Appendice 16

Venezuela: le difficoltà del presidente Chavez

di Equilibri.net
Dicembre 2002

 

 

A soli otto mesi dall'insurrezione contro Chavez e dal successivo tentativo di colpo di Stato, in Venezuela il presidente sembra nuovamente essere in bilico. Due settimane di sciopero generale, organizzato dai partiti dell'opposizione, dal sindacato CTV e dalla Federcamaras, il sindacato imprenditoriale, hanno provocato una gravissima crisi economica nel Paese, diffuso il panico fra i consumatori e altamente destabilizzato il potere del presidente. (Stefano Magni)

La causa della crisi attuale è identica a quella della crisi di otto mesi fa: le opposizioni, constatando che il presidente, eletto nel 1998 e riconfermato nel 2000, non gode più della fiducia popolare, chiedono di rivedere con un referendum i risultati elettorali.

Chavez: da colonnello golpista a presidente

Il Venezuela è un Paese ricchissimo di risorse naturali, soprattutto è uno dei maggiori produttori mondiali di petrolio fin dal 1917. Nonostante questo, la sua economia non è mai stata prospera e la popolazione è una delle più povere del pianeta. Prima della scoperta del petrolio, il Venezuela era retto da giunte militari che sopravvivevano tassando le esportazioni di caffè. Dopo la scoperta dei giacimenti petroliferi, i militari sono rimasti al potere e si sono legittimati di fronte alla popolazione con politiche sociali redistributive, che sono risultate fortemente dannose per la crescita del benessere nel Paese e soprattutto hanno diffuso la corruzione. Le prime opposizioni ai militari, sono sorte negli anni '30. Dal 1958, il Venezuela è una democrazia, ma i suoi problemi non sono stati risolti. Il primo presidente democraticamente eletto, Romulo Betancourt, provò a riformare il Paese in senso liberale, con tagli alla spesa sociale e con la promozione del libero mercato, ma il suo esperimento durò poco. Infatti i suoi successori rilanciarono politiche di stampo socialista, con crescita esponenziale delle tasse (che raggiunsero il 70% sulle esportazioni dell'olio), nazionalizzazioni e creazione di industrie statali. Nel 1975 l'industria petrolifera fu nazionalizzata per ordine del presidente Carlos A. Perez e nel 1977 il Venezuela registrava un debito pubblico considerevole. Nel 1989, lo stesso presidente Perez, sollecitato dal Fondo Monetario Internazionale, cercò di sanare l'economia del Paese varando un programma di privatizzazioni, ma si scontrò da subito con una violenta reazione popolare. Le sommosse contro il presidente Perez costarono 200 morti. Fu in questo clima da guerra civile che si fece avanti per la prima volta, il tenente-colonnello Hugo Chavez Frias, ufficiale dei paracadutisti dalle idee vicine all'estrema sinistra. Il colpo di Stato fallì e Chavez fu processato e condannato alla prigionia. Tuttavia, la sua sfortuna durò poco, dato che il presidente Perez fu travolto da uno scandalo per corruzione e il suo nemico Chavez venne identificato come un eroe, come l'uomo che avrebbe potuto liberare il Venezuela dalla corruzione. Alle elezioni del 1998, Chavez era al massimo della sua popolarità e soprattutto non fronteggiava alcun avversario degno di nota: una ex "miss" e vecchi candidati socialdemocratici e cristiano-sociali, considerati irrilevanti dall'opinione pubblica. Il crollo del sistema dei partiti tradizionali in Venezuela, aveva aperto un varco in cui l'ex colonnello golpista riuscì prontamente a inserirsi. Ottenne il 76% dei consensi.

 

