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TV: l’anomalia italiana

L’ anomalia italiana e il digitale terrestre

di Marco Mele (Il Sole 24 ore)

L’Italia ha una situazione del tutto particolare ed anomala, in Europa, per quanto concerne l’assetto del sistema televisivo e la transizione alla televisione digitale terrestre, a cominciare dal conflitto d’interessi ma anche a prescindere da quest’ultimo.

Tali particolarità possono così sintetizzarsi:

1) A partire dalla fine degli anni Settanta si è verificata un’occupazione delle frequenze da parte delle emittenti televisive. A oggi, l’etere televisivo non è mai stato pianificato, né è avvenuta alcuna assegnazione. L’utilizzo dello spettro è, di conseguenza, caratterizzato da sovraffollamento, interferenze, condivisione della stessa frequenze da parte di più operatori.

Nulla di simile esiste in Europa: e le direttive europee sulla comunicazione elettronica impongono criteri trasparenti, obiettivie non discriminatori.

Tra l’ altro non c’ è alcun indizio circa l’ attuazione del Piano delle frequenze digitali con la relativa assegnazione di frequenze con i criteri richiesti dalle direttive europee.

2) A questa situazione di “non governo” dell’etere televisivo, e radiofonico, si aggiunge una concentrazione delle risorse frequenziali su due soli soggetti, Rai e Mediaset, gli unici ad avere tre reti nazionali (cosa impossibile nel resto d’Europa) e, soprattutto, gli unici ad avere la possibilità di coprire il 90% del territorio con il segnale analogico.

3) Tale concentrazione si aggiunge a quella delle risorse e dell’audience, con i due soggetti dominanti che hanno una quota, in entrambi i casi, che oscilla attorno al 90%. Si tenga conto, a questo proposito, che la TV analogica è destinata a restare per ancora molti anni il "cuore" dell’ascolto e del consumo di TV e di spettacolo. Poi, le attuali reti analogiche si convertiranno al digitale.

4) Il digitale terrestre avrebbe potuto rappresentare la svolta per razionalizzare l’uso dell’etere terrestre e liberalizzare il mercato, aprendolo a nuovi soggetti, siano essi operatori di rete, fornitori di contenuti o fornitori di servizi.

5) A condizione che si desse ai nuovi soggetti la possibilità di entrare sul mercato con delle chance di competere

rispetto agli incumbent. Quindi, con regole asimmetriche che favoriscano le new entry rispetto ai duopolisti. E, allo stesso tempo, impediscano un’ulteriore concentrazione con l’acquisto di ulteriori frequenze-impianti da parte dei maggiori operatori, in aggiunta a quelle che già controllano.

L’obiezione che, una volta arrivati allo switch-off, Rai e Mediaset dovranno restituire le frequenze in eccesso, nulla

toglie al fatto che i due principali operatori gestiranno uno cinque e l’altro quattro multiplex, al 60% con propri canali e

al 40% con canali di soggetti scelti dagli stessi incumbent.

In più, due canali di Mediaset sono ospitati nel multiplex D-Free (Tarak Ben Ammar e TF1).

Secondo gran parte delle ricerche e delle analisi sui media, in tutto il mondo, dove vi è abbondanza di risorse distributive, non più di circa quaranta canali, riceve le risorse necessarie acoprire i costi. Questo insieme di canali sarebbero già quasi interamente occupati da quelli di Rai e Mediaset e da soggetti da loro scelti.

Nella legge Gasparri non vi è un limite antitrust per gli operatori di rete ma solo per i programmi (il 20% con i propri

canali).

6) Data la particolarità italiana appare, quindi, più che difficile lasciare immutato l’assetto della tv analogica e puntare

“solo” sul digitale per aprire il mercato. Bisogna liberalizzareentrambi. Tanto è vero che, oggi, si sta riproducendo nella

sperimentazione del digitale lo stesso assetto dell’analogico.

Anzi, con il digitale terrestre imposto da Governo e Mediaset, in un modello di assoluta continuità con l’assetto analogico, si rafforzano i poteri forti del sistema televisivo e telefonico. Solo Mediaset e Telecom sono in grado di lanciare la pay tv sul digitale terrestre. Aggiungono quindi risorse alla propria posizione dominante nel sistema televisivo generalista e nella telefonia fissa e mobile (dopo la fusione Telecom-Tim). Si alza, anziché abbassarsi, la soglia per entrare in modo competitivo sul mercato dei contenuti premium: Wind ha dichiarato di non voler competere all’acquisto di diritti come quelli sul calcio.

7) C’è un’altra particolarità tutta italiana: gli operatori di retesono, tutti, anche editori e fornitori di contenuti, oltre ad

aver pre-selezionato i fornitori "indipendenti". La particolarità italiana del broadcaster integrato verticalmente e della

debolezza storica della produzione audiovisiva indipendente, da tutti data ormai in via di superamento, rischia in realtà di riprodursi e di aggravarsi con l’avvento del digitale terrestre.

