che punta a creare un unico spazio per contenuti digitali di quotidiani e riviste, una sorta di  iTunes per le notizie, in cui gli utenti possono abbonarsi a diverse pubblicazioni per destinarle a qualsiasi tipo di dispositivo – L’ obbiettivo di uno sviluppo di nuovi strumenti metrico-analitici differenti da quelli utilizzati per la pubblicità su carta e su Web

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A second chance

di Curtis Brainard

(traduzione di Andrea Fama)

Parlando con il pubblico dei dispositivi di lettura mobile come Kindle e iPad, tende a saltare fuori una scena del film Minority Report. Tom Cruise, in fuga dalla legge,  viaggia su un treno. Al posto accanto, un uomo legge USA Today su quello che sembra a tutti gli effetti il foglio di un quotidiano, sebbene si tratti chiaramente di un qualche tipo di pellicola digitale, con grafica animata e notizie che si aggiornano in tempo reale. Improvvisamente, sul dispositivo di quel passeggero (così come su tutti gli altri) compare una fotografia di Cruise, con una didascalia che lo indica quale ricercato per omicidio.

Una disdetta per Cruise; puro godimento per i patiti di tecnologia. Sottile come carta, ha il leggero luccichio di un laminato; pur conservando l’aspetto di carta stampata, è evidentemente connesso ad una rete wireless ultra veloce e può accedere istantaneamente alle illimitate informazioni dell’Internet del futuro. Si ha poi l’impressione che, una volta che Cruise abbia lasciato il treno, l’uomo ripieghi lo schermo, lo infili nella sua valigetta e lo ritiri fuori poco dopo, con USA Today (o qualunque altra pubblicazione di suo gradimento) che  lo aspetta con una selezione  aggiornata di articoli. Ahinoi, non esiste nulla di simile … non ancora. Ma è più vicino di quanto si possa immaginare. Steven Spielberg e i suoi hanno sviluppato quell’idea sulla base di un input fornito dalla E-Ink, una società con base a Cambridge, Massachusetts, produttrice di cosiddetta carta elettronica, descritta l’anno scorso dal Boston Globe come “la più interessante società tecnologica” nel distretto di Boston.

È da tempo che Hollywood anticipa un po’ il futuro delle tecnologie più avanzate, e lo stesso si può senz’altro dire in questo caso. Ad aprile ho contattato Sri Peruvemba, direttore marketing della E-Ink. La società era coinvolta in uno dei più cospicui e recenti esempi di ricerca giornalistica del Santo Graal digitale: una copertina di carta elettronica utilizzata dalla rivista Esquire per celebrare il proprio 75° anniversario con l’edizione del settembre 2008. Peruvemba mi ha mostrato un video su YouTube in cui i critici del sito Gizmondo tentano di distruggere l’innovativa copertina: vani i tentativi con le mani, con un coltello e perfino con un accendino.

Gli schermi infrangibili saranno la caratteristica chiave degli e-reader del futuro. Tuttavia, Gizmondo si è rivelato tiepido nei confronti dell’esperimento dell’Esquire: “Si tratta di una mossa per certi aspetti astuta, ma ciò che indica principalmente è l’incredibile miopia che la maggior parte degli editori rivela al momento di accostarsi al futuro digitale delle proprie pubblicazioni”. Probabilmente è vero.

Secondo il New York Times, Esquire ha fatto un investimento a sei cifre solo per sviluppare la batteria – un modello difficilmente sostenibile per il settore, nonostante la Ford abbia acquistato uno spazio pubblicitario su carta digitale, nella copertina interna.

Ma non si tratta solo della batteria, quanto piuttosto dell’approccio da trovata unica e irripetibile. La carta stampata sta ancora affrontando un periodo difficile, la cosiddetta “e-reading revolution” incentivata dalla scoperta della carta elettronica risale a soli tre anni fa. Non si tratta ancora di una vera e propria rivoluzione, ma ciò che sembra sempre più evidente è che i dispositivi mobile hanno il potenziale di offrire al business del giornalismo una cosa tanto meravigliosa quanto rara: una seconda opportunità – un altro tentativo per monetizzare i contenuti digitali e assicurarsi una futura profittabilità che non è stata colta con l’avvento del Web 1.0.