L'impopolarità crescente di Chavez

In soli quattro anni, Hugo Chavez, dall'essere l'uomo più popolare del Paese, è diventato un presidente contestato dal 70% dei suoi cittadini, a rischio di essere rovesciato da una sommossa popolare di massa. I motivi di questa rapidissima caduta di popolarità sono molti. Il primo anno di presidenza, Chavez riuscì a sfruttare l'onda del successo elettorale ottenuto e a varare importanti riforme istituzionali. Sciolse l'Assemblea Nazionale e convocò un'assemblea costituente. Nel dicembre del 1999, la nuova costituzione, la ventiseiesima del Paese, fu approvata da un referendum popolare, ritenuto valido nonostante un astensionismo del 54% degli aventi diritto al voto. Nel 2000, varata la nuova costituzione, nuove elezioni confermarono lui e il suo partito MVR (Movimento per la V Repubblica ). Fu dopo questa seconda elezione che Chavez,, incoraggiato dal suo successo personale, varò la sua politica rivoluzionaria. La prima mossa fu quella di lanciare il "Piano Bolivar", dal nome del liberatore dell'America Latina dal colonialismo spagnolo: l'esercito fu incaricato di occuparsi anche di mansioni civili, come il gestire mercati, riparare edifici pubblici e supervisionare le scuole. I fondi, normalmente destinati agli enti locali, furono dirottati alle casse dell'esercito. Il Piano Bolivar arricchì notevolmente le forze armate, incoraggiò la corruzione e l'arricchimento personale di molti ufficiali e aumentò notevolmente la presenza dell'esercito nella società civile. Nell'ottobre del 2000, il presidente venezuelano siglò un trattato con Fidel Castro: in cambio della fornitura di un terzo del fabbisogno petrolifero di Cuba, ottenne l'invio di consiglieri civili e militari cubani: professori, dottori, allenatori sportivi, membri dell'intelligence affluirono nel Paese. Uno dei ruoli principali dei consiglieri civili cubani, a partire dal gennaio del 2001, fu di riscrivere i programmi scolastici e nel provvedere alla selezione e alla preparazione del personale didattico. L'obiettivo era quello di costruire una nuova "scuola bolivarista" che educasse gli scolari e gli studenti a "resistere alle forze della globalizzazione". Il piano risultò fortemente impopolare: molti insegnanti, anche quelli che lavoravano in istituti privati, furono sommariamente licenziati e sostituiti in seguito a ispezioni di commissioni politiche. Nel 2001, poco dopo il varo della riforma dell'istruzione, diecimila, fra genitori e insegnanti, marciarono a Caracas in segno di protesta contro un "indottrinamento di ideologie straniere". Nel giugno del 2001, per intimidire un'opposizione crescente, Chavez istituì dei corpi armati paramilitari, i Circoli Bolivaristi, il nucleo di una vera e propria forza armata parallela all'esercito, costruita sul modello dei comitati per la difesa della rivoluzione cubani. La manovra alienò a Chavez anche l'appoggio di molti ufficiali dell'esercito regolare, fra cui gli autori del tentativo di colpo di Stato dell'aprile scorso. Ciò che fece crollare di colpo la popolarità di Chavez fu la sua politica economica. Con 49 decreti, il presidente, di fatto, ha nazionalizzato l'intera economia del Paese, vincolando a tal punto le imprese private da impedir loro di commerciare e produrre autonomamente, oltre a prevedere la confisca di quelle terre considerate (dalle stesse autorità) non sfruttate. La massiccia nazionalizzazione, ha alienato al presidente, l'appoggio degli imprenditori, organizzati nella Federcamaras. Il presidente ha anche tentato, sull'esempio di Fidel Castro, di nazionalizzare il sindacato, la Confederazione dei Lavoratori Venezuelani (CTV). Il tentativo non gli è riuscito, nonostante Chavez abbia candidato a segretario del sindacato un suo rappresentante e abbia tentato di invalidare il risultato sfavorevole della votazione. Ne è risultata una lotta fra istituzioni e sindacato che dura tuttora e che ha alienato al presidente l'appoggio della maggior parte dei lavoratori. In una rara occasione nella storia del Venezuela, il sindacato dei lavoratori e la Federcamaras si ritrovano dalla stessa parte. Infine i media sono diventati, praticamente all'unanimità, il peggior nemico del presidente. La nuova costituzione impone ai media di "dire la verità", non specificando che cosa si intenda per verità. Chavez ha incominciato da subito a occupare un forte spazio televisivo, a criticare apertamente i giornalisti e a modificare personalmente i palinsesti. Dal 2001 ha attaccato i media indipendenti. In particolare, nell'ottobre del 2001 ha additato il direttore di Globovision, giudicandolo un "nemico della rivoluzione" e minacciando di revocargli la licenza. Nel gennaio del 2002, sostenitori di Chavez hanno circondato la sede del quotidiano El Nacional, critico nei confronti del presidente, minacciando di raderla al suolo. Durante l'insurrezione dell'aprile del 2002, i media furono i primi ad essere colpiti nella repressione ordinata da Chavez: furono oscurate le immagini delle manifestazioni contro il presidente e alcune sedi furono anche occupate e devastate dai Circoli Bolivaristi. La repressione di Chavez nei confronti dei media, ha fatto sì che questi formassero una spontanea coalizione anti-presidenziale. Ad allarmare ulteriormente l'opposizione politica di Chavez, sono state alcune sue manovre governative, come il licenziamento e la sostituzione di ben 40 fra ministri e sottosegretari, la promozione di ufficiali a lui fedeli alle principali cariche istituzionali e alla guida di quattro ministeri (con una composizione attuale del governo che ricorda le giunte militari pre-democratiche), la sostituzione dei membri della Corte Suprema con suoi sostenitori. L'espansione del potere personale di Chavez nelle istituzioni, nell'economia, nell'esercito e nella società civile, ha allarmato gran parte dell'opinione pubblica. Una prima insurrezione, culminata con un vero e proprio tentativo di colpo di Stato appoggiato da parte dell'esercito nello scorso aprile, è fallita, ma la tensione non è affatto diminuita.