Si abolisce ulteriormente qualsiasi distinzione tra operatore di rete, fornitore di contenuti e fornitore di servizi. Mediaset e Telecom sono “tre in un uno”. Non vi sono regole asimmetriche a favore dei nuovi entranti. Nessuno calcola il limite del 20% dei canali analogici e digitali.

Il pluralismo non è dato dal numero dei canali (o delle tv locali) ma dal numero di operatori in grado di competere sugli eventi e i generi televisivi di successo: il calcio, la fiction, il grande cinema, l’intrattenimento dal vivo, l’ informazione in diretta. Per questo, l’ ingresso dell’ Espresso nel sistema tv con Rete A per fare un piccolo polo musical-giovanile non aumenta la concorrenza.

8) L’interattività non è il Plus del DTT, che non può certo essere presentato, oggi, come alternativa alla banda larga.

Uno dei suoi vantaggi, invece, oltre alla possibile razionalizzazione dello spettro, è il risparmio energetico ma solo

attuando il piano delle frequenze digitale: impresa improba sesi continua a procedere “a macchia di leopardo”, confermando per legge agli attuali operatori, anche se privi di titolo, l’uso delle frequenze attualmente occupate per la sperimentazione (articolo 23 del disegno di legge Gasparri).

9) L’emittenza locale è un’altra caratteristica tutta italiana: lasua frammentazione in centinaia di soggetti non ne favorisce la capacità d’investimento nei new media, e nel digitale in particolare. A oggi, solo una TV del Lazio, SuperTre, trasmette su un canale in digitale, 24 ore su 24. Altre TV locali lo fanno nelle ore notturne. Solo poche emittenti locali, quelle che hanno venduto le frequenze, vengono ospitate sulmultiplex di Mediaset, splittando regionalmente la capacità di uno dei programmi disponibili.

Insomma, qualcosa si muove sul fronte delle tv locali ma con lentezza e non sul digitale ma nell’analogico con la crescita di alcuni circuiti.

10) In Italia, soprattutto, la legge e il diritto, quando si tratta di tv, sono un optional, da piegare agli interessi del momento. Questo è vero sin dai tempi del tetto pubblicitario della Rai, approvato a posteriori, o di Telemontecarlo "tv estera" che trasmette da Piazza della Balduina, a Roma.

La legge si applica se e quando serve. Quando, invece, leAutorità di controllo fanno considerazioni sgradite, vengono ignorate.

Centro-destra e centro-sinistra hanno avuto una politica in comune: la ferrea difesa dell’esistente, a scapito del nuovo e delle emittenti minori. Il caso di Europa 7 è emblematico del caso Italia.

Un Paese dove le leggi e le sentenze della Consulta sono un optional non dà certezze agli operatori esteri o a quelli delle Tlc negli investimenti nel settore televisivo. E non permette, a chi ha vinto una gara dello stato, di esercitare la concessione a utilizzare le frequenze, perché le frequenze non sono indicate nell’atto di concessione.Il condizionamento politico del servizio pubblico è solo un corollario di tali considerazioni. Ma tale condizionamento è un freno allo sviluppo dell’intero sistema e alla diversificazione multimediale degli operatori. Così come il conflitto d’interessi.

Ormai è Mediaset il vero centro del sistema televisivo

Si parla di scontro o di concorrenza tra piattaforme come nuovo elemento di scenario. La concorrenza, in realtà, è tra digitale terrestre e satellite. Sky ha perso il monopolio del calcio a pagamento e potrebbe perdere quello del cinema. Mediaset vuole bloccare le perdite di ascolto, ancora poco rilevanti, subite da parte di Sky. E, soprattutto, vuole avere una fonte d’introito aggiuntiva rispetto alla pubblicità, che difficilmente riuscirà a crescere a due cifre nei prossimi anni (qualcuno provi a collegare le performance di Publitalia dal 2001 a oggi: il governo Berlusconi fa bene ai conti e alla raccolta della sua concessionaria, come Lucia Annunziata ha denunciato più volte).

La sentenza 466 della Consulta, a mio avviso, resta del tutto inattuata. Il regime transitorio della legge Meccanico va avanti, Rete 4 continua a occupare le frequenze terrestri. Il digitale terrestre non viene rilevato da Auditel e l’avvento della pay tv come sua forma di fruizione principale (con qualche dubbio circa la legittimità di tale uso in una fase di sperimentazione del digitale terrestre come quella attuale) ne modifica la natura. Non si tratta più del naturale allargamento e sostituzione della tv generalista e gratuita ma di una tv in parte complementare e aggiuntiva. Qualcosa di diverso dalla tv analogica, quindi.

