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Roberto Natale"Conservare, rafforzare, migliorare sempre di più l’attività di servizio pubblico"

Confronto sulla privatizzazione Rai sede Fnsi, 21 dicembre 2004

Introduzione

di Roberto Natale

- Iniziativa anche per dire che non consideriamo le parole di Ciampi “acqua calda”. E per marcare la differenza della nostra risposta da quella dell’azienda. Le parole del Presidente della Repubblica, si usa dire, si ascoltano e non si interpretano. Vero. Però almeno si fa finta di averle ascoltate. Siamo in una Rai in cui il Direttore Generale sceglie di non parlare il giorno delle dichiarazioni; e in quelle ore la Rai ufficiosamente commenta che “tanto ha già detto Gasparri quello che c’era da dire”. Il servizio pubblico che dà in appalto non solo le immagini ad Euroscena, ma anche i commenti alle parole del Presidente.

- Non sono “acqua calda” nemmeno le parole del Presidente della Camera, che ieri molto abbiamo apprezzato. Parole quasi ovvie: sono sette mesi che è sotto gli occhi di tutti la palese mancanza di rappresentatività del vertice. Grave sempre, per il servizio pubblico; e tanto più grave quanto più delicato è il passaggio che questa Rai è chiamata ad affrontare. Si dice di voler andare in Borsa con una azienda che al suo vertice non sa mettere a bilancio la questione del pluralismo, e che da una parte non piccola del paese può essere avvertita come soggetto ostile.Anziché tirarne le conseguenze, ciò che resta del CdA è impegnato invece ad escogitare sempre nuove scadenze come pretesto per rinviare dimissioni che già da mesi sarebbero state utili e dovute: prima la scadenza doveva essere l’approvazione della Gasparri, poi la fusione fra la Rai e Rai Holding. Sordi alle indicazioni di chi li ha nominati, sordi alle richieste della Commissione di Vigilanza, e proni invece ai voleri di chi – il ministro Gasparri – si affretta a ribadire la loro legittimità senza avere alcun titolo istituzionale per farlo. La Rai al laccio del governo. Come dimostra anche la vicenda del canone: la decisione di non aumentarlo è stata presa calpestando quella formula del contratto di servizio che cercava di fissare parametri oggettivi e di sottrarlo dunque alla discrezionalità del governo.

- Abbiamo voluto dare a questa iniziativa il titolo delle parole di Ciampi ritenendole una eccellente opportunità per allargare una discussione che fin qui è stata quasi esclusivamente condotta dagli analisti finanziari: le quote da portare in Borsa, il numero degli azionisti privati in CdA. Punto di vista legittimo, ma assolutamente parziale. Ciampi ci ricorda invece che la privatizzazione della Rai è una grande questione sociale, culturale, civile ben prima che un fatto economico. E che dunque c’è da ascoltare la voce di quelle tante parti della società italiana che da un simile cambiamento possono essere investite, e che già oggi hanno titolo per pronunciarsi sul cambiamento in atto. Non c’è bisogno di essere azionisti: azionisti della Rai sono a pienissimo titolo i 16 milioni di italiani che pagano il canone, le rappresentanze sociali dei cittadini.

- Nel pronunciarsi criticamente sulla Rai dell’imminente futuro, non c’è – come è ovvio – nessuna intenzione di difendere la Rai del presente. Una Rai che sta toccando i punti più bassi della sua storia quanto ad occultamento della realtà italiana; che sempre più scopertamente sceglie di parlare d’altro rispetto alle urgenze della cronaca politica e sociale; che per commentare proprio le parole di Ciampi sulla Rai aveva pensato di allestire un “Porta a porta” che nella composizione dei suoi ospiti clamorosamente confermava lo smarrimento di senso del servizio pubblico; una Rai che a quelle altre parole care a Ciampi sulla “schiena diritta” risponde facendo in modo sfacciato dell’appartenenza, dell’affidabilità politica, dell’asservimento, i criteri decisivi di scelta delle persone; una Rai in cui la richiesta di esibire un curriculum, per conoscere le motivazioni di una nomina, viene considerata alla stregua di una provocazione; una Rai che si ricorda dei regolamenti di disciplina quando c’è da colpire presenze scomode (vedi le nuove puntate della vicenda Beha), e li rimette nei cassetti se rischia di doverli applicare agli “amici”; una Rai che continua a negare i diritti dei lavoratori precari, rinviando la chiusura di una trattativa alla quale era stata sollecitata all’unanimità dalla stessa Commissione di Vigilanza.

