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La sfida digitale


Daily Telegraph: più chiusure in una stessa giornata – FT: storie sul sito appena possibile, gli scoop su carta svaporano in pochi attimi – Times: l’ importante è il valore aggiunto- Il futuro dei giornali è online. Ma i quotidiani come stano rispondendo alle esigenze di produrre informazione su differenti piattaforme e di seguire il flusso continuo di notizie? Roy Greenslade, uno dei principali analisti dei problemi del giornalismo contemporaneo, ha visitato in questi giorni le redazioni di tre grandi quotidiani UK, Times, Telegraph e Financial Times, e documenta in questo ampio articolo come viene vissuta la spinta verso l’ integrazione

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di Roy Greenslade
(Guardian)

I giornali stanno giocando alla cavallina digitale. Un quotidiano non si mette semplicemente alla pari quando un altro fa un salto in avanti. Solitamente lo sorpassa utilizzando gli sviluppi tecnologici che il suo rivale non è riuscito ad adottare. Non c’è modo di star fermi. Quello che oggi è lo stato dell’arte, domani sarà un vecchio cappello.

In un certo senso, la rivoluzione digitale è come un viaggio su un treno senza destinazione. Appena un giornale arriva alla stazione che sembrava l’ultima, un altro ha costruito una nuova linea ed è andato avanti accelerando. Nonostante le differenze, sembra chiara a tutti la direzione generale verso un oggetto sotto altri aspetti misterioso: il futuro della raccolta e della distribuzione delle notizie è legato allo schermo del computer.

 Al momento, vista la necessità di mantenere cartaceo e online, stiamo andando il più velocemente possibile verso un nuovo mondo ma allo stesso tempo manteniamo i motori a pieno regime per il vecchio – ma ancora remunerativo e popolare – mondo della carta stampata.
(continua)

Inevitabilmente, la dicotomia si è dimostrata difficile da gestire sia in termini giornalistici sia, vista dalla prospettiva di proprietari e manager, in termini finanziari. Assieme ai direttori, questi ultimi hanno tracciato la strada per raggiungere un’unica piattaforma chiamata “integrazione”. Ora è chiaro che i giorni del doppio personale, con giornalisti per il cartaceo e giornalisti per l’online, sono virtualmente finiti. Nella maggior parte degli uffici, l’inziale scetticismo sull’utilità e la realizzabilità del giornalismo digitale è passato da lungo tempo.

I giornali regionali sono stati – e molto spesso – la prima linea di questo cambiamento culturale: i loro cronisti e redattori hanno accolto il giornalismo multi-piattaforma da parecchi anni. Quelli nazionali sono partiti più lentamente, ma – come si può osservare dai seguenti esempi – ora stanno andando avanti.

I direttori, in maniera abbastanza naturale, tendono a giustificare la fusione tra personale cartaceo e digitale parlando di un "imperativo giornalistico". In realtà sono consapevoli che c’è stato anche un impulso commerciale. Con i ricavi in caduta, dovuti alla distribuzione e alla pubblicità, non ha alcun senso assumere due diverse squadre che si sovrappongono nel fare le stesse cose.

In maniera simile, anche se in qualche modo controversa, la logica finanziara ha anche obbligato a riconsiderare le caratteristiche del personale nel corso della settimana. Alcuni quotidiani con una redazione normale e una per l’edizione domenicale (una tradizione della Gran Bretagna ndr) sono arrivati alla conclusione che non è più possibile mantenere questa separazione.

Uno dei più grandi benefici della trasmissione digitale, infatti, è che permette la fusione delle redazioni per il quotidiano normale e quello della domenica in una maniera che era irraggiungibile venti anni fa. Qualcuno l’ha chiamata "un’altra meraviglia del web", altri "tagli del personale travestiti da rivoluzione digitale".

 Ma l’integrazione è qualcosa che va al di là di semplici ristrutturazioni degli uffici. E’ qualcosa che riguarda davvero la creazione di una nuova cultura giornalistica, un metodo di lavoro che riflette sia le opportunità offerte dalla tecnologia sia le richieste di un pubblico informato e tecnologicamente istruito.

 L’integrazione riguarda la risposta ad un pubblico nuovo, perché i giornali non stanno servendo più un’area geograficamente distinta.

L’accesso mondiale ai siti che forniscono notizie significa che i lettori delle redazioni londinesi non sono più semplicemente britannici.

La sfida è di fornire notizie 24 ore su 24, 7 giorni su 7, minuto dopo minuto, continuamente. E ciò può essere ottenuto soltanto attraverso l’integrazione, con giornalisti che rispondono all’esigenza di mandare gli articoli sia sul sito internet che sul giornale cartaceo, fornendo audio o video se è necessario.

