Quali sfide per le agenzie di informazione (sg)

Come anticipato la scorsa settimana eccoci qui ad esaminare, incontro per incontro, quello che è successo durante gli Stati generali dell’editoria. Iniziamo con ordine dal primo incontro, tenutosi il 28 maggio scorso a Roma presso la Sala Polifunzionale della Presidenza del Consiglio dei Ministri. In realtà il primo incontro è stato quello inaugurale di marzo, ma vorremmo lasciarlo per ultimo nelle nostre analisi, anche per vedere a posteriori se le indicazioni espresse dal Governo inizialmente, e da tutte le parti in causa, che in quell’unico evento, erano tutte rappresentate, sono poi state rispettate e in che misura. Quindi l’ordine che seguiremo sarà quello contenuto nella pagina del dipartimento dell’editoria dedicata alla seconda fase degli Stati generali, quella degli incontri pubblici. L’incontro che prenderemo oggi in esame era quello dedicato alle agenzie di stampa, e questo era il programma ufficiale della giornata di lavoro:

 

 

Introduzione ai lavori del Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, con delega all’informazione e all’editoria, Vito Claudio Crimi Ore 09:30, apertura Ferruccio Sepe, Capo Dipartimento per l’Informazione e l’EditoriaAndrea Morelli, Docente di Giornalismo di Agenzia al Centro Italiano di Studi Superiori per la Formazione e l’Aggiornamento in Giornalismo Radiotelevisivo Ore 10:00 Interventi dei presenti in sala  Ore 13:00 Conclusioni

 

 

Per completezza dell’informazione e  maggiore chiarezza, iniziamo dalla definizione di agenzie di stampa, e prendiamo a prestito la spiegazione enciclopedica di tale concetto fornita dalla Treccani:

 

 

Agenzie di stampa: imprese giornalistiche che raccolgono e forniscono – con varie forme di pagamento – notizie per mezzo di bollettini o fotografie di attualità a giornali, a servizi radio-televisivi e in genere a chiunque ne abbia interesse. Le a.di s., anche dette agenzie di informazione, possono essere private, statali o finanziate dallo Stato

 

 

Iniziamo con l’introduzione all’incontro da parte del sottosegretario Crimi, come sempre non ci siamo limitati a riportare tutte le dichiarazioni in modo pedissequo ma abbiamo provato a dare la nostra versione dei fatti, estrapolando solo le parti dei discorsi degli intervenuti che ritenevamo particolarmente utili e interessanti.

 

 

 

Vito Crimi:  Un incontro con chi è in prima linea nella raccolta delle notizie. Oggi se facciamo un censimento delle agenzie di informazione in Italia arriviamo quasi a 100,  se poi parliamo di quelle nazionali ovviamente i numeri si riducono.

Quindi capite che questo quadro ci deve far riflettere sul come vogliamo affrontare il futuro di questo sistema. Occorre una riforma.

 

 

 

Ferruccio Sepe:  è un settore ancora vivo che patisce la crisi dell’editoria però è una parte di cui ancora c’è bisogno perché per fare giornalismo e i giornali, c’è bisogno delle agenzie.

Il quadro normativo attuale è quello uscito  dal risultato della competizione che è stata fatta su dieci lotti nazionali per l’Italia e 5 per l’estero. Quindi il complesso dei lotti che abbiamo messo a gara è costituito da 15 per garantire la condizione di pluralismo.

In realtà il quadro attuale, secondo me,  richiede un intervento normativo. Perché dico questo? Perché ho letto con attenzione tutte le proposte che sono arrivate dagli operatori del settore,  e tutte le proposte hanno 3 elementi in comune.

Il primo tratto comune è:  un intervento dello Stato, un intervento del Governo di sostegno, per inserire regole certe. Nessuno esclude un ruolo del Pubblico in questo settore proprio per la sua rilevanza e la sua delicatezza.

Il secondo elemento è:  che ci sono tratti comuni in tutte le agenzie, ma è difficile metterli insieme,  perché la dimensione, la proiezione anche sul mercato delle agenzie, che sono diverse, è estremamente polverizzata, è molto differenziata, questo rende difficile trovare una regola che valga per tutte. 