La concentrazione resta identica,, Telecom fa concorrenza sul DT ma non nella tv analogica (la share del 2004 è identica a quelle degli anni precedenti). La logica è quella degli accordi non scritti per la spartizione dei mercati: la Rai non entra sul calcio pay, La 7 non fa concorrenza nell’analogico su generi come la fiction e l’intrattenimento dal vivo, Mediaset fa tutto ed è il vero centro del sistema televisivo.

Non bisogna farsi ingannare dall’andamento dell’Auditel. La “crisi” non è di Mediaset ma della prima serata di Canale 5 ed è dovuta alla scelta dell’azienda di privilegiare i dividendi agli azionisti sugli investimenti in produzione e formati propri. Comunque Mediaset ha vinto la sfida del sabato sera e, soprattutto, la Rai vince con prodotti da tv commerciale, omologandosi sempre più al concorrente.

Privatizzazione Rai? E’ dubbio che la rafforzi

Il progetto di privatizzazione della Rai? Ho dubbi che rafforzi l’azienda. Intanto, al contrario di un aumento di capitale, la Rai non percepirà un euro dalla vendita delle azioni: il 75% ripiana il debito pubblico, il 25% va a finanziare i decoder digitale terrestri. I poteri del Governo sulla Rai restano non solo inalterati ma rafforzati (si pensi alla decisione sul canone, dalla quale, con la Gasparri, è stata estromessa la Commissione di Vigilanza).

Non sono due consiglieri dei privati, se mai la privatizzazione si farà, a cambiare la natura del rapporto politica-servizio pubblico. Ci vorrebbe una riforma costituzionale che sancisca l’autonomia del servizio pubblico, affidando le nomine dei vertici (della Fondazione) a cariche istituzionali come il Presidente della Repubblica. Pura utopia, lo so. Però non vedo altre strade.

Sono possibili dismissioni aziendali a partire dal 2006, certo. Non dovrebbero riguardare le tre reti analogiche, perché la Rai deve mantenere per legge tre reti gratuite generaliste sia in analogico che in digitale fino al passaggio definitivo alla tecnologia numerica, che non sarà certo a fine 2006.

I canali aumentano ma, in questo contesto legislativo, nulla toglie alla necessità di un servizio pubblico, a fronte di una concentrazione così evidente tra i privati, a fronte del conflitto d’interesse (che permane anche in caso di una Cdl all’opposizione, ovviamente), a fronte del diritto dei cittadini a un’informazione completa e veritiera sancita anche dalla Consulta. Il problema è che oggi la Rai dà, ancor meno che in passato, un’informazione completa. E non garantisce quel pluralismo delle idee e delle opinioni richiesto dal Presidente della Repubblica e dalla Corte Costituzionale.

La Rai non può essere proprietà dello schieramento vincente in uno schema bipolare come oggi avviene, in continuità con la passata lottizzazione proporzionale. La legge Gasparri certifica invece l’attuale stato di cose.

I canali diverranno decine ma conta l’ascolto e il loro “peso specifico” per orientare valori, emozioni, convinzioni, opinioni degli elettori presenti e futuri. Il numero non fa pluralismo.

Marco Mele

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Oppure visualizza il contenuto del dossier:

Emilio Rossi: la bandiera della privatizzazione è una resa all’auditel

L’ anomalia italiana e il digitale terrestre
di Marco Mele (Il Sole 24 ore)

La legge Gasparri

Il servizio pubblico nei principali paesi europei

La direttiva europea:
“Televisioni senza frontiere”

Nei collegamenti sulla destra di questa pagina troviamo una serie di documenti sulla situazione italiana, a partire dal discorso del presidente Ciampi del 13 dicembre (“qualunque sia l’assetto della televisione pubblica italiana, essa deve conservare, rafforzare, migliorare sempre di più la sua attività di servizio pubblico”), alla lettera di Enzo Biagi sulla privatizzazione della Rai, dagli articoli di Romano Prodi e Giovanni Sartori sul futuro della Rai alle posizioni “eccentriche” di Franco Debenedetti (“Servizio pubblico? Un’idea da preistoria”), fino alla risoluzione del Consiglio d’Europa (1387/2004) su “Monopolio dei media e possibile abuso di potere in Italia”

(Pino Rea.)

INTERVENTI SULLA RAI

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Intervento del Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi

Enzo Biagi: lettera sulla privatizzazione

Introduzione di Roberto Natale al Confronto sulla privatizzazione Rai sede Fnsi, 21 dicembre 2004

Prodi: la Rai va divisa in due. Allo Stato il servizio pubblico

Rai, che fare? Una proposta per Prodi di Giovanni Sartori

Una Rai liberata di Giovanni Sartori

Tv, servizio pubblico? Un’idea da preistoria Di Franco Debenedetti

I falsi (e veri) limiti della legge Gasparri di Franco Debenedetti

Risoluzione del Consiglio d’Europa 1387 (2004): Monopolio dei media e possibile abuso di potere in Italia

In casa molta tv poco dialogo