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Ridefinire il giornalismo

Etica, pratica, training: ruota intorno a questi elementi una possibile nuova definizione della professione giornalistica – Un aggiornamento indispensabile secondo Frédéric Filloux (uno dei più noti giornalisti francesi) di fronte a un contesto così agitato, con tante nuove piattaforme e tanti nuovi attori in campo – Un approfondimento su Mondaynote

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REDEFINING JOURNALISM

di Frédéric Filloux*

(Mondaynote.com)

Di fronte a un contesto così agitato – tante piattaforme e una offerta potenzialmente illimitata di attori in campo – come dobbiamo aggiornare la definizione di giornalismo? Dove cominciano il mestiere e il lavoro? E dove finiscono? Inevitabilmente, la professione reagisce come facevano i pionieri assediati dagli indiani, mettendo i carri in circolo e sperando di salvarsi contro le orde di individui che scrivono facendo a pezzi quello che si riteneva fosse monolitico per natura. Questo è il momento, più che mai, di rivisitare nozioni come la cronaca o il trattamento delle notizie. E questo ripensamento non può essere centrato intorno al corporativismo di ieri o a definizioni giuridiche. Ma deve essere basato sui tre concetti seguenti:

–    etica
–    pratiche
–    training

Dovremmo parlare anche di tipi di giornalismo, natura degli attori, media… Ma per la discussione attuale, si tratta solo di sottocapitoli.

  1. Etica

Per quello che può valere, una esperienza personale. Nel 2001, stavamo per lanciare l’ edizione francese di 20Minutes. La “professione” — in Francia un simpatico miscuglio di manager e sindacati preoccupati entrambi soprattutto della conservazione dello status quo – ci mandò un messaggio chiaro e forte. Il nostro quotidiano gratuito era un Ufo non benvenuto nell’ arena francese dei media.  Come risultato, non era assolutamente ovvio che il nostro team di giovani cronisti e redattori sarebbe stato garantito dalla famosa “Carte de Presse” che, in Francia, separa i professionisti dagli “amatori” che sgomitano.
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Un sub-aneddoto: la Carte de presse francese ti permette un piccolo risparmio sulle tasse (con una deduzione delle “spese professionali”) e dei piccoli benefits come l’ ingresso gratuito nei musei. Curiosamente, la questione di uno sconto fiscale avrebbe provocato problemi fra le più legalitare redazioni Usa: come ti sentiresti occupandoti di affari pubblici mentre nello stesso tempo godi di un dolce sconto fiscale da parte del governo? Una questione importante, che io non posso aiutare a sciogliere ma posso collegare alle perenni richieste al governo da parte delle testate francesi di fondi governativi (o, meglio, dei cittadini). Sussidi diretti e indiretti pesano per circa il 10% dei ricavi totali del settore. Molte redazioni hanno costruito grandi siti web interamente con i risparmi e gli sconti fiscali.

Tornando a 20 minutes. Noi ci arroccammo subito sulla pietra angolare della nostra credibilità: una forte carta sui doveri professionali.  Integrammo la dichiarazione francese dei diritti dei giornalisti con le “carte” interne di alcune testate come The New York Times Policy on Ethics in Journalism. Aggiungemmo alcuni elementi dalla nostra esperienza come il divieto a chiunque di seguire qualsiasi organizzazione con cui il giornalista avesse rapporti. Suona ovvio, ma internamente, demmo a questa regola il nome di un famoso reporter che era anche l’ addetto alla comunicazione ufficioso e molto efficiente della NGO che seguiva per il giornale.
 
Niente di rivoluzionario, ma la Carta divenne un po’ più stringente di tutte le altre dei media francesi. Il documento fu allegato al contratto di lavoro e provvedemmo a definire tutte le violazioni che avrebbero potuto intaccarlo. E fuori dal giornale, i nostri cronisti erano contenti di brandire la loro carta di fronte ai colleghi troppo accondiscendenti. E, col lavoro quotidiano della redazione, quella Carta ha aiutato lo staff di 20Minutes e i suoi standard ad ottenere un riconoscimento rispetto agli sguardi scettici iniziali.
Ricordiamoci, sto scrivendo queste note in un paese in cui molti giornalisti politici televisivi – tutti orgogliosi possessori della Carte de Presse –  stanno arrotondando i loro stipendi facendo lezioni di video proprio per quegli stessi politici che poi inviteranno nei loro show.

