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‘RISTRETTI ORIZZONTI’, VENTI REDATTORI-DETENUTI PER RACCONTARE IL CARCERE

Ha raggiunto il traguardo di 50 numeri la rivista del ‘’Due Palazzi’’ di Padova che da nove anni cerca di sfatare la banalizzazione e il pregiudizio suggerita dall’ informazione ufficiale

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di Maria Itri

Traguardo di cinquanta numeri per «Ristetti Orizzonti» (qui) ), la rivista del carcere penale Due Palazzi di Padova. L’idea di realizzare un giornale che raccontasse il carcere è nata nel 1997: lo sforzo era quello di far conoscere all’esterno la vita dei detenuti, unendo le notizie che spesso passano in secondo piano sulla stampa “regolare” all’ approfondimento sui temi più diversi: dall’emarginazione al reinserimento, dall’affettività alla sessualità.

Il nome della testata gioca con il termine burocratico con il quale vengono definiti i detenuti (i «ristretti» appunto), con la speranza che gli orizzonti possano essere prima o poi un po’ allargati.

Oggi la tiratura è di circa 1300 copie, 700 delle quali diffuse agli abbonati.
La redazione di «Ristretti» è multietnica: tra i circa venti redattori sono molti gli stranieri.
Un secondo gruppo di detenute lavora alla rivista dal carcere femminile della Giudecca a Venezia.

Il loro non è un giornalismo di denuncia, e questo forse allontana dal lavoro molti degli altri compagni. «In tanti vorrebbero che dedicassimo più spazio a piccoli soprusi quotidiani – spiega Ornella Favero, volontaria e direttore responsabile di «Ristretti» – ma questo non è il nostro obiettivo».
I lettori per i quali i detenuti scrivono sono soprattutto fuori dal carcere. «Non ha senso fare del vittimismo: la società risponde sempre allo stesso modo: “Sei dentro, te la sei voluta”. Noi – spiegano – vogliamo fare informazione, raccontare il carcere correttamente, sfatando il mito negativo che l’opinione pubblica ne ha, anche a causa della scorretta immagine comunicata dai media».

Per i detenuti è confezionato un bollettino interno, «Passepartout», che fornisce indicazioni su questioni più pratiche che coinvolgono la vita quotidiana.

La scaletta del giornale nasce nel corso delle riunioni di redazione che si svolgono ogni giorno, prende spunto dall’attualità o dalla rassegna stampa che viene compilata quotidianamente da un’altra apposita redazione.

«Ristretti» nasce all’interno del carcere in tutte le sue fasi: dalla scrittura all’impaginazione, dalla grafica alla gestione degli abbonamenti, dalla spedizione alla realizzazione (off-line) del sito. Questo lavoro è affiancato da una sede esterna gestita da detenuti in semilibertà e articolo 21 che si occupa anche della newsletter. Un altro gruppo di detenuti si occupa del Telegiornale (Tg 2 Palazzi) che trasmette il notiziario su una rete regionale una volta la settimana.

Sono molti i motivi che spingono chi è in carcere a partecipare alle attività della redazione. Uno di questi è la possibilità di avere degli spazi completamente liberi dalla presenza delle guardie penitenziarie, che solitamente controllano lo svolgersi delle altre attività. La redazione di «Ristretti» invece può riunirsi e lavorare anche se non sono presenti i volontari. In tanti poi credono che far parte del gruppo possa agevolare la concessione dei permessi, altri sono stati cooptati da compagni di cella che già lavoravano al giornale.
«Anche qui- scherzano – si entra per raccomandazione, attraverso la presentazione di un redattore».
In realtà una delle caratteristiche attraverso le quali i detenuti sono reclutati è la lunghezza della pena, anche perché per ambientarsi occorrono diversi mesi. Del nucleo originale non è rimasto quasi nessuno perché «prima o poi, per fortuna, si esce».

La libertà nella scrittura e nella scelta dei temi è molto ampia, il giornale non è sottoposto a nessuna lettura preventiva da parte della direzione. «È anche vero però – osservano – che siamo noi stessi a capire in quale direzione è consentito muoverci, ma in quale giornale questo non accade?».

Una redazione quindi a suo modo anomala, senza telefono né collegamento ad Internet, dove i redattori sono costretti a ritagliare dalle altre riviste le fotografie per il loro giornale. Uno solo il detenuto che nella vita “regolare” era giornalista professionista, e che oggi sorride e si lamenta: «Qui le pagine si disegnano dopo i pezzi, ognuno scrive liberamente e io costruisco la gabbia solo successivamente».

Numerose le attività collaterali di questo attivissimo gruppo: tra le altre, la pubblicazione di tre volumi, uno dei quali, «Non aprite quel barattolo», raccoglie le vignette di Dado, detenuto “ristretto” nato dalla matita di Graziano Scialpi.

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