Il terzo e ultimo elemento è:  la preoccupazione della robotizzazione nella selezione delle notizie. C’è in più di uno questa preoccupazione, anche se poi tutti sottolineano che la presenza dell’essere umano che svolga questa selezione –  quindi le verifiche del caso – ,  continua ad essere strategia essenziale.  Però c’è anche questa preoccupazione,  di un intervento dell’automazione e quindi degli algoritmi.

 

 

 

 

 

Andrea Morelli:  inizio il mio intervento partendo dalla rivoluzione d’ottobre.  In quell’occasione di sommovimenti popolari e politici a Mosca, i giornalisti occidentali, quelli europei, gli  americani, vengono tagliati fuori, non hanno accesso al Paese e sono costretti a spostarsi a Riga in Lettonia. Da li intercettano nobili ed alti ufficiali in fuga, e cercano di avere informazioni. Ovviamente sono informazioni frammentate, a volte di terza mano, sono informazioni difficilmente verificabili. Il risultato finale è che pur cercando di effettuare un lavoro scrupoloso in quelle condizioni e con fonti modeste, anche una testata autorevole come il New York Times, tra il 1917 e il 1919, annunciò 91 volte che il governo bolscevico era capitolato; quattro volte che Lenin e Trotsky si preparavano alla fuga; tre volte che Lenin e Trotsky erano fuggiti dalla Russia; tre volte che Lenin era stato arrestato e in un caso anche ucciso. Ora cento anni dopo, a distanza di tre anni dalle elezioni americane, non siamo ancora in grado di misurare con certezza qual è stato l’impatto di manipolazione o di utilizzo di informazioni e dati trasmessi dalla rete,  e nemmeno di misurare l’incidenza che questo genere di operazioni, o comunque sia, di notizie non verificate, ha inciso sugli esiti della brexit.

Quindi per descrivere la parabola dell’informazione primaria, sarebbe sufficiente questa parentesi di un secolo; là ci trovavamo di fronte a fonti scarse, qui fonti sterminate; là meccanismi di trasmissione e di verifica molto rudimentali, oggi reti di trasmissione velocissime, tecnologie molto sviluppate. In tutti e due i casi gli eventi hanno modificato la storia. Nell’ultimo caso addirittura l’accesso alle informazioni ai nostri giorni è sostanzialmente gratuito. Il risultato finale praticamente è lo stesso:  cioè la carenza di certezze in termini di informazione primaria.

Il parallelo serve per descrivere il primo principio dal quale bisogna partire: la libertà è l’elemento fondante della democrazia. Per essere liberi occorre essere informati. Per essere informati occorre avere dati e informazioni certe, verificate, verificabili; non necessariamente milioni, ma certamente quelle giuste.

Questo genere di informazione c’è. Un’informazione di base, un’informazione accessibile a tutti ma certa, è sicuramente un bene pubblico e come tutti i beni ha qualità distintive, ovvero non è fungibile, non è una materia prima, non è petrolio, non è oro che basta pesarlo. E quindi ha un costo.  Quel genere di costo è un costo pubblico.  E’ un costo in termini di investimento nel capitale sociale, nel capitale umano. E’ un costo di investimento nella democrazia.

Ora le agenzie di stampa nel mondo dell’editoria  hanno subìto e sfruttato contemporaneamente l’evoluzione che la tecnologia e i nuovi sistemi di trasmissione anno hanno sviluppato dall’avvento del web.  Ad esempio le agenzie di stampa hanno ottenuto riconoscibilità esterna, mentre prima giravano solo in un circuito sostanzialmente limitato ai media tradizionali. Ma questo meccanismo di accesso sostanzialmente libero a chiunque, a costo basso, a costo zero e fungibilità delle informazioni, ha di fatto eroso talmente il mercato da mettere in ginocchio l’editoria tradizionale, che di fatto è o era, il cliente principale delle agenzie di informazione. Quindi al di là delle crisi finanziarie mondiali e dei nuovi modelli di consumo, l’avvento del web ha spostato e cambiato completamente il perimetro entro il quale ci muoviamo.

