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Primi esperimenti di ‘’portable magazines’’: dall’ iPhone ai tablets

Negli Stati Uniti molte riviste si installano sui palmari o preparano dei layout pensati per i prossimi dispositivi portatili – A gennaio comincia Esquire con una edizione per iPhone che costerà 2,99 dollari – Ma il mondo dell’editoria sta già guardando al di là dell’iPhone, puntando sui cosiddetti “tablet” che avranno uno schermo più grande e, di conseguenza, una maggiore leggibilità – In questi nuovi giocattolini “puoi mettere quanti fuochi artificiali ti pare” – Grandi potenzialità anche per gli inserzionisti (i nuovi dispositivi possono, ad esempio, misurare il tempo che un lettore dedica ad una determinata inserzione) e non è quindi un caso che i grandi nomi dei magazine a stelle e strisce – Time, Condé Nast, Meredith, Hearst e News Corp – si siano uniti per sviluppare standard elettronici condivisi da tutti

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di Matteo Bosco Bortolaso

New York – Riviste a portata di palmare, dovunque e comunque: Esquire e GQ sperimentano una versione dei loro contenuti per l’iPhone, mentre Wired e Sports Illustrated preparano layout pensati per dispositivi portatili che verranno presto lanciati sul mercato.

Come rileva il New York Times, “gli editori stanno usando questa opportunità per ridefinire il loro business model”. Per Ned May, responsabile della società d’analisi Outsell, la migrazione dalla carta ai domini digitali “potrebbe aiutare a riportare non solo il controllo, ma anche la fiducia in quelle testate che negli ultimi anni sono cadute in una spirale della morte”.

Insomma, una rinascita in tutto i sensi, anche perché i primi esperimenti di “portable magazines”, a parere del quotidiano newyorchese, avevano lasciato parecchio a desiderare: “Le applicazioni per l’iPhone erano gratuite, con poche innovazioni rispetto a quello che erano riusciti a fare altri sviluppatori di software, e il ricco design della carta stampata non era tradotto sul touch screen”, scrive Stephanie Clifford.

Sarà perciò interessante studiare l’edizione per iPhone di Esquire di gennaio, che costerà 2,99 dollari. “Nell’industria delle riviste, con ben poche eccezioni, abbiamo sempre fatto pagare troppo poco per i nostri prodotti”, sostiene David Granger, direttore del magazine maschile, riferendosi tanto alla versione cartacea, venduta a suo parere ad un prezzo troppo basso, tanto a quella elettronica, diffusa gratuitamente. “La situazione è cambiata – continua Granger – e tutti noi, in qualche maniera, abbiamo dei rimpianti per quello che i nostri antenati non hanno fatto”.

Alla Condé Nast, il direttore editoriale Thomas Wallace ha annunciato che le applicazioni portalili verranno sviluppate in base all’uso e le richieste degli utenti, in un continuo work-in-progress di sperimentazioni. La società editoriale farà pagare la versione iPhone di GQ, e lo stesso accadrà per Entertainment Weekly di Time Inc.

In realtà, il mondo dell’ editoria sta già guardando al di là dell’iPhone, puntando sui cosiddetti “tablet” che avranno uno schermo più grande e, di conseguenza, una maggiore leggibilità. Ci sta lavorando da tempo Hewlett-Packard. E, secondo alcune voci, pure Apple.

Il direttore editoriale di Condé Nast sostiene che in questi nuovi giocattolini “puoi mettere quanti fuochi artificiali ti pare”: grafica interattiva, collegamenti con pagine pop-up, audio, video, possibilità di selezionare e spedire foto, testi, collegarsi ai commenti, anche via Twitter. Ci saranno più scatti dell’edizione patinata e l’ordine degli articoli, solitamente imposto dall’indice, potrà essere modificato a proprio piacimento.

Le potenzialità sono parecchie anche per gli inserzionisti: i nuovi dispositivi portatili possono, ad esempio, misurare il tempo che un lettore dedica ad una determinata pagina pubblicitaria.

Non è un caso che i grandi nomi dei magazine a stelle e strisce – Time, Condé Nast, Meredith, Hearst e News Corp – si siano uniti per sviluppare standard elettronici condivisi da tutti. “Non penso che sia mai accaduto prima”, spiega Robert Sauerberg, veterano dell’editoria statunitense che si occupa di consumer marketing alla Condé Nast.

La santa alleanza delle testate più prestigiose è dovuta proprio al marketing: gli editori “cartacei” hanno imparato da tempo a studiare le abitudini dei loro lettori e delle loro lettrici, sanno quando possono essere interessati ad una rivista “cugina”, sanno quando è il momento di rinnovare l’abbonamente e a che prezzo. E, di conseguenza, inondano di offerte i propri clienti.

Questa indagine di mercato individualizzata, al momento, non è fattibile se i contenuti vengono acquistati attraverso iTunes (il quale, tra l’altro, offre agli editori solo una percentuale delle vendite).

Insomma, gli editori vogliono diventare “telematici”, ma con pieno controllo dei loro affari.

“Pensate forse che l’industria dell’hardware debba stabilire gli standard? non dovrebbe forse essere aiutata dagli editori?”, chiede retoricamente John Squires, capo ad interim dei grandi nomi alleati per il passaggio al digitale.

Insomma, ci sono grandi movimenti per una migrazione che potrebbe essere sofferta e lasciare vittime. Adobe, gigante di publishing software, sta cercando di inserirsi tra chi produce i contenuti e chi sta forgiando i nuovi mezzi di comunicazione.

E qualcuno, all’interno della santa alleanza, sta giocando anche su altri fronti: Hearst sta sviluppando, da sola, un sistema ad hoc chiamato Skiff. E Condé Nast ha avuto contatti privilegiati con Apple. Citando il titolo di un film di qualche mese fa: There will be blood.

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