Ho utilizzato la parola “potenziale” poiché vi sono ancora molti se e molti ma in merito alla nozione di “seconda opportunità”. Ma l’ho utilizzata anche perché gran parte del clamore (a seguito del lancio dell’iPad ad aprile, ma già suscitato da Kindle nel 2007) generato intorno a come i lettori digitali potrebbero salvare il giornalismo, ignora – o non riesce a cogliere – ciò che sta effettivamente accadendo. I fautori della rivoluzione credono che un lettore mobile robusto e accattivante sia una manna per gli abbonamenti digitali  e, cosa ancor più importante, per la pubblicità, con modalità e tempi differenti dal Web. Tuttavia, ciò su cui si basa questa teoria – e che il clamore  mediatico tende a trascurare – è la necessità dei media che producono notizie ed altri contenuti di reclamare il controllo dei canali di distribuzione di tali contenuti – quel tipo di controllo che avevano quando la carta stampata era ancora al centro del nostro universo dell’informazione.

Sebbene sia pacifico (anzi, cruciale) che quotidiani e riviste siano disponibili su Kindle e iPad previa sottoscrizione, non è comunque abbastanza. Oltre all’iPad (che di fatto utilizza una etcnologia LCD piuttosto che l’e-paper) vi sono una cinquantina di e-reader al mondo che per i loro schermi utilizzano la carta elettronica. Tra questi, i più conosciuti sono il Kindle, il Sony Reader ed il  Barnes & Noble Nook. Ad ogni modo, come è stato energicamente dimostrato da Amazon nel corso della propria battaglia sui prezzi con gli editori, contare su una terza parte quale un produttore di e-reader ed un rivenditore di contenuti può essere significativamente limitante. Amazon prende il 65% delle entrate derivanti dalla vendita di e-book (a fine giugno, Amazon ha iniziato ad offrire agli editori l’opzione di capovolgere l’equazione in loro favore, ma fare ciò implica sacrificare una significativa fetta del controllo sul prezzo dei libri). Apple è stata più generosa con gli editori, trattenendo solo una commissione del 30% sulle vendite, ed i gruppi editoriali sperano che il lancio dell’iPad e di altri e-reader più vicini alle esigenze degli editori costringa Amazon e similari a rivedere gli accordi secondo condizioni più accettabili.

Ma se gli editori hanno sviluppato, o hanno subappaltato lo sviluppo di un proprio content management system per dispositivi mobili, e hanno aperto negozi digitali per la vendita di quei contenuti, allora potrebbero teoricamente far pagare un abbonamento e tagliare effettivamente fuori gli intermediari. E potrebbero poi utilizzare questi utenti, paganti e fidelizzati – e le relative informazioni demografiche – per attirare inserzionisti. Vi sono segnali che delineano la nascita di uno scenario simile.

Al momento, un progetto denominato Next Issue Media costituisce il tentativo più coraggioso e completo. Fondato nel dicembre 2009, è una partnership di cinque leoni – Condé Nast, News Corporation, Hearst, Meredith, and Time Inc.— che si sono coalizzati per dar vita ad una sorta di Voltron massmediatico che corra in salvo delle casse dell’informazione. L’idea è quella di creare un unico spazio per contenuti digitali di quotidiani e riviste. Editori e consumatori possono utilizzare tale spazio per distribuire ed acquistare contenuti destinati a diversi smart phone, e-reader, tablet, netbook, desktop e laptop (sebbene l’accento vada posto sui dispositivi mobili “tascabili”). Il gruppo non ha intenzione di sviluppare un proprio lettore digitale, ma intende “avviare una partnership con produttori di dispositivi e sviluppatori di software per creare standard tecnici universali in merito alla nostra iniziativa relativa agli e-reader”.

I ragazzi di Next Issue sono cauti circa i dettagli dell’operazione e preferiscono aspettare finché non avranno effettivamente un prodotto da presentare. Ma John Squires, che ha lasciato il suo posto di vice presidente esecutivo presso la Time Inc. per capitanare Next Issue Media, mi ha rivelato che una delle principali priorità riguarda lo sviluppo di una piattaforma aperta e semplice al fine di facilitare gli editori nella distribuzione e formattazione dei propri contenuti su una varietà di schermi differenti – ovvero un sistema “che mantenga i tratti distintivi delle pubblicazioni su una gamma variegata di dispositivi, a seconda dei sistemi operativi utilizzati e della grandezza degli schermi”, stando a quanto si legge sul sito Web del gruppo. “Per gli editori la gestione diretta dei rapporti con i propri utenti è una criticità”, chiosa Squires.