Nelle mie visite agli uffici del Financial Times, il Times e il Telegraph – che ospitano diverse forme di integrazione – sono rimasto colpito dal modo in cui i giornalisti hanno afferrato, o hanno cominciato ad afferrare, i benefici dell’integrazione, non solo ad un livello pratico ma anche come filosofia.

Ogni manager che ho incontrato ha sottolineato che la mentalità della redazione è cambiata. Non ci sono più problemi con il vecchio dilemma se una storia debba essere pubblicata prima sul web o sulla carta. Hanno sviluppato un istinto per il modo appropriato di pubblicare.

Una persistente critica degli scettici è che si chiede ai giornalisti di fare troppo. Ancora, questo non è quello che ho visto. Da quello che ho potuto accertare, i giornalisti stanno cogliendo le opportunità offerte dall’online per scrivere molto più liberamente.

C’è molta più soddisfazione nello scrivere un articolo se non c’è più alcuna necessità di ridurlo all’osso per farlo entrare in uno spazio predefinito. Aggiornare ciò che si è scritto per le carta stampata tendeva ad essere scoraggiante, perché parte del materiale andava inevitabilmente perduto. Ora si può sistemare tutto senza perdere importanti dettagli.

Allo stesso modo non c’era alcuna possibilità di prendere la tangente. Adesso è consentito a chi è stato assegnato un blog, che può offrire ai lettori materiale di background e commenti.

 E’ vero che su alcuni giornali, come il Daily Telegraph, c’è stata qualche difficoltà a incoraggiare le persone a scrivere regolarmente sui blog. Ora questo non è più un problema. I giornalisti si rendono conto del valore dell’online anche se continuano a deliziarsi per le loro firme sul cartaceo.

Infine, è chiaro che l’integrazione ha spinto i giornalisti ad essere creativi. Una volta erano i giornalisti più fanatici che pungolavano i colleghi riluttanti a cambiare le abitudini, ad imparare maniere nuove per fare le cose.

 Ora i giornalisti si stanno rendendo conto che l’integrazione non solo si sta dimostrando molto meno dolorosa di quanto ci si aspettava, ma li sta liberando anche dalla camicia di forza della scadenza ogni 24 ore.

 

 

 Daily Telegraph

E’ stato scritto molto sulla redazione del Daily e Sunday Telegraph, simile alla ruota di una bicicletta che dal centro comune si dirama in tanti raggi, ma devo dire che è proprio un ambiente di lavoro impressionante, anche per il muro di schermi giganti e cangianti, in un edificio simile a un loft. Da dentro ha la vitalità di un giornale vecchio stile, ma con i benefici degli uffici del ventunesimo secolo. Nella redazione, attorno alla riunione delle 16, c’è l’agitazione che un giornale ha vicino alla chiusura. Il quotidiano, però, adesso ha diverse chiusure, seguendo la cosiddetta integrazione “big bang” del direttore Will Lewis.

Il gruppo, cui è risconosciuto di essere stato il primo ad introdurre un sito con copertura nazionale – anche se poi è non è stato al passo con altri concorrenti online –, ha deciso che aveva bisogno di intraprendere un passo grande e veloce verso il futuro. In un paio di settimane senza respiro ha trasferito gli uffici ridistribuendo il personale e ha poi annunciato di essere diventato un giornale multi-piattaforma, integrato, senza problemi. Ora è impegnato in un’altra forma di integrazione: sta gradualmente unendo le redazioni del giornale della settimana e della domenica.

La mia visita è capitata proprio quando è stato deciso di creare una divisione per l’economia che lavora sette giorni alla settimana, guidata da Damian Reece. Il quale mi ha dato un esempio dettagliato di come un giornalista dovrebbe trattare un articolo. Livello uno: un breve testo sul sito internet per dare la notizia. Livello due: aggiornamenti sul web come e quando è necessario. Livello tre: se un brano video o audio ci sta bene, allora il giornalista lo preapara nello studio, che si trova allo stesso piano. Livello quattro: man mano che la giornata va avanti, il giornalista ha più informazioni di background e più reazioni, alcune delle quali provengono dai contributi sul sito. Questo servirà a scrivere un pezzo più analitico e contestualizzato per il giornale cartaceo.

Questa è più una descrizione meccanica che non il racconto di quello che effettivamente succede. Come dice Reece, nella pratica è abbastanza fluido. Il responsabile della divisione ha sottolineato che il lavoro del gruppo di giornalisti economici non toglierà qualità all’edizione domenicale la sua qualità distintiva. E mantiene un redattore per l’edizione City di Londra.