- Questa è una Rai che sta facendo molto per non suscitare solidarietà, e che in questo delicatissimo passaggio rischia di trovarsi sola. Ma non sarebbe corretto ridurre tutto alle difficoltà che vive la Rai dell’epoca berlusconiana. Nella privatizzazione incombente arriva a maturazione, ai danni del servizio pubblico, un processo più lungo e più profondo: un processo di progressivo appannamento dell’identità della Rai, di crescente omologazione dell’offerta. Un processo di inseguimento della “normalità” dell’azienda, che non significava soltanto una ricerca – apprezzabile – di conti in ordine, ma anche l’indistinzione dei contenuti, la clonazione di alcuni programmi dall’emittenza commerciale, il privato assunto (più o meno esplicitamente) come modello. Non si può fare servizio pubblico pensando che la categoria di servizio pubblico sia un reperto della storia novecentesca: perché questo è successo in questi anni alla Rai, sotto diverse gestioni. E’ anche così che si è arrivati alla Gasparri e a questa pessima privatizzazione; anche per le responsabilità – giova ricordarlo ancora una volta – di un centro-sinistra che ha sprecato cinque anni di governo senza saper dare alla Rai una prospettiva di riforma, evidentemente perché convinto, in troppe sue aree, che non di una riforma il servizio pubblico avesse bisogno, ma di uno smantellamento.

Questa privatizzazione non ci piace, e non ci piace la superficialità con cui ancora troppi continuano a sostenere che non se ne farà nulla. L’iter sta procedendo a tappe forzate, ed è irresponsabile non vedere l’accelerazione.

Non c’è da buttarla sull’ideologico, sul pregiudiziale rifiuto dell’apporto di capitali privati. Questa “demonizzazione” non ci appartiene da molto tempo. Si tratta però di vedere come la Gasparri rischi concretamente di aprire la via allo smantellamento del servizio pubblico:

•Non è previsto un tetto percentuale all’ingresso di privati. Si può arrivare anche al 100%. Siniscalco ha parlato del 30% come “prima tranche”.

•Non c’è alcuna garanzia contro la vendita di reti tv e radio, che la legge rende pienamente possibile fra un anno. Cattaneo nega, ma qualcun altro (Pilati) prospetta questa possibilità. No ai “privati di Troia”.

•I privati che entreranno potranno intervenire sul complesso dell’attività e delle decisioni Rai. Mireranno, legittimamente per loro, all’utile economico: e quale garanzia c’è che la ricerca di una redditività immediata non spinga ancora di più verso programmi di tipo marcatamente commerciale, che portano molti spot? O che non vengano penalizzati gli investimenti di lungo periodo (ad esempio piani di ammodernamento tecnologico)? Oppure i privati potrebbero mirare ad un “utile politico”. E sarebbe ancora peggio. Gasparri e Cattaneo vantano, con una involontaria ironia, la maggiore autonomia che l’ingresso dei privati darà alla Rai nei confronti della politica. Non volendo praticarla oggi, fingono di desiderarla per il domani. In realtà rischiamo di finire “servitori di due padroni”.

•Non è per nulla chiaro il profilo ed il peso dei privati che entreranno. Piccoli azionisti e investitori istituzionali, come si affanna a sostenere Cattaneo, o anche grandi gruppi della finanza e dell’editoria? Perché Vittorio Colao o Carlo De Benedetti sentono il bisogno di dire che non sono interessati a quote della Rai, se la legge e la Borsanon dessero loro questa possibilità? Non può bastare un generico riferimento al modello della public company, anche perché in materia non conosciamo precedenti rassicuranti. L’azionariato diffuso potrebbe essere un modello interessante, ma qui non c’è alcuna garanzia contro il rischio che, con pochi soldi, qualche nome “pesante” si ritrovi in CdA. Non ci interessa sapere a chi sarebbe “politicamente contiguo”, e per noi non fa differenza. Ci interessa evitare che anche nel CdA Rai entri qualche nome, come accade nell’editoria privata, che vuole usare l’informazione per spingere interessi imprenditoriali di altra natura. Non vediamo in questo nulla di “moderno”.

•Vediamo una Rai molto impegnata a fare tagli per presentarsi “snella”, in forma smagliante, all’appuntamento con la Borsa. E avvertiamo il rischio forte che vengano pregiudicate le basi stesse delle produzioni future, per proseguire in una politica di “esternalizzazione” che fa affievolire le ragioni del servizio pubblico.

•E’ cominciato il lavoro del cosiddetto advisor: è la banca Rothschild il soggetto che dovrà definire il valore della Rai in modo che la Borsa possa sapere quanto vale una singola azione. La Rai verrà valutata - si legge -secondo il parametro medio in uso per le aziende private della comunicazione: l’ebitda (grosso modo l’utile prima delle imposte, ci hanno spiegato) moltiplicato per 10. Ma è accettabile che un servizio pubblico venga stimato sulla base della sua capacità di produrre utili, che non sono la “ragione sociale” dell’impresa? La Rai può anche dare profitti, ma non è stata pensata per questo. In questa logica come viene conteggiato tutto ciò che è attività di servizio? Una sede regionale che fornisce informazione da mattina a notte fonda può essere calcolata in base ad un puro principio di redditività? E i canali marcatamente di servizio pubblico - Gr Parlamento, RaiMed, Rainews24, solo per fare alcuni esempi – in questa logica finiscono per essere soltanto un costo? Sarebbe come dire, per non parlare solo di comunicazione, che dovrebbero essere valutati in base al criterio della redditività anche la scuola di un piccolo paese di montagna, o la linea di autobus che serve la periferia della grande città fino a notte inoltrata.

