Perchè ai fotoreporter non piace essere giornalista professionista ?

di Amedeo Vergani
Tra le svariate decine di colleghi che esercitano in modo esclusivo attività fotogiornalistica sino ad ora quasi nessuno ha colto le nuove opportunità Odg per imboccare la via dell’esame di idoneità professionale – Il fenomeno rilevabile anche dai dati di una ricerca Censis sui praticanti è Ora sarebbe importante uno studio che ne analizzi in profondità le cause.
Perchè ai fotoreporter non piace essere giornalista professionista ? Il quesito si impone dopo aver tirato qualche somma nel cercare di capire cos’è cambiato all’orizzonte dopo che da due anni, esatti proprio il prossimo 5 luglio, sono entrate in vigore le nuove “regole” del Consiglio nazionale dell’Ordine ( vedi http://www.odg.it/sentenze/2003/01/criteri34.htm ) che, riconoscendo il “praticantato freelance”, hanno aperto definitivamente le porte d’accesso all’elenco professionisti anche a chi opera nel giornalismo del lavoro autonomo, fotogiornalisti compresi.
Quasi nessuno, infatti, tra i fotogiornalisti freelance ha deciso di imboccare la via dell’esame di idoneità per diventare giornalista professionista. Questo anche se sono a decine i fotoreporter che, vivendo esclusivamente di lavoro giornalistico, sono in possesso dei requisiti che li pongono senza ombra di dubbio tra i soggetti che, se le norme dell’ordinamento professionale non sono solo barzellette, dovrebbero essere nell’elenco professionisti dell’Albo. .
Sul fenomeno non ci sono, purtroppo, dati prodotti da specifiche ricerche. La realtà però emerge concretamente anche solo dalle esperienze acquisite direttamente sul campo dal Gruppo di specializzazione dei giornalisti dell’informazione visiva della Lombarda nel lavoro di supporto orientativo che, da diversi anni e su scala nazionale, quest’organismo sindacale sta portando avanti tra i colleghi. .
In sostanza, nei due anni seguiti all’apertura del praticantato ai freelance, tra alcune centinaia di fotoreporter del lavoro autonomo che gravitano nell’area del Gsgiv, uno solo di loro ha sentito il dovere di sottoporsi agli esami di idoneità , riuscendo, tra l’altro, grazie ad un praticantato retrodatato, a passare in pochissimi mesi dalla posizione di semplice “aspirante pubblicista” a quella di giornalista professionista. .
Scarsissima anche la domanda di informazioni sulla specifica materia : una quindicina di casi finiti poi tutti in altrettante bolle di sapone subito dopo le prime “dritte ” d’orientamento. .
La tendenza emersa dall’esperienza pratica del Gsgiv, ha trovato qualche significativo elemento di conferma in uno recente studio Censis sul praticantato giornalistico, secondo il quale, lo scorso anno, solo l’1,6 per cento dei candidati agli esami di idoneità ha dichiarato di occuparsi di informazione visiva. .
Il dato, già esiguo, accomuna però soggetti di tutte le differenti figure professionali che, oltre ai fotoreporter freelance, si occupano di giornalismo per immagini, come teleoperatori, iconografi e pure fotogiornalisti da praticantato di redazione. .
Per poterne trarre valutazioni in grado di dare più precise indicazioni sul come hanno risposto i fotoreporter freelance alle nuove regole dell’Ordine, il dato Censis andrebbe perciò sottoposto ad un adeguamento. .
Purtroppo però lo studio del Censis non fornisce elementi più specifici e dettagliati utili a questo scopo. .
Il ridimensionamento comunque potrebbe essere davvero molto drastico, facendo scendere la percentuale generale di settore dell’ 1,6 a valori, per quanto riguarda la presenza di fotoreporter freelance, quasi nulli , persino del genere nei quali a farla da protagonisti sono quasi solo gli zeri, le virgole e altri zeri. Questo certamente se si considera la testimonianza di un collega che , proprio in una delle due sessioni d’esame analizzate dal Censis, si è trovato come unico “esemplare” di fotoreporter freelance tra i 677 candidati sui banchi della prova scritta. .
