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Le foto dei lettori come specchietto per le allodole?

Su “Fotografia&informazione” i dubbi di due fotogiornalisti sui criteri con cui le testate online dei tre maggiori quotidiani italiani gestiscono le immagini inviate dai lettori – Qualche vantaggio economico, ma anche molti limiti: scarsa qualità, dubbi sulla correttezza e sulla credibilità, didascalie incerte o incomplete – Operazioni che possono giovare ai lettori-fotografi, ai partecipanti alle manifestazioni, ai manager dei siti…, ma che “non servono certo a raccontare meglio e più in profondità la realtà” e, soprattutto, non giovano “alla qualità del giornalismo”

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Il citizen journalism può essere una grande opportunità, ma può diventare anche soltanto uno ”specchietto per le allodole”.

Fotografia&informazione”, in un articolo di Matteo Bergamini e Chiara Ceolin – mette sotto accusa il modo con cui “l’ ultima moda, le fotogallery con le foto dei lettori”, viene gestita nelle redazioni di Repubblica.it, Corriere della Sera.it e La Stampa.it. Che, approfittando dei movimenti di protesta che hanno occupato strade e piazze d’ Italia in queste settimane,hanno scoperto il citizen journalism, stanno facendo esperienza di social networking e si sono lanciati in operazioni di giornalismo… apparente”.

Ed ecco “le fotogallery con le foto dei lettori. Con la segreta speranza di potersi vantare di aver ricevuto tante, anzi tantissime immagini. Della qualità (delle foto, dei racconti, del giornalismo) non importa a nessuno”.

L’ articolo – “Le foto dei lettori: risorsa… per chi?” – analizza in dettaglio il modo con cui le tre testate hanno impostato il rapporto con i materiali dei lettori e traccia un bilancio piuttosto negativo.

Quali sono i vantaggi nel richiedere ai lettori di inviare materiale fotografico – si chiedono Bergamini e Ceolin -? Non è rischioso pubblicarlo insieme a (o al posto di) fotografie realizzate da fotogiornalisti? C’ è l’ importante possibilità di attingere ad una riserva di materiale proveniente da punti di vista molto vari, come avere uno staff di fotografi distribuito e "interno" al movimento. Ma è probabilmente il vantaggio economico (i lettori non si aspettano di essere pagati per le loro immagini) ad essere predominante. Il costo dell’organizzazione e della sistematizzazione delle immagini è decisamente trascurabile, nell’ economia di un sito come quelli in esame.


Ovviamente però ci sono anche dei lati negativi: la qualità delle immagini è di solito scarsa; la correttezza e la credibilità delle fotografie fornite non sono per niente scontate, e spesso nemmeno verificabili. La visione d’insieme, che dovrebbe essere base per la scelta delle immagini da fornire da parte di un fotografo, qui non è nemmeno richiesta. La confusione tra contributi di tipo diverso (fotografie posate o fatte in studio assieme a scatti realizzati in situazioni reali), che per correttezza dovrebbe essere dichiarata in maniera preventiva, diventa possibile solo a posteriori.

Le didascalie (nei rari casi in cui la redazione decide di pubblicarle) sono spesso incomplete e a volte anche miste a commenti o fuorvianti.

In conclusione, a chi serve un’operazione simile? Ai lettori-fotografi, che possono segnalare ai propri contatti "hanno messo la mia foto sul sito!". Ai partecipanti alle manifestazioni, che si identificano nelle foto che i loro stessi amici hanno scattato. Ai manager dei siti, che vedono aumentare i contatti grazie al passaparola (e di conseguenza lievitano gli introiti pubblicitari). Non serve certo a raccontare meglio e più in profondità la realtà. Soprattutto non giova alla qualità del giornalismo: a differenza di altre testate (che cerchiamo di segnalare con costanza) dove i questi contributi vengono usati tenendo ben presente la differenza di approccio e origine e dove il lavoro di editing fatto per sfruttarne a fondo i vantaggi è davvero di alto spessore.

Il citizen journalism può essere un’opportunità per ampliare il discorso: sfruttato in questo modo fa solo da specchietto per le allodole.

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