Siamo passati da un’era di informazione di massa nella quale abbiamo assistito ad un esplodere delle testate cartacee e quindi ad un prosperare delle agenzie di informazione.  Le agenzie  nascono nella metà dell’ottocento e seguono l’evoluzione dei giornali.  Forniscono il materiale, le notizie di primo impatto, diciamo il materiale grezzo. Poi dopo, nell’evoluzione della loro storia, anche  il materiale più raffinato,  e infine, addirittura, anche le pagine chiavi in mano per i quotidiani. In ogni caso le agenzie svolgevano e hanno svolto per oltre un secolo, il ruolo dei minatori, cioè di quelli che andavano, cercavano la notizia, la verificavano, la certificavano con la loro autorevolezza, e la trasmettevano. Risparmiando costi di produzione ai media tradizionali, e contemporaneamente, risparmiando loro  anche un’operazione di verifica successiva, che a quel punto era già stata svolta a monte.

Ora con il passaggio a una domanda di informazione sempre più tagliata su misura ci stiamo avvicinando a quello che nel ‘95 Negroponte definì il daily me ovvero un giornale fatto su misura per le esigenze della persona che cerca solo alcune cose, le vuole in qualunque momento e attraverso il maggior numero di strumenti.  Questo genere di informazione può essere un’opportunità per tutti, oppure una tragedia. In questo caso è necessario schierarsi. Ci allineiamo alla grande truppa di autorevoli pessimisti? Non più di una settimana fa lo scrittore americano Franzen in una intervista, mi sembra sul Corriere della Sera, ha decretato la fine del cittadino che cerca informazioni cancellato dal consumatore che cerca conferme, cioè che cerca in rete esclusivamente cose che confermino le sue convinzioni, le sue prevenzioni, e che cerca elementi e materiali da far rimbalzare alla sua comunità. Quei rimbalzi certificano – tra virgolette – la notizia, e la trasformano in una cosa, che se non è proprio vera, è sufficientemente verosimile.  Questo cioè se ci allineiamo a questa chiave di lettura di prospettiva.

Se così fosse, ovviamente, potremmo alzarci e andarcene. Perché il risultato è evidente.  Nel giro di poco tempo le agenzie saranno assimilabili ad un social network qualunque, nel quale ognuno inserisce qualunque cosa, e ciascuno di noi può fare il giornalista.

Se invece optiamo per un intervento, diciamo non invasivo, ma che regolamenti questa democratizzazione dell’informazione. Allora il futuro per le agenzie esiste.

Le agenzie nella loro storia sono lo strumento più duttile nell’adeguarsi all’innovazione tecnologica e a nuovi modelli di business.

Esistono spazi, e in questo caso cito il capitano della parte avversa: il nobel per l’economia Richard Thaler, il teorico della spinta gentile, che  sostiene che lasciare al cittadino la libertà di cambiare la propria opinione in relazione all’accuratezza delle notizie ricevute dai media, è un valore sociale importante da preservare e difendere.

Allora a questo punto: le agenzie non sono equiparabili a blog e social network, e sono ancora in grado di preselezionare le notizie, e svolgere il ruolo di guardiani del cancello.  (*)

Venendo alla situazione italiana ho preso come riferimento un rapporto dell’Ocse molto recente lo skills outlook 2019. Secondo l’Ocse la popolazione italiana non possiede le competenze di base necessarie per prosperare in un mondo digitale: sia in società, sia sul posto di lavoro. E’ un rapporto che fa il punto sull’evoluzione digitale, secondo il quale solo il 36 per cento delle persone è in grado di utilizzare internet in maniera complessa e diversificata, e quindi di esercitare un sufficiente lavoro critico sul materiale che intercetta in rete.

E’ stato misurato negli Stati Uniti che durante la campagna elettorale di Trump la notizia fake più trasmessa e circolata sui social network, è stata di gran lunga più consultata, più condivisa, e più commentata, della notizia più importante trasmessa dai media tradizionali.