Questa funzione di back-end faciliterà la creazione di una sorta di negozio on-line – come un iTunes per le notizie – in cui gli utenti possono abbonarsi a diverse pubblicazioni per destinarle a qualsiasi tipo di dispositivo. Secondo Squires, si tratta di “una sfida tecnologica discretamente complicata”. Di fatto, secondo il media editor di NRC Handelsblad, un quotidiano olandese che dal 2008 pubblica i propri contenuti in versione digitale per diversi dispositivi di lettura elettronici, sostiene che la creazione di una piattaforma editoriale efficiente costituisce effettivamente una sfida, ma è allo stesso tempo il primo, e forse il più importante, passo da compiere per attirare i lettori. Inoltre, evidenzia come andare per tentativi costituisca l’unica strada da percorrere, e sottolinea che gli editori non dovrebbero aspettare “l’eco-sistema perfetto” per avviare una sperimentazione con i nuovi prodotti digitali (approccio, questo, in cui ’Europa è generalmente più avanti degli Stati Uniti).

Il passo successivo riguarda lo sviluppo di procedure semplificate per gli inserzionisti che intendano lanciare nuove campagne con uno o più editori, e attraverso uno o più dispositivi.  In merito, Squires afferma che Next Issue Media lavorerà insieme ai pubblicitari allo sviluppo di nuovi strumenti metrico-analitici differenti da quelli utilizzati per la pubblicità su carta e su Web (l’idea di fondo è quella di misurare l’engagement attraverso le inserzioni piuttosto che i click). Questo significa analizzare principalmente quanto tempo i lettori trascorrono su una determinata pagina, soprattutto in presenza di un’inserzioni di grandi dimensioni 8cosa che in parte già avviene). Tale schema consentirà a ciascun editore di monitorare le vendite ed i prezzi della propria pubblicità che appare sulla piattaforma.

Tutto ciò richiederà del tempo, ma Squires si dice fiducioso di poter annunciare qualcosa di importante tra la fine dell’estate e l’autunno.

Tutte le società che compongono Next Issue Media sono state lungimiranti, tecnologicamente sagge, anche prima di unire le proprie forze, e forse chi più di tutte rispecchia queste caratteristiche è Hearst, che nel 1997 ha contribuito al lancio di E-Ink. Hearst continua ad essere un apripista, avendo investito due anni fa in una società denominata FirstPaper, di cui non si sapeva molto fino ad un anno fa, quando ha cambiato il proprio nome in Skiff, LLC e ha lanciato un brillante sito Web in cui delineava i propri obiettivi. Così come Next Issue Media, anche Skiff mira a creare un’infrastruttura editoriale e pubblicitaria gestibile da back-end, e con un proprio negozio in front-end, ma i due progetti sono indipendenti. A differenza di Next Issue, Skiff sta inoltre testando le acque dell’hardware, avendo sviluppato un lettore con uno schermo touch di carta elettronica da 11,5 pollici. Si tratta di un lettore flessibile, resistente e leggero, impiantato in un dispositivo rigido in cui sono alloggiati i supporti elettronici. Sembra un ibrido tra Kindle e iPad, anche se probabilmente sarà più vicino alle funzionalità del primo – sempre che Skiff intenda lanciarlo sul mercato.

A giugno, News Corporation ha acquisito la piattaforma editoriale di Skiff da Hearst, lasciando incerto  il futuro del lettore. Di fatto, prima che l’affare fosse annunciato, molte persone da me intervistate hanno sostenuto Skiff stesse ripensando al lancio del dispositivo per concentrasi, invece, sulla piattaforma editoriale e pubblicitaria – seguendo le orme di Next Issue Media. Tuttavia, né Hearst (che tuttora possiede il lettore), né Skiff hanno voluto rilasciare commenti.

