Site icon LSDI

Giornalismo di qualità: ripiegare per difenderlo

Due prese di posizione recenti di Anne Nivat, nota reporter di guerra, e di Marcel Gauchet, filosofo francese (nella foto) – La prima denuncia la deriva e lo schematismo del ‘’giornalismo da funzionari’’, il secondo spiega perché ‘’non c’ è altra via d’ uscita per il giornalismo di qualità se non un suo provvisorio ripiegamento su una diffusione ‘confidenziale’ ed ’elitista’, in attesa che passi ’questo momento’ di transizione”

———-

Due prese di posizione lucide e senza illusioni sullo stato del giornalismo ‘’di qualità’’ oggi, che nello stesso tempo sono una forte perorazione in sua difesa per cercare di preservarne il futuro. Le segnala Narvic sul suo Novovision.

Si tratta di una intervista di Sophie Lebeuf su Evene.fr alla reporter di guerra Anne Nivat, che denuncia un giornalismo ‘’da funzionari’’,  il cui schematismo nella lettura dei conflitti confina con la ‘’disinformazione’’, e difende al contrario l’ impegno personale, un giornalismo sul campo, soggettivo, curioso ed empatico, nel rispetto delle persone e che privilegi il ritmo della lentezza. E poi di una intervista di Josyane Savigneau per Le Monde al filosofo Marcel Gauchet,  secondo cui non c’ è altra via d’ uscita per il giornalismo di qualità se non un suo provvisorio ripiegamento su una diffusione  ‘’confidenziale’’ ed ‘’elitista’’, in attesa che il giornalismo si ricostruisca dopo ‘’questo momento’’ di transizione.

Giornalisti funzionari?

Grande reporter di guerra indipendente e premio Albert-Londres, Anne Nivat denuncia un  ‘’sistema mediatico’’ che tratta i conflitti in maniera così rapida e schematica da ‘’arrivare a volte a una copertura dell’avvenimento che sfiora la disinformazione’’. La giornalista punta invece, al contrario, sul concetto di ‘’lentezza’’, sull’ immersione e la soggettività, un giornalismo sul campo, che è fatto di ‘’curiosità’’, di ‘’empatia’’ e di ‘’rispetto’’, piuttosto lontano da quello che in corso nelle redazioni dei vari media:

Le gerarchie nelle redazioni sono molto complesse: tutto è molto ‘funzionarizzato’. In molte redazioni francesi il giornalista è diventato quasdi una specie di funzionario. E’ un assoluto paradosso! Come si potrebbe continuare ad esercitare questo vaoloso mestiere di giornalista, il cui motore principale è la curisità, avendo un comportamernto da funzionario? Evidentemente, le cose non sono facili da coprire, il mondo è sempre più complesso, ma io credo che bisogna osare. 

I giornalisti sul campo restano quindi indispensabili alla copertura dei conflitti armati:

Se noi, i sedicenti reporter di guerra, non andiamo più nei luoghi dove c’ è la guerra, chi ci andrà? Chi lo farà? Si lascerà il posto a quella potenza che ha già preso molto spazio, quella dei servizi di comunicazione degli eserciti in campo. E questo significherà che il giornalismo è scivolato molto tendenziosamente verso la comunicazione. I servizi di informazione dell’ esercito americano, come quelli delle forze armate impegnate in Afghanistan sono molto efficaci. Hanno capito molto bene l’ improtanza della comunicazione in relazione al giornalismo e come possono lusingare il giornalista per farne un alleato.

Un ripiegamento confidenziale ed elitista

Il filosofo e storico Marcel Gauchet ritiene che la stampa scritta si sforzi inutilmente nel tentativo di ‘’cercare a ogni prezzo dei ‘nuovi lettori’ ipotetici, mentre sarebbe più saggio concentrarsi sui lettori motivati’’.

Ridurre l’ ampiezza degli articoli, privilegiare il vissuto, privarsi dell’ esperienza accumulata da giornalisti altamente competenti nel loro settore è suicida. Dal fatto che si sfoglia un quotidiano gratuito per cui non si versebbero neanche 10 centesimi non è lecito dedurre che si è pronti a comprare la stessa cosa in meglio – presentata meglio e scritta meglio – per 1,30 euro. Questo modello di ‘sfarfallio’’ corrisponde sicuramente a una pesante tendenza del nostro universo a base di martellamento delle notizie e cambiamento costante delle immagini schock. Ma questa tendenza nutre anche per contrasto il desiderio di altro. E’ un antidoto di questo genere che ci si aspetta dalla stampa scritta. Esso giustifica più di sempre il suo ruolo.

Elitismo?

La parola non mi fa paura. Che cosa chiede uno che cerca di capire l’ attualità? Non certo che gli si ripeta qwuello che lui può trovare dovunque. Chiede una messa in prospettiva e un passo indietr, in parole povere un po’ di storia e di geografia. E’ alla icerca di una intelligibilità che esige la conoscenza di un campo o di una regione del m ondo, e che presupppone un certo tipo di scrittura e di competenza.

E invece, noi assistiamo al contrario a una contrazione molto netta dello spettro, con una attualità sempre più sprovvista di memoria e un dominio dell’ informazione interna su quella estera Tutto questo è provvisorio. Io penso che la stampa scritta possa forse diventare, per un periodo, più confidenziale, ma che si sposterà verso l’ alto, in modo da fornire servizi più specifici, cosa che non esime da una sinergia con tutte le nuove tecnologie.

La carta stampata esiste proprio per fornire delle chiavi, per accrescere la capacità di sfruttare tutte queste risorse ormai disponibili. C’ è una domanda per questo suo ruolo, anche oggi è minoritaria. Un vero imprenditore, di quelli che non seguono le truppe, saprebe rièartire da questa base ristretta per conquistare un pubblico più largo. Dopo tutto, è né più né meno il tragitto che ha seguito Le Monde di Beuve-Méry nel dopo-1945.

Per il filosofo – commenta Narvic – non si tratta che di un ‘’momento’’. Di fronte al ‘’tutti giornalisti’’, il giornalismo sarà indotto a ‘’ridefinirsi profondamente’’.

Non bisogna inferire dal dilettantismo globale la polverizzazione integrale della professionalità. E’ proprio l’ inverso che si veriricherà. Il momento attuale è un passaggio. Ma al momento dell’ arrivo, il livello delle aspettative nei confronti della stampa sarà più elevato, non più basso.

A questo punto – aggiunge Narvic – se sia Anne Nivat che Marcel Gauchet si fanno difensori del giornalismo di qualità, la cui ambizione è di far comprendere il mondo attraverso l’ immersione soggettiva sul campo, l’ empatia e la lentezza da un lato, e attraverso l’ esperienza, la messa in prospettiva e un arretramento (‘’un po’ di storia e di geografia’’) dall’ altro, essi ritengono che lo stato attuale del ‘’sistema mediatico’’ lo consenta sempre di meno.

Ma tuttavia essi affermano che bisogna perseguire questo progetto malgrado tutto. Bisogna osare, dice l’ una. Bisogna resistere, dice l’ altro… Ma sia per l’ una che per l’ altro non si tratta di battersi contro dei mulini a vento o di lottare contro ogni cambiamento. Sia l’ una che l’ altro chiamano a una rifondazione in profondità del giornalismo, in cui si tratta proprio… di preservare l’ essenziale. Lucidi e senza illusioni, ma non senza speranza né, soprattutto, senza forza…

Exit mobile version