Lewis, per ragioni di politica interna, preferisce evitare l’espressione “integrazione dei sette giorni”. Per lui, la ricerca dell’integrazione tra lo schermo del computer e la carta stampata ha costruito quello che chiama “la reciprocità del marchio”: “La questione più grande che dobbiamo affrontare – dice – è servire un mercato in crescita in tutto il mondo. L’integrazione ci aiuta in questo senso, perché ci fornisce una struttura per usare meglio le nostre risorse”:

Sia lui sia Reece sottolineano che i giornalisti stanno trovando un nuovo ritmo di lavoro mano a mano che si sintonizzano sui nuovi turni e sulle scadenze continue. Diversi giornalisti lavorano con due schermi. Chris Lloyd, vice direttore, spiega che per i colleghi è utile utilizzarli entrambi, con uno sul sistema di gestione dei contenuti e l’altro per le email o un canale tv. Anche il Sydney Morning Herald sta considerando di adottare la soluzione dei due schermi.

Contemporaneamente, i redattori conoscono quali sono gli articoli più popolari grazie ad uno schermo sul muro su cui vengono proiettati i risultati in tempo reale.

Non c’era panico visibile. Ma ho avuto l’impressione, rafforzata da alcuni commenti privati dei colleghi, che il Telegraph ha provato ad ottenere troppo e troppo presto. Sono anche poco convinto dall’approccio con i due schermi. Ma Lewis, appoggiato dai proprietari, ha portato il giornalein un’era multi-piattaforma dalla quale non ci può essere ritorno. “C’è un circolo virtuoso tra cartaceo e web”, dice.

Financial Times

Guarda, dice un responsabile del Financial Times, con un dito che indugia su una tastiera. Un click è tutto quel che serve per spostarsi dal cartaceo al digitale, il sistema di pubblicazione Méthode permette una completa integrazione.

Will Lewis del Telegraph mi ha detto che durante una visita al Financial Times rimase affascinato dalla efficienza del sistema e che avrebbe voluto averne uno simile.

Il cuore della redazione del Financial Times è il centro della ruota di bicicletta del Telegraph ma senza i raggi. Il redattore del sito siede a fianco del collega del cartaceo. I redattori parlano amabilmente di come trattare ogni singolo articolo: non c’è una chiara demarcazione territoriale. E’ una singola struttura che prende le decisioni.

Nei 18 mesi passati i reporter del Financial Times si sono abituati a spedire storie che vanno sul sito appena è possibile. Hanno capito tutti, come dice il direttore di FT.com James Montgomery, che lo scoop cartaceo evapora pochi secondi dopo la comparsa dell’inchiostro. Non c’è motivo per lasciare le storie appese, sperando che questo stimolerà la vendita del cartaceo.

Nel suo piano “La nuova redazione”, un documento del luglio 2006 con molti dettagli, l’FT ha proposto di sviluppare un sistema di lavoro multimediale in ogni area – cronaca, redazione e produzione – e ha chiesto a tutto il personale di essere pronto a lavorare in ognuno di questi campi.

Questo non vuol dire che i giornalisti che fanno i servizi davanti alla telecamera devono anche mettere mano al materiale audiovisivo prodotto. C’è un desk per l’interattività che può contare su persone preparate per farlo. “Non abbiamo bisogno di trasformare reporter che sono specializzati in un settore in uomini di fatica”, dice Montgomery.

Il direttore dell’FT, Lionel Barber, dice che la transizione morbida verso l’integrazione è dovuta all’approccio evolutivo dei gruppi, basato su ricerca e pianificazione. “Qui abbiamo parlato del linguaggio dell’integrazione per otto anni – dice – abbiamo portato avanti il processo che ci ha permesso di portare avanti l’integrazione con calma e lentamente”.

Visto che i lettori passano gradualmente dal cartaceo all’online, il bisogno di fornire valore aggiunto è un tema costante, principalmente perché i lettori possono cliccare su un altro sito all’istante, se non sono soddisfatti con quello che viene offerto.

Ien Cheng, responsabile di FT.com, è particolarmente consapevole che un altro elemento chiave per costruire e mantenere il proprio pubblico è l’interattività tra giornalista e lettore. Gideon Rachman, editorialista per gli esteri dell’FT, mi aveva spiegato di aver appena chiesto ai lettori del suo blog cosa pensavano di un determinato argomento prima di scriverne lui stesso.