Ecco, queste sono le domande che poniamo. Le poniamo anche in riferimento al quadro europeo (anche questo c’è nelle parole dette da Ciampi): perché nessun paese dell’Europa occidentale, sia governato dal centro-destra o dal centro-sinistra, sta scegliendo questo strano miscuglio pubblico-privato che incombe sulla Rai.

Crediamo che questa sia l’occasione da cogliere per riscoprire ragioni vecchie e trovare ragioni nuove del servizio pubblico. Non crediamo che la risposta a questa domanda di pubblico (che si esprime anche nelle parole del Presidente) possa consistere nell’incremento del privato: come ha detto Gasparri nel centro-destra ma anche Petruccioli nel centro-sinistra (chiedendo una vera privatizzazione e delineando per il servizio pubblico un futuro “esile”, testualmente). La contraddizione stessa delle parole dovrebbe suggerire cautela.

Crediamo che debba essere superata quella fase di subalternità, quella sì ideologica, alla categoria del privato, che ha posto i servizi pubblici in condizione di subalternità,non certo soltanto nella comunicazione: pensiamo a quello che è accaduto e sta accadendo nella scuola, o nella sanità. Dovremmo imparare forse a vedere meglio i fili di una storia comune.

Siamo convinti che di un servizio pubblico rinnovato ci sia talmente bisogno che sosteniamo la proposta di “costituzionalizzarlo”: di inserire cioè nella Carta fondamentale della Repubblica le condizioni della sua autonomia. E’ una proposta nata in Francia, che anche nel dibattito italiano ha trovato importanti sostegni ed altri ne può guadagnare.

Sappiamo bene che non si tratta di un problema solo dei giornalisti: sarebbe spaventosamente miope trascurare i rischi che il processo avviato scarica sull’intera azienda. Per questo abbiamo ben chiara l’esigenza di rafforzare le più strette forme di raccordo con le organizzazioni sindacali di tutti gli altri dipendenti della Rai. A questa iniziativa comune, che a breve credo si tradurrà in prese di posizione pubbliche, ci ha indirizzato anche l’Assemblea dei Comitati di Redazione della Rai, che nei giorni scorsi ci ha affidato 3 giorni di sciopero da sfruttare d’intesa con le altre sigle. E abbiamo fiducia che questa intesa possa essere vasta, come diffusa è la preoccupazione che attraversa tutta l’azienda.

Però anche questa unità, potenzialmente larga, è importante ma non basta. Non basta che sulla Rai si muova chi nella Rai lavora.L’iniziativa di oggi nasce anche dalla speranza che altri soggetti, oltre i partiti di governo e di opposizione e oltre gli imprenditori, abbiano interesse e voglia di entrare nella partita sui destini del servizio pubblico; che sappiano vedere, oltre la sacrosanta denuncia di quello che oggi non va, il potenziale ancora inespresso di un servizio pubblico riformato; che non ci stiano a vedere cancellato un altro pezzo dei propri diritti di cittadinanza. E’ essenziale che i cittadini comincino a dire la loro, senza aspettare di dover magari possedere un’azione Rai per farlo. E’ essenziale, ed è pure urgente. La macchina della privatizzazione si è messa in cammino. Abbiamo soltanto qualche settimana - pochissimi mesi - per riuscire ad influire sulla sua velocità e sul suo percorso.

 

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Oppure visualizza il contenuto del dossier:

Emilio Rossi: la bandiera della privatizzazione è una resa all’auditel

L’ anomalia italiana e il digitale terrestre
di Marco Mele (Il Sole 24 ore)

La legge Gasparri

Il servizio pubblico nei principali paesi europei

La direttiva europea:
“Televisioni senza frontiere”

Nei collegamenti sulla destra di questa pagina troviamo una serie di documenti sulla situazione italiana, a partire dal discorso del presidente Ciampi del 13 dicembre (“qualunque sia l’assetto della televisione pubblica italiana, essa deve conservare, rafforzare, migliorare sempre di più la sua attività di servizio pubblico”), alla lettera di Enzo Biagi sulla privatizzazione della Rai, dagli articoli di Romano Prodi e Giovanni Sartori sul futuro della Rai alle posizioni “eccentriche” di Franco Debenedetti (“Servizio pubblico? Un’idea da preistoria”), fino alla risoluzione del Consiglio d’Europa (1387/2004) su “Monopolio dei media e possibile abuso di potere in Italia”

(Pino Rea.)

INTERVENTI SULLA RAI

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Intervento del Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi

Enzo Biagi: lettera sulla privatizzazione

Introduzione di Roberto Natale al Confronto sulla privatizzazione Rai sede Fnsi, 21 dicembre 2004

Prodi: la Rai va divisa in due. Allo Stato il servizio pubblico

Rai, che fare? Una proposta per Prodi di Giovanni Sartori

Una Rai liberata di Giovanni Sartori

Tv, servizio pubblico? Un’idea da preistoria Di Franco Debenedetti

I falsi (e veri) limiti della legge Gasparri di Franco Debenedetti

Risoluzione del Consiglio d’Europa 1387 (2004): Monopolio dei media e possibile abuso di potere in Italia

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