Mentre il lettore di Skiff attende il proprio destino, un dispositivo denominato Que, prodotto dalla Plastic Logic, si sta evolvendo e punta alla comunità degli uomini d’affari offrendo “notizie che sembrano notizie”. Si tratta di un dispositivo simile a quello di Skiff, il cui processo di sviluppo è sostenuto dalla stretta collaborazione  di USA Today e del Financial Times, unitamente al Detroit Media Partnership che gestisce il Detroit Free Press ed il Detroit News. (Il Que store, inoltre, ha già visto l’adesione di circa 25 tra quotidiani e riviste).

Patricia Kelly, vice presidente responsabile delle soluzioni digitali presso il Detroit Media Partnership, sostiene che “questo è un approccio migliore piuttosto che restare in attesa che qualcuno si inventi qualcosa e poi essere costretti ad inseguirlo”. Ad esempio, tra le soluzioni più interessanti vi è la possibilità per i quotidiani di personalizzare le proprie pagine in modo profondamente diverso rispetto a quanto consente Kindle, la cui principale destinazione d’uso sono gli e-book.

Costruire strumenti ed infrastrutture costituisce un passo cruciale lungo la strada per una seconda opportunità. Ma una volta gettate le fondamenta, i lettori saranno pronti a seguire quella strada? E, soprattutto, saranno pronti a pagare?

È importante comprendere che finora gli e-reader non hanno fatto nulla per migliorare il giro d’affari dell’ industria giornalistica. Molti addetti ai lavori da me intervistati si sono detti “ottimisti” riguardo al potenziale di lungo periodo dei dispositivi mobili. Li considerano un’opportunità, sebbene non sappiano dire quanto grande, e la maggior parte di loro è scettica in merito alla possibilità che le entrate derivanti da abbonamenti e pubblicità possano tornare ai livelli precedenti ad Internet. Inoltre, diverse autorità in questo campo, come Sarah Rotman Epps che studia il settore degli e-reader e dei media per conto di Forrester Research, sottolineano come molti big dell’industria dei media abbiano “problemi ereditari” – debiti, spese, immobili, strutture lavorative rigide, ecc. – difficilmente risolvibili grazie alla tecnologia.in un simile contesto, tutto è possibile, ma un certo numero di variabili determinerà se questa seconda opportunità è davvero così grande come alcuni pensano.

La prima e più significativa variabile è se – e perchè – gli utenti continueranno a pagare per i contenuti su mobile. Dopo tutto, il fatto che molte persone abbiano già accettato l’esigenza di pagare costituisce, dal punto di vista degli editori, la magia più elementare compiuta dagli e-reader. In merito al funzionamento di tale magia vi sono molte teorie. Una delle più logiche è che i dispositivi mobili hanno consentito ciò che Epps chiama “il ritorno ad un’informatica di qualità”. Fondamentalmente, gli abbonamenti a Kindle o le applicazioni per iPhone offrono un’esperienza di lettura più ristretta rispetto al Web, ma proprio per questo migliore. A differenza del caos di link, immagini e inserzioni che campeggiano su una pagina Web, i lettori mobili offrono all’utente una lista semplice e ricercata di top stories, e nulla di più. Si può pensare al Web come al magazzino di un museo, colmo di ogni sorta di cianfrusaglia polversosa, mentre il mobile è identificabile con le gallerie del museo stesso, i cui pezzi sono stati amorevolmente selezionati da esperti in materia. Secondo la qeusta teoria, quindi, una simile esperienza ristretta aggiunge valore ad un prodotto di informazione e fa sì che gli utenti siano disposti a pagare per usufruirne.

La magia, tuttavia, riguarda anche le transazioni: gli utenti hanno bisogno di modalità di pagamento semplificate. I dispositivi mobili consentono agli editori di incassare i soldi dei consumatori tramite modalità inedite per il Web sin dai tempi d’oro di America Ondine negli anni ’90. A quel tempo, gli utenti fornivano ad AOL i dati della propria carta di credito, ottenendo in cambio sia l’accesso che i contenuti quali e-mail, giochi e notizie. I contenuti, in pratica, erano legati all’accesso. Con l’arrivo della banda larga, i contenuti sono stati separati dall’accesso. Gli utenti hanno iniziato a pagare i provider, come Time Warner Cable, per l’accesso, che però non comportava più servizi come e-mail giochi o notizie. Questo genere di contenuti poteva essere reperito altrove sul Web e, ovviamente, molti siti lo offrivano in forma gratuita. È così che il Web ha ingannato l’industria giornalistica inducendola a pensare che gli utenti non avrebbero pagato per un servizio di news ben curato ed organizzato, sebbene le modalità fossero estremamente semplici. Secondo alcuni, i lettori mobili stanno riallacciando il legame tra accesso e contenuti.