Perché sto raccontando tutto questo? L’ etica e i principi rappresentano i primi elementi nella determinazione di cosa è giornalismo e cosa non lo è. Questo si applica ai blogger e a tutte le forme di UGC (user-generated content) così come all’ ossimoronico “citizen journalism” (io cerco di restare “moronico” – cioè ancorato al lato giornalistico dell’ ossimoro, ndr ) — ti fideresti di un citizen neurochirurgo?  E si applica anche ai cosiddetti “professionisti” che mostrano la Carte de Presse come testimonianza della loro capacità e della loro etica professionale ma che in realtà sono dei portavoce di marchi commerciali. Basta andare nella sezione magazine di qualsiasi edicola e la vedrete piena di periodici di Pubbliche Relazioni fatte passare per “stampa”, anche legalmente definite come tali.

2.  Pratiche

Le buone pratiche nel giornalismo girano attorno a nozioni come completezza, correttezza, attenzione verso il contraddittorio e un approccio equilibrato. Una buona definizione potrebbe essere quella “migliore versione disponibile della verità…” di Bob Woodward, a cui si potrebbe aggiungere: “… con i mezzi e gli strumenti disponibili nel momento in cui si scriveva quell’ articolo”. Questa ultima sfumatura è importante perché spesso la fretta riduce la qualità. Che influisce sulla cronaca (raccolta e scrittura) tanto quanto sull’ analisi.

Venti anni fa, le migliori pratiche giornalistiche potevano essere trovate facilmente nelle redazioni delle testate famose. Ora possono stare dovunque. Prendiamo i blog. Come in tutti i gruppi sociali puoi trovare il peggio e il meglio. Si può andare dal ragazzo che urla la sua frustrazione dal suo scantinato all’ esperto in qualche settore, con una caratterizzazione individuale molto più riconoscibile rispetto alle tradizionali redazioni giornalistiche. Questo è vero per i settori scienza e tecnologia, economia, politica. Molti di questi esperti si stanno uniformando alle regole più stringenti del giornalismo. E facendolo, essi meritano di essere scoperti, sia per i loro sforzi che per l’ intraprendenza di questi nuovi strumenti di informazione.

Attualmente, alcuni siti di informazione “pure player” stanno diventando molto bravi nello sfruttare il potere intellettuale della blogosfera (per esempio Politico’s Arena, The HuffingtonPost nel campo politico o anche The Guardian nel settore economico). E’ la Legge della Necessità: i pure players non possono permettersi di avere in casa degli specialisti in tutti I campi e quindi li scovano in Internet. E molto spesso, tutto questo funziona.  
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Come per l’ user-generated content, sono stati fatti molti tentative di creare un sistema globale di informazione “crowd powered” (basato sulla forza dei cittadini). Qualcuno, come  NowPublic, voleva diventare la “Reuter’s del popolo”. Altri sono venuti dopo. Qualcuno di loro ha anche assunto dei redattori esperti dai grandi media per rinforzare le proprie strutture. Ma nessun successo convincente, finora (tranne, forse, nel campo del fotogiornalismo, con siti come Demotix). Una ragione è la dimensione di scala. Da un punto di vista puramente pratico, un set di tre redattori esperti non ce la fanno a inculcare degli standard di buon giornalismo in un gruppo di 800 “citizen reporters” sparpagliati in tutto il mondo. Per essere efficiente questo processo deve essere realizzato su una scala m olto minore. Un redattore di economia può scoprire un eccellente specialista in cicli economici… O un esperto di affari esteri può scovare a Islamabad un intelligente studente di scienze politiche. E questo non può essere realizzato seminando intorno una ventina di regole su come realizzare un buon articolo. Le cose possono funzionare solo quando vengono stabilite delle relazioni corrette fra la redazione (che sia un pure player su internet o un noto quotidiano) e i suoi collaboratori.

3. Training

Tutto quello che precede conduce a una idea semplice: non c’ è ancora un set completo di  strumenti per fare giornalismo, ma semmai una serie di lavori e di specializzazioni, ciascuno dei quali richiede una formazione specifica.  La professione giornalistica dovrebbe considerare due principali tendenze:

– il cambiamento della percezione degli aspiranti giornalisti,
– e lo sviluppo di una formazione permanente lungo la carriera di ciascuno.