Quindi questo tipo di concorrenza, senza demonizzare la rete e i social network, che invece hanno un enorme valore in termini di fonte, fa riflettere però sull’esigenza di dare un ruolo nuovo anche alle agenzie.  (**)

Cito come esempio quello della France Press che ha creato factuel, un blog di fact checking, e l’ha affidato agli stessi giornalisti dell’agenzia, i quali individuano bufale, smascherano false notizie, o addirittura in alcuni casi; costruiscono intorno alle notizie, sempre per i lettori, il contesto entro il quale quella notizia cambia significato. Perché dare una notizia scorporata da un contesto, significa o alterarne o addirittura azzerarne il valore, e questo senza minimamente deragliare da quello che è il mandato dei giornalisti dell’agenzia francese di informazione,  che come da statuto: sono tenuti a fornire al pubblico e agli altri giornalisti le informazioni “accurate imparziali e affidabili” quindi l’informazione primaria è l’elemento fondante. (***)

 

 

Le questioni poste dal professor Morelli sono davvero centrali e molto in linea con buona parte dei nostri studi. Le riassumiamo per semplicità in punti qui di seguito, per memoria futura e per poterci tornare su, più e più volte prossimamente:

 

 

1) Il primo principio dal quale bisogna partire: la libertà è l’elemento fondante della democrazia. Per essere liberi occorre essere informati. Per essere informati occorre avere dati e informazioni certe, verificate, verificabili.

2) Un’informazione di base, un’informazione accessibile a tutti ma certa, è sicuramente un bene pubblico.

3) L’informazione ha un costo.  Quel genere di costo è un costo pubblico.  E’ un costo in termini di investimento nel capitale sociale, nel capitale umano. E’ un costo di investimento nella democrazia.

4) Dall’avvento del web le agenzie di stampa hanno ottenuto riconoscibilità esterna. Il web ha spostato e cambiato completamente il perimetro entro il quale ci muoviamo.

5) Ci stiamo avvicinando a quello che nel ‘95 Negroponte definì il daily me ovvero un giornale fatto su misura per le esigenze della persona che cerca solo alcune cose, le vuole in qualunque momento e attraverso il maggior numero di strumenti. 

6) La popolazione italiana non possiede le competenze di base necessarie per prosperare in un mondo digitale: sia in società, sia sul posto di lavoro, solo il 36 per cento delle persone è in grado di utilizzare internet in maniera complessa e diversificata e quindi di esercitare un sufficiente lavoro critico sul materiale che intercetta in rete.

7) Durante la campagna elettorale di Trump la notizia fake più trasmessa e circolata sui social network, è stata di gran lunga più consultata, più condivisa, e più commentata, della notizia più importante trasmessa dai media tradizionali.

8) L‘informazione (primaria) è l’elemento fondante.

 

(*)  (**)  (***)  Siamo in totale accordo con le tesi di Morelli, ci permettiamo solo di aggiungere che è l’informazione, il giornalismo, o ancora meglio il metodo giornalistico, a nostro avviso, ad essere l’elemento fondante e la chiave di interpretazione della realtà;  la nostra vita nel mondo post rivoluzione digitale.

 

Interventi del pubblico

 

Daniela Mogavero di Askanews:

Siamo a favore del progetto di riforma che ha presentato Stampa Romana.  Una legge di sistema che garantirebbe pluralità indipendenza occupazione e qualità.

Lo sciopero unitario delle agenzie, il 25 marzo 2017,  il primo nella storia italiana. Più di 800 giornalisti hanno incrociato le braccia  per richiedere all’allora vice ministro Lotti una chiara indicazione di disponibilità ad un vero confronto su soluzioni alternative al bando di gara europeo per il settore.

 

Lazzaro Pappagallo segretario Stampa Romana:

Agenzie fondamentali per molti motivi: rappresentano un’infrastruttura su cui corre il mondo dell’informazione certificata, quella che crea un argine alle menzogne, alle balle, alle fake news.

