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Giornata internazionale della libertà di stampa

30 GIORNALISTI UCCISI NEL 2006,788 ARRESTATI NEL 2005, 178 QUELLI ANCORA DETENUTI

L’ enigma di Al-Darrat, giornalista libico arrestato nel 1973

Le tragiche cifre raccolte in occasione del 3 maggio – In tre anni di guerra in Iraq 88 i giornalisti uccisi – Fra i detenuti ce ne dovrebbe essere uno, libico, in prigione da 33 anni: non si sa dove è detenuto né perché. Né, soprattutto, se è ancora in vita – Un articolo di Hamid Skif, giornalista, scrittore e poeta algerino, ne racconta l’ enigma – Fnsi e Lsdi dedicano a lui la giornata del 3 maggio

Sono 176 i giornalisti e operatori dell’ informazione uccisi dal primo gennaio 2005, 30 dei quali nei primi quattro mesi di quest’ anno. Si tratta di alcune delle cifre – di fonte Insi (International news safety Institute – che scandiscono quest’ anno il 3 maggio, giornata che l’ Unesco ha dedicato alla difesa della libertà di stampa.

L’ ultimo giornalista ucciso in ordine di tempo è Koussai Kahdban, della stazione radio di Baghdad Al-Bilad. E’ stato ammazzato a colpi d’ arma da fuoco da un gruppo di sconosciuti a Baghdad il 22 aprile.

Con lui – secondo Reporters sans frontières – salgono a 88 i giornalisti uccisi nel paese nei tre anni di guerra. Tredici quelli morti dal primo gennaio del 2006.

Omicidi a cui – sempre in Iraq – si aggiungono i sequestri di giornalisti e operatori dei media, tre dei quali – Rim Zeid, Marouane Khazaal e Salah Jali al-Gharraoui – sono ancora in ostaggio. In tutto, nei tre anni di guerra, sono stati sequestrati 40 professionisti. Cinque di loro (fra cui Enzo Baldoni) sono stati uccisi dai sequestratori.

Ma cresce in maniera vistosa il numero dei giornalisti arrestati. La WAN (World Association Newspapers), associazione che raggruppa editori di tutto il mondo (fra cui anche la Fieg) ne ha contati 788 in tutto il 2005. E ben 178 giornalisti, operatori dell’ informazione e cyberdissidenti, secondo Rsf, sono tuttora in carcere ( qui).

Uno di essi, Abdullah Ali Al-Sanussi Al-Darrat, 60 anni circa, libico (è originario di Bengasi) sarebbe in prigione dal primo gennaio 1973: trentatre anni e quattro mesi.
Non si conoscono ancora le circostanze del suo arresto e, a quanto risulta, non si sa se e per che cosa sia stato condannato.
Le indagini compiute finora dalle associazioni internazionali non hanno consentito di conoscere il luogo di detenzione né il suo stato di salute. Tutte le richieste in questo senso sono state finora respinte dalle autorità libiche.

Un articolo di Hamid Skif, giornalista, scrittore e poeta algerino, racconta la vicenda di Al-Darrat, che Fnsi e Lsdi hanno scelto quest’ anno per celebrare la giornata del 3 maggio. Il suo caso, infatti, è rivelatore del destino che attende i detenuti per reati di opinione dimenticati dall’ opinione pubblica.

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L’ ENIGMA AL-DARRAT

di Hamid Skif*
(da www.worldpressfreedom , il sito che WAN, World Newspapers Association, ha dedicato al 3 maggio)

Le condizioni e la data del suo arresto non sono chiare e le fonti divergono. Qualcuno parla di gennaio, altri di aprile. Ma il problema non è la data o l’ anno – 1973, 1974, 1975 -. Se è ancora in vita sarebbe il giornalista prigioniero da più tempo al mondo: il fatto è che nessuno sa dove è rinchiuso.

La maggior parte delle persone interpellate ritengono che sia morto da tempo ed è impossibile contattare la sua famiglia, che vive a El Adjabia, una cittadina situata a 18 chilometri a sud di Bendasi.

Il caso di Abdullah Ali Al-Sanussi Al-Darrat è rivelatore del destino che attende ogni prigioniero per reati di opinione dimenticato dall’ opinione pubblica mondiale. Nel suo paese è proibito parlarne. Dopo il golpe che lo ha portato al potere nel settembre 1969, il colonnello Muhammar Gheddafi ha steso una cappa di piombo sulla società libica e impedisce qualsiasi forma di lbera espressione.
A questo ritmo, l’ enigma Al-Darrat persisterà ancora a lungo.