Squires sospetta che uno dei motivi che hanno consentito ad Amazon di alimentare la “rivoluzione” dell’e-reading, per come la conosciamo, sia il fatto che, al momento del lancio di Kindle, fosse già in possesso dei dati di carta di credito di migliaia di consumatori, il che ha agevolato le loro procedure di acquisto dei libri. Lo stesso vale per gli iPad e gli iTunes store: un’unica carta di credito compra l’accesso e tutti i contenuti – incluse le notizie – richiesti dagli utenti.  “Le difficoltà dei content provider a farsi pagare per i propri contenuti – afferma Squires – non riguarda la presunta mancanza di valore aggiunto degli stessi, ma piuttosto la mancanza di una modalità di pagamento per i consumatori”.

E qui sorge l’inghippo. I browser saranno sempre popolari, poiché le barriere della Rete sono state abbattute definitivamente (AOL ne è la prova) e gli utenti vogliono tutti i contenuti gratuiti ai quali i browser danno accesso. I siti dei media attualmente costituiscono l’ultimo fronte di resistenza a questo processo. A questo punto, gli editori devono capire che il valore della “rivoluzione” dei lettori elettronici non riguarda l’opportunità di monetizzare i contenuti digitali esclusivamente su mobile, quanto piuttosto la possibilità di fare cassa su tutte le piattaforme. I siti Web, infatti, devono rientrare nell’equazione. “Gli editori  – continua Squires – devono fare chiarezza su ciò che intendono fare, poiché non si possono regalare i contenuti su di una piattaforma e farli pagare su un’altra”.

Laddove i consumatori i consumatori fossero disposti a pagare per i contenuti, la questione sarebbe come strutturare i prezzi per uno store funzionale ad un’intera gamma di dispositivi e pubblicazioni. Next Issue Media, Skiff e diverse altre società si stanno confrontando sulla possibilità di adottare modelli di abbonamento che consentano – ad un unico prezzo – l’accesso a contenuti per tutti i dispositivi, mobili e non. Così facendo, si creerebbe essenzialmente un nuovo, prezioso servizio – una multipiattaforma, un unico abbonamento – piuttosto che metterne improvvisamente a pagamento uno vecchio che era invece gratuito. Questo abbonamento digitale è anche associabile all’edizione stampata, ma nel futuro prossimo i gruppi editoriali sono propensi a lanciare una struttura gerarchizzata per gli abbonamenti, prevedendo l’opzione “stampa”, “digitale” o “entrambi”.

Il Wall Street Journal ha utilizzato tale sistema diventando il quotidiano con la maggiore tiratura nel Paese. L’abbonamento settimanale per l’applicazione iPad è di 3,99 dollari (ma è disponibile in forma gratuita per un limitato lasso di tempo), rispetto ai 2,69 dollari per la versione cartacea e on-line, 2,29 solo per quella cartacea e 1,99 per quella on-line. L’abbonamento per Kindle costa 14,99 dollari al mese, poco meno rispetto a quella per iPad. (Il Journal ha aggirato la condivisione delle entrate con Apple mettendo a disposizione gratuitamente l’applicazione e richiedendo agli utenti di pagare direttamente al Journal stesso per l’iscrizione a cui è legato l’utilizzo dell’applicazione – ingegnoso, anche se macchinoso). Amazon non rilascia i dati relativi agli abbonamenti ai quotidiani, ma il Journal ha recentemente rivelato che gli abbonamenti per iPad sono 64.000 e quelli per Kindle 15.000, rispetto ai 2 milioni relativi alla tiratura cartacea.

Ma gli abbonamenti non hanno mai pagato i conti dei giornali. La vera fonte di guadagni è, naturalmente, la pubblicità, e questo è il vero problema di Kindle. Una volta superata la questione delle infrastrutture e degli abbonamenti, è necessario risolvere il probelma della pubblicità.  Il fatto che questi dispositivi non abbiano ancora sviluppato un modello per supportare la pubblicità ha scatenato la frustrazione dei media che lavorano con Amazon e, nonostante le ripetute promesse che tale capacità di supporto sia alle porte, nessuno sa con certezza quando sarà effettivamente disponibile.

