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Il gratuito online è una menzogna: solo l’’adesione pagante può sostenere una nuova stampa


Mediapart, un progetto ambizioso che punta a costruire in Francia una stampa indipendente e ‘’radicalmente democratica’’ – L’ adesione a pagamento come ‘’acquisto di una promessa’’ e partecipazione al progetto – L’ abbonamento non è un atto di acquisto

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Aderire a una iniziativa deve comportare anche un impegno concreto, materiale, economico. E’ come ‘’comprare delle promesse’’. E va in direzione completamente opposta alla vulgata della presunta gratuità di tutto quello che è in rete.

E’ in questo spirito che a settembre era stata lanciata una campagna di abbonamenti per far rinascere Arrêt sur images – la trasmissione televisiva soppressa da France 5 – sulla rete.
Ed è questa la linea di fondo che anima ora Mediapart.fr, un progetto molto ambizioso che punta a costruire ‘’una nuova stampa in Francia’’. E che dovrebbe partire a regime all’ inzio del 2008. (Vedi la sintesi del progetto nell’ articolo di Emmanuel Parody su Ecosphère.

Il progetto – spiegava qualche giorno fa in un editoriale Edwi Plenel (Le prix de la Liberté) – va controcorrente rispetto al luogo comune secondo cui

non ci sarebbe che un modello percorribile sulla rete, quello dell’ audience e della gratuità. Prima di tutto – secondo Plenel -, questo pensiero unico poggia su una menzogna: il gratuito non è realmente gratuito, non solo perché è finanziato dalla pubblicità, ma soprattutto perché non si finisce di pagare, e in termini a volte anche molto cari, le attrezzature, gli abbonamenti, i canali che danno accesso a questi presunti contenti gratuiti. E poi esso veicola l’ illusione che tutto ha valore perché tutto è gratuito, il meglio come il peggio, l’ informazione pertinente come le voci infondate. Infine, nella sua corsa ai numeri sempre più grandi, esso trascina verso il basso l’ informazione, l’ uniforma e la banalizza, la malmena e la valorizza.
Ne va anche della libertà dell’ informazione e del suo valore. Aderire al progetto Mediapart è pagare per garantirli. E’ prima di tutto acquistare la promessa di una informazione esigente, senza dipendenza pubblicitaria né curve di audience. E’, poi, acquistare il diritto di partecipare a un media totalmente inedito, appartenere alla comunità dei suoi lettori e contributori, far vivere l’ informazione, la riflessione e il dibattito. E’, infine, costruire in maniera duratura l’ indipendenza di questa nuova stampa, radicalmente democratica.

In sintesi – commenta Parody – la scelta del pagamento non deriva dal valore di mercato dell’ informazione ma da una adesione morale a un progetto editoriale. Edwy Plenel trae molto giustamente la lezione che viene dalla crisi della stampa (e il suo progetto per il rilancio del quotidiano Libération aveva già dato il tono) : prima di tutto la critica largamente accettata della crisi di fiducia nella stampa, e poi il paradosso che il lettore paga già per accedere all’ informazione pagando il fornitore dell’ accesso.

Uno degli argomenti più pertinenti per la gratuità dei mezzi d’ informazione è in effetti basata sull’ idea che anche andando in edicola non si compra la somma degli articoli del giornale ma il mezzo per accedervi, il supporto cartaceo. Per cui : non c’ è alcuna ragione di pagare l’ informazione online perché i costi di distribuzione sono inclusi nel forfait per i fornitori di accesso.

Un aproccio interessante, secondo Parody, che avrebbe il merito di aprire la strada a un approccio semplificato della monetizzazione dell’ informazione, da parte della pubblicità o per la qualificazione degli utenti (i profili, carburante del marketing diretto, per me la ragion d’essere economica del Web 2.0).

Come giustificare il pagare

Per quanto riguarda la scelta dell’ adesione pagante da parte di Mediapart.fr, secondo Parody c’ è un punto debole in questa teoria. Essa funziona perfettamente per i media di nicchia o l’ approccio verticale delle riviste, ma lascia l’ informazione generalista alle prese con un universo concorrenziale talmente vasto che la sua sopravvivenza non può passare che attraverso una audience di massa e l’ attacco frontale ai portali. Aggiungiamo il fatto che i CPM (Costi per mille, l’ unità di misura dei contatti per il mercato pubblicitario online, ndr) sono troppo deboli in Francia e la prospettiva di una redditività attraverso la sola pubblicità diventa illusoria. Peggio, sarebbe necessariamente compromettente. Per questa ragione io non sostengo il modello del tutto-gratis-per- l’-informazione-generalista e penso che l’iniziativa del New York Times sia un errore (non sono per il tutto a pagamento, ma questa è tutta un’ altra storia).

Ma in questo caso, come giustificare il pagare in un universo di gratuità ? E’ qui che l’ iniziativa di Mediapart si congiunge a quella di Arrêt sur Images, fondando l’ atto dell’ abbonamento su un atto di adesione e di partecipazione. Sconnettendosi quindi da un atto di acquisto.

Un post di Benoït Thieulin situa Mediapart nella filiazione deli media partecipativi come Ohmynews, descrivendo una parte del processo di creazione del valore aggiunto in uno spazio partecipativo, per esempio esigendo una partecipazione dei lettori priva di anonimato e con l’ obbligo di registrazione. “l’obbligo di fare login disegna, senza che ci si faccia caso, uno spazio delimitato in cui si fa appello a contribuire (…) e che, esteso nel tempo, conferisce a ciascun aderente una identità legata a questo progetto’’.

L’ identità numerica, la nuova posta in gioco

Ho sostenuto una idea simile in seno a Les Echos per incoraggiare l’ idea della partecipazione dei lettori a proprio nome (attualmente si lasciano sempre dei commenti usando degli pseudonimi ; e la stessa discussione l’ ho avuta con Laurent Mauriac di Rue89.com) perché è proprio l’ adesione identitaria al media che è al cuore del processo di affinità. Il motore del vero ‘’abbonamento’’ è la creazione di valore. Penso così che tutto questo non è nuovo, è già dentro l’ atto tradizionale di abbonamento ma si ritrova spesso mascherato dall’ atto di acquisto simbolico attraverso la visita all’ edicola.

Per queste ragioni io penso che l’ approccio di Mediapart sia quello buono. Anche se non c’ è alcuna garanzia di successo. Faccio anche una scommessa su un modello finale misto pubblicità-abbonamento, ma mi sembrava importante per un progetto tanto ambizioso fissare sin dalla partenza la barra molto verso l’ alto. Non per il prezzo, ma per l’ affermazione di una ambizione morale, per quanto arrogante essa possa essere. D’ altronde, al fondo, non penso che ci possano essere dei grandi media senza un progetto politico.

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