L’altro importante simbolo dell’integrazione all’FT è l’abilità di fornire notizie continuamente. Il giornale ha il vantaggio di avere uffici a New York e Hong Kong da tempo prendono il controllo quando Londra dorme. Ora, con la possibilità di far apparire il materiale sullo schermo da qualunque dei tre centri, le notizie ventiquattro ore su ventiquattro sono una realtà.

E’ comunque onesto dire che l’FT ha gestito la transizione verso un giornalismo multi-piattaforma con qualche dolorosa conseguenza. Ci sono stati tagli, giornalisti a cui veniva chiesto di fare troppo o forzati a spendersi su queste piattaforme.

Però i video prodotti dall’FT, particolarmente i segmenti “View from the Top”, sono prodotti di buona qualità. I blog sono leggibili. E nessuno è meglio di Alphaville di Paul Murphy, con il suo pionieristico “Markets Live” ogni mattina, dove l’autore si confronta con gli operatori in conversazioni divertenti e talvolta illuminanti.

Times

Ho visitato il Times un giorno prima dell’annuncio che l’editore Robert Thomson lo lasciava per andare al Wall Street Journal (vedi LSDI, 22 dicembre 2007). Thomson continuava a dire che non era ancora stato deciso nulla sul suo futuro e parlava invece con entusiasmo dei risultati del Times dovuti all’integrazione tra cartaceo e online.

“Qui c’e’ stato un rinascimento culturale – aveva detto – specialmente tra i reporter, che sono entusiasti di quello che stanno facendo. Non ci sono segreti sui canali di distribuzione. Il segreto è creare un ambiente in cui essi possono essere usati in maniera appropriata. Non conta come è la redazione (una frecciata al Telegraph), ma come essa produce”.

Sia Thomson che il suo successore James Harding ammettono che il livello di integrazione raggiunta al Times non è l’ultima destinazione. Il personale tecnico riconosce che il  sito del giornale non funziona così bene come i giornalisti vorrebbero e ci sono frustrazioni anche tra i lettori.

Ma il desiderio di fare di più – di  mettere più materiale audiovisivo, per esempio – va spesso più avanti di quelle che sono le reali capacità del giornale. Le rivoluzioni non sono mai transizioni morbide, e anche l’FT, che ha ospitato la più morbida dei tre, è consapevole dei limiti della tecnologia, anche se i giornalisti diventano più ambiziosi.

Thomson crede che la velocità della distribuzione digitale ha cambiata, e sta cambiando, la natura dei contenuti. Anche se i giornali seri non erano agenzie, gran parte dei loro contenuti tendevano ad essere articoli che elencavano una serie di fatti.

Così non va più bene. “Non siamo un’agenzia di notizie”, dice Thomson. Rievocando quel che sostiene Lionel Barber, si riferisce al valore aggiunto che i siti dei giornali devono offrire: analisi, sapere specialistico, abilità di scrittura.

Quando i corrispondenti hanno incocciato le richieste dell’integrazione, hanno capito che è necessario offrire rapide analisi sul web accanto o all’interno della storia.

Nel mio tour della redazione a forma di L, affollata e impegnata, ho notato come funzionava l’organizzazione. L’integrazione tra il cartaceo e il sito internet è stata ottenuta senza dolori, all’apparenza.

Con Anne Spackman, responsabile dell’online, che mi indicava la strada, ho incontrato Matt Walsh, capo della sezione multimediale, che incoraggia i giornalisti a divertirsi nel creare e modificare i video.

C’è ancora strada da fare, naturalmente. Il sistema ha bisogno di miglioramenti perché talvolta è lento e ha delle falle. C’è poi un buco di quattro ore perché il giornale non ospita storie alle 3 di notte fino alle 7 del mattino.

Allo stesso tempo, c’è ancora un costante processo di apprendimento. Specialmente al Sunday Times, dove Spackman tiene quelle che chiama “lezioni magistrali” al personale, non c’è traccia di integrazione nei sette giorni.Il Times e il Sunday Times rimangono due entità separate e nessuno con cui ho parlato, in pubblico o in privato, si aspetta le integrazioni del Telegraph.

Il Sunday Times rimane un marchio potente, ma questo accade soprattuto all’interno della Gran Bretagna. Fuori dai confini, è il Times a essere più conosciuto. E’ significativo, inoltre, che i contenuti del Sunday Times sono sempre accessibili attraverso il sito del Times.

E’ quindi probabile che, ad un certo punto, l’idea di un qualche tipo di fusione del personale colpirà Rupert Murdoch, che penserà che è una buona idea.

(traduzione di matteo bosco bortolaso)

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