In molti casi sono anche i veicoli esclusivi dei prodotti finali. In un momento di fortissima crisi dei modelli produttivi e dell’occupazione, il lavoro fatto e finito dei colleghi delle agenzie è l’architrave che regge la costruzione di quotidiani, notiziari radio, telegiornali e siti d’informazione.

Il nuovo modello di affidamento del servizio con i  bandi, un meccanismo che noi abbiamo contestato alla radice. Per la rilevanza costituzionale di quello che noi giornalisti facciamo in base all’articolo 21 della costituzione, ma anche in base ad un principio più largo contenuto nel secondo comma dell’articolo 3 della Costituzione:  la rimozione degli ostacoli di ordine economico e sociale per la partecipazione dei cittadini e dei lavoratori nell’organizzazione del Paese. Aver equiparato una notizia ad un pezzo di bitume o ad un tombino, ha violato quelle riserve Costituzionali.  Noi contestiamo in radice che l’informazione sia un bene fungibile. Noi pensiamo che le notizie non siano beni fungibili, non siano un pacchetto di caramelle.

Rilanciamo qui ed ora la proposta di legge per il  riordino del comparto – legge di sistema – presentata da Stampa Romana che rappresenta, sindacalmente,  i 4 quinti di tutti gli addetti del settore in Italia.

Qual è la strategia chiara per il settore? Il cambio produttivo, la produzione multicanale, le newsletter, la specializzazione per l’informazione economica sociale e territoriale, l’ingresso dei giovani e non la loro espulsione.

La politica industriale che si intende  realizzare,  su una roba non proprio di poco conto, qual è l’informazione primaria.   Se è un bene pubblico, se lo reputi un elemento strategico per  il Paese, lo devi accompagnare con risorse che non possono che essere risorse adeguate. Risorse da impiegare  per fare politiche di assunzione, politiche di cambiamento produttivo, politiche di copertura territoriale. Non dico che l’informazione primaria sia la guerra fatta con altri sistemi, ma diciamo che alcuni paesi utilizzano l’informazione primaria per vendere il proprio sistema paese.

Bisogna sempre  cercare di salvaguardare il ruolo sociale e produttivo dei giornalisti, che è il ruolo della testimonianza. Perché ci sono percorsi per cui le previsioni del tempo e i risultati sportivi vengono automatizzati. Per il momento un giornalista che vada, veda, scriva, ancora non è stato sostituito e quindi quello ci dà anche la possibilità di recuperare il ruolo sociale dei giornalisti che è: andare a vedere, raccontare, testimoniare e scrivere, diciamo con onestà e con valore professionale.

 

 

Anna Del Freo segretario aggiunto Fnsi:

La federazione nazionale della stampa italiana ha ribadito tante volte che l’informazione delle agenzie è informazione primaria. Le agenzie rappresentano un’informazione certificata, un’informazione che proprio per sua stessa natura è contro le fake news.

Senza le agenzie di stampa: indipendenti e autonome e libere, anche tutto il sistema dell’informazione sarebbe minato.

Noi insieme al Governo e agli editori, dovremmo anche discutere su come fare a riformare il sistema. Non possiamo soltanto pensare di dare delle sovvenzioni a tre grandi  agenzie e lasciare gli altri al libero mercato. Non perché si debbano dare delle sovvenzioni a tutti, ma per riformare profondamente il sistema, cercare di favorire una riforma, e andare verso gli accorpamenti di alcuni soggetti. Aiutare una trasformazione del sistema e del mercato che va oltre  le sovvenzioni pubbliche.

Faccio parte anche del sindacato europeo dei giornalisti e posso confermare che il problema delle agenzie è diffuso in tutta Europa. Ci sono  molti problemi anche in paesi dove noi non pensiamo, tipo la Francia: abbiamo citato la France Presse. Vorrei  ricordare che la Reuters proprio di recente ha presentato in Italia un piano di licenziamenti per 15 giornalisti. La Fnsi ha respinto questo piano,  e siamo arrivati ad aprire un tavolo di trattativa  in cui l’agenzia ha dato degli incentivi.  Alla fine sono comunque uscite 14 persone con gli incentivi.