Nel frattempo, il nuovo sistema operativo per iPhone e iPad (OS 4) includerà una piattaforma per la pubblicità su mobile (iAd), che sarà a disposizione dei media e di altri sviluppatori affinché inseriscano inserzioni personalizzate direttamente nelle proprie applicazioni. Funzione esattamente come il servizio standard offerto da Google per la pubblicità su Web (AdMob), ma anche i suoi stessi limiti, nella misura in cui Apple controlla le strategie e le vendite pubblicitarie. E come Google, anche Apple probabilmente inseguirà le campagne pubblicitarie di portata nazionale piuttosto che quelle locali che finora hanno rappresentato una periodica fonte di guadagno.

Non è chiaro in che modo i servizi pubblicitari di Next Issue Media e Skiff si rapporteranno ad iAd ed AdMob. Senz’altro entrambi stringeranno un qualche tipo di accordo con gli editori per la condivisione delle entrate – da Next Issue fanno sapere che gli editori controlleranno le vendite ed i prezzi della pubblicità, il che è un passo nella giusta direzione per il business dell’informazione. I vertici editoriali ritengono che, una volta messa in piedi l’infrastruttura, gli abbonati (paganti) ai servizi mobili rappresenteranno un’audience di sicuro interesse per gli inserzionisti, specie in considerazione dell’iper-targetizzazione pubblicitaria offerta dai dispositivi in questione.

Dalla struttura per gli abbonamenti alla pubblicità, vi sono molti angoli bui circa la forma che assumerà il mercato degli e-reader in merito all’informazione. Le risposte arriveranno solo attraverso una sperimentazione aggressiva – tentativi ed errori. Questo è un processo già avviato in Europa, i cui sforzi hanno già fruttato qualche lezione per il mercato americano. Un quotidiano fiammingo che nel 2006 ha distribuito 200 e-reader ai propri abbonati, ha rilevato che molti di questi hanno paragonato l’esperienza alla lettura del prodotto cartaceo piuttosto che alla versione on-line, e il 45% di essi ha affermato di aver preso in considerazione l’acquisto di un e-reader. Il quotidiano olandese NRC Handelsblad ha ampliato la gamma di dispositivi a cui destinare la propria edizione digitale a seguito delle “significative vendite” derivate dal lancio su iRex iLiad avvenuto nel 2008. In altre parole, al pubblico queste cose piacciono e pagherebbe perché includessero anche l’informazione.

Secondo una ricerca condotta da Next Issue Media, i consumatori hanno manifestato un grande interesse nei confronti degli e-reader e dell’informazione digitale, soprattutto una volta che hanno assistito ad una dimostrazione. Tuttavia, negli USA la maggior parte dei media ha proceduto con cautela. “Ciò che vedo è osservazione, attesa e iniziative sporadiche”, afferma Sarah Rotman Epps di Forrester.

Tuttavia, vi sono segnali che questa situazione – a prescindere da Next issue, Skiff e Plastic Logic – stia cambiando. Media News Group, che possiede 54 testate di varia entità negli USA (oltre a più di 200 riviste di nicchia) sta cercando, alla stregua di Next Issue Media, di creare un’infrastruttura di back-end  tale da consentire la distribuzione di contenuti sull’intera gamma di piattaforme digitali (con accordi siglati anche con Skiff e Que). E tre anni fa, il Reynolds Institute presso l’Università del Missouri h ha lanciato la Digital Publishing Alliance al fine di condurre ricerche sul mercato mobile e sviluppare migliori prassi e procedure standard per gli e-reader ed altri dispositivi mobili.

Tuttavia, dato lo stato dell’economia e l’umore malandato dell’intero comparto dell’informazione statunitense, supporre che la rivoluzione degli e-reader sia a portata di mano sarebbe ingenuo. Alla luce di ciò, nel marzo 2009, il Digital Advisory Committee, facente capo alla Newspaper Association of America, ha organizzato un incontro (il primo nel suo genere) con i produttori di e-reader al fine di far familiarizzare i partecipanti con alcuni dei prodotti di punta.