Il fenomeno della latitanza dei fotogiornalisti all’iscrizione nell’elenco dei professionisti non è comunque una novità . E’ storia davvero antica. I fotoreporter sono infatti sempre stati “merce rarissima” anche per gli svariati Consigli regionali che riconoscevano il “praticantato freelance” già da molto tempo prima che l’Ordine nazionale varasse le sue nuove norme. .
Questo anche in Lombardia, dove l’Odg regionale, antesignano apripista del praticantato ai giornalisti del lavoro autonomo, esattamente quindici anni fa era stato il primo ad aprire ai fotogiornalisti con un “caso” che ha poi fatto per anni , e fa ancora, giurisprudenza. Un esempio pilota che, però, restò un caso quasi isolato anche in questa regione ad altissima concentrazione di fotoreporter. E questo anche se negli anni scorsi, a più riprese, lo stesso Gsgiv dell’Alg si era impegnato in una campagna d’informazione ai colleghi della Lombardia per spingerli ad affrontare l’esame di idoneità per l’accesso all’elenco professionisti. .
Tirando un po’ le somme, sembra perciò fuori da ogni dubbio il fatto che tra i fotoreporter freelance e l’elenco professionisti dell’Albo ci sia davvero un qualcosa che “quaglia” molto male. .
E’ un dato di fatto che però non sorprende troppo chi si occupa abitualmente delle vicende del fotogiornalismo italiano. L’ “allergia” dei fotoreporter al praticantato e agli esami per l’accesso alla professione di giornalista, è un male cronico e antico. La situazione attuale di latitanza al “praticantato freelance”, sembra infatti l’esatto replay di quanto già visto e rivisto ventisei anni fa quando, grazie ad un “rivoluzionario” decreto del presidente della Repubblica, era stata aperta la via al praticantato tradizionale, e di conseguenza anche al contratto di lavoro giornalistico, ai numerosissimi “fotografi di redazione” che allora lavoravano, inquadrati come dipendenti “tecnici”, in quotidiani, periodici e agenzie d’informazione per la stampa. .
Pochissimi però colsero l’occasione. Pure allora i numeri erano stati da dita di una sola mano. Tutti gli altri invece, per evitare – diciamocelo con chiarezza – “rompimenti e fatiche” della preparazione agli esami, preferirono invece entrare nell’Albo ai “costi zero” dall’iscrizione ai pubblicisti. .
Per queste scelte di ieri e per quanto sta avvenendo anche ora , oggi il risultato palese è che, nel mondo del giornalismo italiano, la figura del fotoreporter “giornalista professionista” è praticamente un’autentica rarità. In tutto i fotogiornalisti iscritti nell’elenco professionisti dell’Albo, stando ad una stima sommaria, dovrebbero infatti essere, uno più o uno meno, non più di venti. Una realtà numerica davvero insignificante rispetto all’infinità dei soggetti che, spesso anche totalmente fuori dalle regole dell’ordinamento professionale, producono l’informazione fotogriornalistica proposta dalla stampa italiana ai suoi lettori. .
Sui perchè di questo fenomeno, sondando nell’ambiente dei diretti interessati, se ne possono sentire davvero di tutti i colori, compresi, sopratutto, alibi e scusanti che quasi sempre, anche nei casi migliori, forse potevano avere qualche ragione d’essere solo in un passato molto lontano e ora, comunque, definitivamente sepolto dai nuovi criteri sullo svolgimento del praticantato adottati dall’Ordine nazionale. .
Il dato di fatto della “latitanza” però, al di là di qualsiasi colpa o ragione, resta inconfutabile, offrendo, tra l’altro, un’angolazione del tutto differente da quelle più usuali per analizzare la realtà del “sistema fotogiornalismo” italiano e i perchè delle sue davvero gravi problematiche. .
Sarebbe perciò importante affrontare in profondità il fenomeno con uno specifico studio, tenendo però sempre ben presente che, nell’era della comunicazione visiva e nel sempre più delicato settore del giornalismo fotografico, è ormai un dovere indiscutibile l’ assicurare a lettori e telespettatori un’informazione per immagini mediata da operatori sempre più qualificati e garantiti , prima che da ogni altro valore, da una piena, consapevole e accertata condivisione delle regole dell’etica e della deontologia imposte dall’ordinamento sulla professione di giornalista.