 

Lo sciopero generale

Dall'insurrezione e dal tentativo di colpo di Stato dello scorso aprile, fino all'attuale sciopero generale di dicembre, non vi sono stati lunghi periodi di tregua per il presidente venezuelano. Le opposizioni, in particolare i socialdemocratici di Azione Democratica e i Cristiano-sociali, chiedono che il presidente dia le dimissioni per non aver assolto bene il proprio compito e che si rifacciano le elezioni. L'articolo 72 della nuova costituzione venezuelana permette di revocare il mandato presidenziale tramite un referendum popolare. Devono passare almeno tre anni di mandato, prima di sottoporre a referendum la fiducia al presidente, per cui un referendum potrebbe essere considerato costituzionalmente legittimo solo se effettuato dopo l'agosto del 2003. Già il 2 febbraio scorso, il Tribunale Elettorale Nazionale aveva approvato la richiesta di indire il referendum, in seguito alla raccolta di 2 milioni di firme. L'opposizione preme perché non si attenda fino all'agosto del 2003, dato che la crisi economica è molto grave e il Paese è troppo polarizzato. Molti oppositori, inoltre, temono che Chavez, vista la politica seguita finora, instauri una sua dittatura personale e non permetta future elezioni. Recentemente ha dichiarato che non si dimetterebbe in seguito a un referendum, nemmeno se perdesse con il 90% dei voti contrari. L'ottobre scorso, più di un milione di oppositori del presidente erano scesi in piazza in Caracas chiedendo le sue dimissioni. Anche 14 ufficiali dell'esercito regolare, fra cui molti di quelli che avevano partecipato al colpo di Stato di aprile, hanno invitato la popolazione a unirsi ai manifestanti. La pressione popolare, tuttavia, non ha impedito alla Corte Suprema di annullare, in novembre, la decisione del Tribunale Elettorale Nazionale. E' in quell'occasione che tutte le opposizioni, politiche e sociali, hanno deciso di imboccare la strada dello sciopero generale in dicembre. Lo sciopero è iniziato il 2 dicembre, con l'80% dei lavoratori venezuelani, di tutti i settori, che hanno incrociato le braccia. Il 3 dicembre anche i due quotidiani a tiratura nazionale, El Nacional e El Universal, si sono uniti alla protesta. Anche i sostenitori di Chavez, a centinaia di migliaia, hanno incominciato a manifestare ogni giorno contro gli scioperanti, ma non è questa l'unica forma di difesa adottata dal presidente: la reazione, anche militare, non si è fatta attendere. Il 6 dicembre, elementi dei Circoli Bolivaristi hanno sparato sulla folla in piazza Altamira provocando diverse vittime. L'8 dicembre, sempre i Circoli Bolivaristi hanno occupato e devastato la sede di Globovision. Il 10 dicembre le truppe regolari hanno occupato i distributori di benzina, per costringere gli esercenti a fornire i servizi fondamentali. Seguendo la stessa logica, truppe regolari hanno anche abbordato una petroliera al largo di Maracaibo, hanno arrestato l'intero equipaggio (che aveva aderito allo sciopero) e lo hanno sostituito. Nonostante la repressione sia molto dura, lo sciopero generale continua da due settimane. L'economia venezuelana ha subito già un duro colpo, con la perdita del 40% della produzione petrolifera. L'assenza improvvisa di tutti i servizi, anche quelli fondamentali, ha contribuito a diffondere il panico nel Paese. Si assiste quotidianamente a scene come lunghe code di automobili alle pompe di benzina, assalti alle scorte di viveri nei supermercati e lunghe file agli sportelli bancari per ritirare, qualunque cosa succeda, il proprio conto in banca. La mediazione internazionale fra governo e opposizione dell'OAS, l'appello lanciato dall'amministrazione statunitense affinché il presidente Chavez si dimetta e accetti di sottoporre a referendum la sua fiducia e l'appello pubblico lanciato dalla stessa moglie del presidente affinché dia almeno ascolto alle voci dell'opposizione, non hanno avuto seguito. Nel suo programma televisivo quotidiano, Hugo Chavez, mettendo in risalto le sue doti di oratore e mescolando il patriottismo alla simbologia religiosa, si ritiene saldamente al potere, accusa l'opposizione di avere "progetti diabolici" o di essere semplicemente "fascista". Nel suo ultimo proclama televisivo ha minacciato di ricorrere "a tutti i mezzi necessari" per ristabilire l'ordine nel Paese e di licenziare tutti coloro che partecipano allo sciopero, per "ripristinare la legge". Contemporaneamente, la violenza della repressione non accenna a diminuire nel momento in cui questo articolo viene scritto. Tutti i segnali attuali portano alla conclusione che il braccio di ferro in Venezuela durerà ancora a lungo e che una soluzione pacifica e mediata sia ancora molto lontana.

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Dossier FNSI a cura di Pino Rea | Impaginazione e grafica Filippo Cioni