Le persone interrogate non hanno alcuna notizia sul perché sia stato arrestato o sul luogo dove è detenuto. Nessun tribunale lo ha giudicato e le richieste formulate dalla Lega libica dei diritti dell’ uomo si scontrano col mutismo dell’ amministrazione.

Qualcuno spera che la fondazione che dirige Seïf El-Islam, uno dei figli di Gheddafi che si presenta come un intermediario attivo in casi particolarmente complessi – ha giocato un ruolo controverso nella liberazione degli ostaggi occidentali nell’ isola di Jolo, nelle Filippine* – possa dare qualche informazione a questo riguardo, ma anche questo sembra poco probabile.

Se la maggior parte degli osservatori ritengono che il giornalista sia morto da molto tempo, nessuno sa le condizioni in cui sarebbe maturata la sua presunta morte. Questo caso è emblematico della sorte riservata nella Jamahirya – la repubblica delle masse popolari (così l’ ha battezzata il dittatore dalle erratiche ambizioni) – ai giornalisti che osano esprimere una opinione contraria a quella del regime.

Quello che maggiormente colpisce nell’ enigma Al-Darrat è l’ assenza di mobilitazione attorno al suo caso. Dimenticato nel deserto, il giornalista – se è ancora vivo – avrebbe così passato 33 anni in una cella senza che quasi nessuno si preoccupasse per la sua sorte. Nessun visitatore di rango ha finora osato chiedere al colonnello Gheddafi notizie del prigioniero e nessuna mobilitazione ne ha reclamato la scarcerazione.

Il caso Al-Darrat mi ricorda – fatte le debite proporzioni – quello del giornalista algerino Abdelkader Hadj Benaâmane, arrestato il 28 febbraio 1995, ma il cui arresto si era saputo solo un mese e mezzo dopo. Nel luglio di quell’ anno era stato condannato in un processo a porte chiuse a tre anni di reclusione dal tribunale militare di Tamanrasset, nel Sahara algerino. Dopo aver scontato due terzi della pena era stato messo in libertà condizionale. Giornalista dell’ agenzia ufficiale algerina APS, aveva commesso il ‘’crimine’’ di informare la sua redazione sul trasferimento di Ali Belhadj, il numero due dell’ ex Front islamique du salut (FIS) in una prigione di Tamanrasset.

Uscito molto scosso da questa prova, Abdelkader Benaâmane aveva avuto la sensazione di essere stato abbandonato alla sua sorte dai suoi colleghi pur non avendo fatto altro che il suo lavoro. C’ erano state, certo, delle proteste ma erano rimaste senza seguito e la vicenda era sembrata chiusa. La lontananza della prigione e il fatto che non si trattava di un giornalista famoso avevano giocato a suo sfavore. Ora ci si può chiedere come sarebbero andate le cose se non fosse stato processato e non avesse goduto di un minimo di interessamento nel contesto algerino dell’ epoca.

Tornando al nostro caso, non sembra che la normalizzazione delle relazioni fra la Libia, gli Stati Uniti e l’ Unione europea possa portare qualche novità, dato che gli interessi degli Stati vanno bel al di là dell’ attenzione che essi possono accordare al rispetto dei diritti dell’ uomo in questa regione del mondo.

Questo atteggiamento, che contrasta fortemente con la propaganda ufficiale, rafforza di fatto i sospetti dell’ opinione pubblica araba, che accusa gli occidentali di non interessarsi ai diritti dell’ uomo in questa parte del mondo se non quando sono in pericolo i loro interessi.

L’ idea di dedicare questo 3 maggio, Giornata internazionale della libertà di espressione, ad
Abdullah Ali Al-Sanussi Al-Darrat per reclamare la sua liberazione o, per lo meno, spingere il governo libico a fornire delle informazioni verificabili sulla sorte che gli è stata riservata, mi sembra il modo migliore per far luce su questa tragedia.

Al di là della vicenda Al-Darrat, mi sembra vitale attirare l’ attenzione dell’ opinione pubblica mondiale sullo stato della libertà di espressione e di quella dei giornalisti nei paesi arabi. Tranne qalche rara eccezione, la libertà di stampa resta uno slogan vuoto e i professionisti dell’ informazione degli incensatori di regimi ostili a qualsiasi riforma in un mondo in pieno cambiamento.

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*Giornalista, scrittore e poeta algerino. Vittima di rappresaglie per i suoi scritti e per la sua azione in difesa della libertà di espressione in Algeria, Hamid Skif ha lasciato il suo paese negli anni Novanta e si è stabilito ad Amburgo, in Germania, dove tuttora risiede.

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