Le scuole di giornalismo dovrebbero cancellare – o almeno ridimensionare  –  l’ idea che c’ è un’ unica “via regale” al giornalismo, che si scriva per Le Monde o per il Guardian. Questa invidiabile ambizione si sta riducendo sempre più drammaticamente visto che le testate finirebbero per pagarla sempre più cara. Triste ma vero, rifiutarsi di affrontare questo non aiuterà. Quindi, è ingannevole conservare l’ idea che un giornalismo di alto profilo sulle questioni internazionali o politiche sia l’ unico nobile obbiettivo (o via d’ uscita) per una carriera giornalistica. In altre parole, dovremo smetterla di produrre legioni di giornalisti amaramente disillusi.

Ma ci sono ampie opportunità quando l’ industria delle notizie emigra sulle piattaforme digitali e diventa molto più technologica di prima. Certo, è ovvio, il primo scopo di uno studente di giornalismo rimarrà quello di impadronirsi delle capacità di base del mestiere: scrivere, indagare, gestire le fonti e sviluppare una agilità mentale per impadronirsi velocemente di problemi nuovi e complessi. 
Ma non è abbastanza: oggi, il giovane giornalista deve diventare abile nei sistemi con cui i motori di ricerca raggiungono gli articoli. Questa sta diventando una abilità vitale: dal 30 al 60% di lettori arrivano attraverso i motori di ricerca. Nello stesso tempo, la nuova generazione di giornalisti dovrà conoscere la struttura di base di un sito web efficiente, oppure come “curare” storie passate per aumentarne la leggibilità creando un contesto ricco e rilevante.
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E lo stesso vale per il “confezionamento” delle notizie — Lo so, questa è una parola disdicevole per quelli c he si vedono come eredi di Joe Pulitzer o Albert Londres. I lettori giovani sono notoriamente più inclini verso materiali confezionati con in grafica o video piuttosto che verso le colonne di piombo. I giornalisti devono essere capaci di dare le notizie in una maniera multidimensionale. Non devono saper scrivere i codici e i programmi in Flash, ma devono capire le potenzialità di una presentazione in Flash dei loro servizi. Devono essere addestrati su come maneggiare strumenti diversi ma indispensabili: programmi specializzati che traducono le loro intuizioni giornalistiche in grafica di alto livello. Qualche dubbio? Guardate ad esempio questo trattamento multimediale  del problema del debito pubblico negli Usa fatto dal New York Times: è interessante? Certo. Fa notizia? Non c’ è dubbio. E’ un lavoro giornalistico? Accidenti. Non dovrebbero le nostre scuole di giornalismo abbracciare queste idee e creare delle opzioni concrete  per realizzarli?

L’ elenco delle novità editoriali è lungo. La gestione dell’ audience per cominciare:  di nuovo, qualche pure player è riuscito alla grande ad usare il potere intellettuale dei lettori come un modo per accrescere la granularità della propria produzione. Oltre a dei giornalisti formati in maniera appropriata, che conoscono il loro campo, chi altro potrebbe incanalare l’ esperienza collettiva? Lo stesso vale per l’ adattamento dei contenuti alle varie piattaforme. Più che mai questo porta a separare il processo di raccolta delle notizie dal processo del loro trattamento. La stampa anglosassone ha fatto proprio questo per decenni.

Un secondo passaggio è il training permanente — qualcosa che nelle testate giornalistiche non si riesce a far bene. I giornalisti devono essere più adattabili di prima. E’ un clichè ma è vero: il ritmo del cambiamento sta accelerando e le redazioni non riescono a seguirlo. In molte di loro il livello di ignoranza fra i giornalisti di una certa età è allarmante. (…) Come sempre la responsabilità appartiene al top management, un gruppo che notoriamente è molto resistente ai cambiamenti. Un tratto ironico nell’ industria delle “notizie”.

Siamo proprio all’ inizio di una grande fase di evoluzione nel giornalismo. Gran parte della vecchia dimensione romantica sta svanendo. Ma l’ eccitazione rimane: nuove piattaforme per nuove audience stanno emergendo. Esse richiedono ancora le qualità di base di questo mestiere. Ma nello stesso tempo, nuovi strumenti richiedono nuove capacità, che devono essere apprese, non ignorate o disprezzate.

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* Frédéric Filloux, ex redattore capo di Libération, attualmente direttore della Divisione internazionale del gruppo editoriale norvegese Schibsted. Nel 2002 ha lanciato il quotidiano gratuito 20 Minutes, diventato il giornale più letto in Francia con 2,5 milioni di lettori (la versione online registra circa 200.000 visitatori al giorno). Vive a Parigi.

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