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Le opinioni/
Mentre in UK si guarda al futuro, in Italia ci si copre gli occhi di fronte al presente

In Gran Bretagna, terra pionieristica per quanto riguarda l’abbattimento della “verticalizzazione” dei rapporti tra istituzioni e cittadini, è stata lanciata in questi giorni l’ennesima iniziativa di stampo democraticamente “orizzontale”: il question time on-line

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di Andrea Fama

Il seppur zoppicante Premier inglese Gordon Brown ha appena annunciato il lancio di quella che è una trasposizione multimediale del question time ordinario, che si tiene alla Camera dei Comuni e durante il quale i deputati pongono domande alle quali il Primo Ministro è obbligato a rispondere. La grande novità è che in questo caso le domande saranno poste direttamente dai cittadini, che le caricheranno sotto forma di video clip collegandosi alla sessione Ask the PM (“Chiedi al Primo Ministro”) del sito YouTube, e saranno poi gli stessi utenti a votare le domande più interessanti da girare al Premier.
I temi caldi di questo nuovo forum on-line, ha annunciato Brown, spazieranno dalla globalizzazione ai servizi pubblici locali, dal cambiamento climatico all’occupazione, e se da un lato si parla di una “democrazia diretta” per la prima volta promossa da un Premier – mentre dai banchi dell’opposizione si grida all’appropriazione indebita di un’idea già avanzata dal leader dei conservatori, poco importa, ciò che conta, per dirla con le parole di Brown, è che “il mio scopo è fare in modo che le nuove tecnologie migliorino i servizi pubblici nel paese e diano più potere a coloro che le usano”. Già questo dovrebbe bastare a far sospirare molti italiani, assuefatti ormai ad una classe dirigente millenaria che un computer forse non lo ha mai acceso personalmente, ma non è finita qui. Infatti, aggiunge Brown, “i politici possono fare domande al primo ministro. Penso che sia arrivato il momento che anche i cittadini abbiano questa possibilità”.
C’è da commuoversi. E già, perché da queste parti non solo i politici possono a stento parlare (“dipende da cosa si dice”…), ma anche ai giornalisti pare si voglia impedire di fare domande e raccontare fatti (laddove non ci pensi già l’autocensura, estensione bavosa di editti ed ‘edittini’ ), figurarsi poi ai cittadini… È un dato di fatto che se in Inghilterra la politica si concede alla cittadinanza mettendosi a nudo su Internet, in Italia si barrica in Tv, più precisamente nei rassicuranti studi della Tv di Stato.
Ma si può separare la politica dall’informazione? Forse sì, ma solo con l’ausilio di sofisticatissimi strumenti chirurgico-meccanici, come nel caso di ostinati gemelli siamesi che nutrono l’inefficienza dell’uno con l’acquiescenza dell’altro. Bisogna riconoscere, ahinoi, che una distanza siderale ci separa dal modello di trasparenza ed efficienza britannico. Basti pensare che “l’Autorità per le Comunicazioni del Regno Unito ha affidato anche a un blog l’avvio di una discussione sul futuro assetto del servizio pubblico” (vedi Lsdi, “Servizio Pubblico: in UK l’Authority usa un blog per avviare un dibattito”), mentre in Italia il neo sottosegretario con delega alle Comunicazioni ha candidamente dichiarato che “il servizio pubblico deve essere sotto il controllo del Parlamento. In Italia è sempre stato cosi”. Alla faccia della trasparenza, più schietto di così.
Purtroppo, però, è cosa nota che in Italia lasciare il servizio pubblico in mano al Parlamento è come affidare le pecore al lupo, in un Paese in cui l’informazione, lungi dall’essere cristallina, sguazza spesso in torbidi pantani, e il giornalista, a differenza che in Inghilterra, non è il cane da guardia del potere, ma tutto al più quello da riporto – Travaglio docet.

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