Per un giornalismo che già oggi vive il suo domani

perugia1 Il Festival di Perugia si è chiuso con un Mediacamp che ha affrontato tutti i temi più caldi della professione, dal destino dei giornali di carta alle nuove figure del mondo dell’ informazione, come i ‘vanguard journalist’ di Current tv, accolti come vere e proprie star

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(a cura di Andrea Fama)

E’ stato il MediaCamp allestito da Vittorio Pasteris e Luca Conti a chiudere un Festival del Giornalismo vivo e coinvolgente, durante il quale sono stati affrontati in maniera aperta tutti i temi più caldi della professione, dal destino che  attende i giornali di carta alle nuove figure del mondo dell’informazione (come ad esempio i vanguard journalist di Current Tv, accolti come vere e proprie star), dalla  superata contrapposizione tra New e Old Media fino alla necessità appurata di una loro integrazione. Durante il Festival (e la chiosa del MediaCamp non fa eccezione) sono state sviscerate verità assodate, sorprendentemente accolte come rivoluzionarie, in un paese come l’Italia dove ancora si stenta ad affrontare certi temi con maggiore normalità.

Ma veniamo al vivo di questa giornata finale, cercando innanzitutto di capire cos’è un MediaCamp, ovvero una conferenza informale basata su una forte interazione tra oratori e pubblico, i cui ruoli si alternano e si sovrappongono nel tentativo di instaurare un dialogo aperto ed orizzontale, pronto ad accogliere e a far fruttare idee, esperienze e contributi provenienti dalle realtà più disparate.

Ed infatti il programma in carnet per questa domenica si presenta decisamente ricco, con una scaletta di interventi variegata ed interessante, a dimostrazione che certo mondo dell’informazione è più che mai vivo e partecipativo, grazie all’energia e all’entusiasmo di numerosi giovani, perfettamente coadiuvati da figure di spicco del giornalismo italiano, la cui esperienza funge da base di lancio comune per  i nuovi stimoli provenienti dal basso.

Il primo di questi stimoli, in realtà, più che dal basso proviene da una terza dimensione che "minaccia" di sovvertire ancora una volta i parametri del web: il 3.0, la nuova frontiera della tridimensionalità on-line. A portare a galla la questione è Carmela Modica che, citando l’imprescindibile Second Life, mette in guardia circa il potenziale monopolistico alla radice del patto che vorrebbe Linden Lab e IBM unite per dettare le nuove regole del 3.0, in una sorta di remake del film che per anni ha visto come protagonisti Micorsoft e il suo Windows. Fulcro dell’intervento è la constatazione che Second Life, a dispetto di quanto si potesse pensare fino a non troppo tempo fa, non è una vetrina in cui tutti si riversano nel tenativo di far fruttare business talvolta anche improbabili, bensì un universo parallelo dal duplice centro gravitazionale: la ricerca scientifica e l’e-learning (pratica che in Italia inizia a muovere i primi incerti passi, ma che in realtà affermate quali Harvard corre già con le proprie gambe).

Altro prezioso intervento in scaletta è quello di Massimo Burgio, guru del search marketing. Burgio affronta il tema del personal broadcasting, etichetta che racchiude numerose realtà accomunate da un’unica certezza: i media siamo noi. Noi che "cinguettiamo" su Twitter, che condividiamo foto e video, o che semplicemente diffondiamo messaggio via sms – e lo facciamo di continuo. Il personal broadcasting è una realtà che probabilmente acquisterà un peso sempre maggiore nel panorama informativo globale, ma ad oggi presenta un nervo pericolosamente scoperto: la rintracciabilità e la visibilità dei contenuti. La chiave per poter essere rilevabili, e quindi rilevanti, nel magma informativo del terzo millennio risiede in un uso più accurato e consapevole di strumenti quali il SEO (search engine optimization) e il SEM (search engine marketing). Infatti, solo imparando ad usare keyword piuttosoto che tag mirate, ad esempio, è poi possibile essere rilevati dai motori di ricerca e quindi esistere concretamente sul web.

Parallelamente ai tentativi di emersione dei contenuti digitali, bisogna segnalare la scomparsa dai radar dell’informazione di una figura chiave che sta però diventando sempre più effimera. Parliamo del lettore, entità ormai ectoplasmatica che i media non pongono più al centro del proprio servizio, subordinandola a priorità di natura politico-economiche che oggi costituiscono la mission reale, seppur non dichiarata, di molti organi di informazione. Il lettore, infatti, costituisce solo il 20% del conto economico di un giornale, ad esempio, surclassato da pubblicità e finanziamenti. E’ proabilmente proprio da questo dato che scaturisce la scarsa considerazione nei confronti del lettore, al quale spesso non si riconosce neanche l’autonomia e la dignità culturale che merita, trasformando le notizie – anche quelle di cronaca – in strumenti di moralizzazione ed indottrinamento rivolti ad un pubblico che si vorrebbe incapace di fruire di un’informazione "al naturale", scevra quindi da retaggi morali imposti da questa o quella testata giornalistica.

Saltando di palo in frasca, la conversazione del BarCamp perugino si sposta su un altro illustre desaparecido della scena mediatica attuale: il giornalismo di inchiesta. I reportage sul campo costano notoriamente troppo per redazioni ridotte al lumicino, ormai sempre più assimilabili a distributori di contenuti piuttosto che produttori. A cogliere le opportunità che si nascondono tra le crepe di questa crisi è FreeReporter.info, piattaforma di intermediazione tra freelance globali e media mainstream, due realtà che difficilmente trovano un comune campo di interazione. La volontà di FreeReporter è proprio quella di colmare questo vuoto esistente tra due realtà che devono necessariamente imparare a dialogare, fornendo ai media tradizionali la possibilità di acquistare inchieste di qualità a prezzi notevolmente inferiori rispetto agli standard, e allo stesso tempo mettendo i freelance in condizione di essere visibili e appetibili per apparati mediatici internazionali difficilmente raggiungibili da chi non è introdotto nel grande circo dell’informazione mainstream.

Last but not least, non si può non segnalare l’intervento di Luca De Biase, direttore di Nòva24, novella testata del Sole24Ore dedicata al giornalismo dell’innovazione. Questa forma di giornalismo è per definizione una scommessa avvincente dagli esiti quasi sempre incerti. La sua ragion d’essere è, come nel caso del giornalismo tradizionale, la ricerca delle notizie. Ma si tratta di notizie innovative, appunto, che propria natura possono essere verificate solo dal tempo, unico attore in grado di decretarne bontà e veridicità, ancghe se solo a posteriori. Anche il giornalismo innovativo, però, corre sugli stessi binari di quello tradizionale. Da un lato, infatti, spadroneggia il motto del "così fan tutti", sintetizzabiile in una copia spudorata dei prodotti giornalistici. Dall’altro, invece, il più nobile e rassicurante riferimento alle autorità, alla citazione delle fonti autorevoli. Il grande punto interrogativo di questo giornalismo, però, consiste nel fatto che quelle stesse fonti che per anni sono state considerate innovative, non è detto che lo siano per sempre, rendendo l’attività giornalistica un’avvincente ricerca e una scommessa continua.

Tra i punti di forza di Nova24 c’è sicuramente il NovaLab, un’officina della sperimentazione giornalistica in cui gli utenti possono contribuire alle storie fornendo spunti, correzioni e integrazioni al prodotto giornalistico che, in virtù di ciò, si trasformerebbe finalmente in quel processo informativo a cui ambisce il giornalismo moderno e di cui tanto si è discusso anche durante il Festival appena conclusosi.