Sebbene il gruppo non ritenga che gli e-reader costituiscano una tecnologia in grado di sovvertire le regole del gioco, secondo Randy Bennett, presidente per lo sviluppo della NAA, in molti hanno fiutato l’opportunità di ripristinare parte dei propri guadagni. Derek Robinson, contro parte di Bennett presso il Cox Media Group (che possiede 45 quotidiani), ha sviluppato un modello finanziario per misurare i potenziali effetti economici derivanti dal trasferimento di migliaia di abbonati dal cartaceo al digitale. La risposta? Ci vorrebbero poco più di 4 anni per andare in pari con l’investimento che comporterebbe la migrazione.

Non sarebbe così male, forse, se non fosse che il modello è pieno di dati fittizi. Ad esempio, secondo il modello un abbonato su carta genera entrate pubblicitarie pari a 700 dollari, in base ai dati forniti dalla Newspaper Association of America, mentre lo stesso abbonato frutterebbe solo il 20% in meno su un e-reader. Si tratta di una stima quantomeno dubbia. Di fatto, altri dati forniti dalla NAA (che non sono stati utilizzati nel modello) riportano un valore pari al 95% in meno rispetto alla carta stampata (46 dollari di entrate pubblicitarie per ogni utente unico al mese). È opinione comune, tuttavia, che nonostante si stia spingendo molto il mercato degli e-reader, affrettare il passaggio al mobile sarebbe una mossa poco saggia.

Alla fine di maggio, ho partecipato alla conferenza annuale del Society for Information Display, durante la quale le società di tutto il mondo presentavano i propri schermi basati su una vasta gamma di tecnologie. Secondo Display Search, nel 2008 sono stati venduti 1 milione di lettori con display in carta digitale, cifra che è salita a 5 milioni nel 2009. Secondo la stessa ricerca di mercato, entro il 2018 I dispositivi venduti nel mondo saranno 90 milioni, di cui 20 milioni con schermi da 10 pollici o anche più – i cosiddetti e-newspaper ed e-magazine. Kindle e Sony Reader controllano insieme oltre il 50% del mercato, ma è opinione comune che vi siano tutti i margini perché una dirompente innovazione tecnologica possa catapultare un astro nascente nell’olimpo della lettura digitale.

L’iPad, che ha venduto 1 milione di pezzi nel primo mese dopo il lancio (Kindle ne ha venduti mezzo milione durante il primo anno), ha portato maggiore attenzione sui lettori elettronici e sui dispositive mobile in generale. Il clamore suscitato dall’iPad ha generato numerosi dibattiti sulla possibilità o meno che quest’ultimo fosse l’anti-Kindle. Si può affermare serenamente che, date le differenti qualità e modalità di utilizzo dei consumatori – la lettura (Kindle) rispetto all’intrattenimento (iPad) – non è questo il caso.

Ad ogni modo, ciò che mi risulta chiaro è che discutere su quale tecnologia sia migliore va oltre il reale punto della questione.

Il ritmo dello sviluppo tecnologico è tale che fra 10 anni i lettori elettronici saranno diventati come le televisioni ed i cellulari, vale a dire che vi saranno centinaia di modelli accessibili che faranno sostanzialmente le stesse cose. Come ha scritto Derek Robinson della succitata Cox, aggiornando un sondaggio realizzato per la Newspaper Association of America, “gli e-reader potrebbero essere la punta dell’iceberg … noi abbiamo iniziato a guardare oltre gli e-reader e abbiamo preso in considerazione l’intero ecosistema delle piattaforme emergenti”.

Ecco perché mantenersi avanti rispetto alla curva del ciclo di vita della tecnologia – sia per quanto riguarda l’hardware che il software – è di fondamentale importanza. Mentre i produttori inseguono i lettori elettronici in grado in grado di fare tutto come in Minority Report, i media devono seguire la strada tracciata da Next Issue e stringere partnership strategiche che gli consentano di influenzare i prodotti e di trasferire tali meccanismi sul mercato. I livelli di tiratura ed i dollari della pubblicità appartengono al passato e sono andati per sempre, ma vi è la reale opportunità di riprendere il controllo del futuro finanziario del giornalismo. Le seconde opportunità sono rare, e se ci lasciamo sfuggire questa possibilità di capitalizzare i contenuti digitali, potremmo non averne una terza.


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