 

 

 

Stefano De Alessandri Amministratore delegato e direttore generale Ansa

Rispetto alla  direttiva sul copyright che è stata recentemente approvata a Bruxelles. L’invito che noi facciamo è di arrivare rapidamente ad un’adozione anche nella legislazione nazionale della direttiva,  perché questa può rappresentare per le agenzie di stampa una fonte di ricavi aggiuntivi che non costa nulla allo Stato, ma che può portare un contributo rilevante invece per la sopravvivenza futura del sistema delle agenzie.

La trasformazione digitale in atto non solo nel settore delle agenzie ma nell’intero settore diciamo nell’intera industria. Nel settore dell’editoria in particolare è chiaro che la riconversione digitale comporta degli investimenti a carico delle aziende. Quello che noi poniamo come punto di riflessione e di discussione è la cosiddetta defiscalizzazione di alcuni di questi investimenti. L’introduzione di un incentivo fiscale per alcune situazioni che possa portare ad un’accelerazione dell’investimento e quindi della trasformazione, dell’adeguamento al mondo digitale, di imprese “analogiche” come sono quelle dei media tradizionali.

 

 

 

Fabio Squillante Agenzia Nova:

Nell’ambito della possibilità di un intervento normativo, se si va appunto verso due o tre soggetti grandi di valenza nazionale e utilità pubblica, è molto facile che una cosa del genere, se non viene pensata sulla frammentarietà e diversità del settore, possa portare alla esclusione automatica dei piccoli. E quindi al fatto che le grandi agenzie, o almeno le due/tre grandi agenzie che sarebbero previste da una tale normativa, non accettino di fare accordi con i piccoli, perché semplicemente non è nel loro interesse. E che quindi i piccoli siano lasciati al mercato sì, ma la maggior parte di essi, diciamo, all’estinzione.

 

 

 

Gianni Todini vice direttore Askanews:

Per le agenzie di informazione, al di là dell’assetto del sistema che è determinante e fondamentale, credo che il ruolo delle agenzie sarà determinante anche quando si parlerà di nuovi contenuti di digitalizzazione, informazione non solo primaria, ma assoluti protagonisti del mercato (di un mercato che al momento non c’è) e che consenta una redditività tale per garantire un investimento.

Potrebbe essere prevista nei ragionamenti che state facendo anche la possibilità di un intervento a sostegno di chi decide di procedere a crescere su una piattaforma condivisa magari andando a scegliere anche tra i piccoli, tra i medio piccoli, quelli che sono i soggetti che hanno un expertise e uno sviluppo interessante dei mercati. Per esempio nel settore privato e di alcune particolari partnership.

 

 

Nico Perrore Agenzia Dire:

Inviterei anche a considerare la necessità, l’opportunità, di andare ad operare nella creazione di due flussi informativi:  è vero che noi dobbiamo garantire un’informazione alta, nazionale che si confronta a livello europeo internazionale; però noi abbiamo anche un sistema dei media territoriali che è completamente allo sbando. Quindi visto che è un bene,  e  se l’informazione primaria è un bene sociale, andare a garantire anche un flusso diciamo nazional-territoriale per far sì che il sistema dei media territoriali abbia più ossigeno e più informazione di qualità.

Il Governo ci deve dire come intende garantire un settore, quello dell’informazione primaria, che a differenza di altri media non può contare sulla pubblicità tra le sue entrate principali

 

 

 

 

 

RingraziandoVi come sempre per il tempo che ci avete concesso, in conclusione vorremmo sottolineare un paio di cosette che emergono, a nostro avviso,  dagli interventi a margine del dibattito. Una legge di riordino del sistema “agenzie” come da molti auspicato, e che già esiste almeno in bozza, grazie al lavoro dell’associazione sindacale dei giornalisti del Lazio, è certamente necessaria. Forse – aggiungiamo noi – bisognerebbe subito pensare tutti insieme al bersaglio grosso (un riassetto sistemico del comparto dell’informazione), invece di perdere energie e risorse dietro ai mille rivoli di cui è composto il mondo del giornalismo. Come la pensiamo sulla legge europea sul copyright è cosa nota: il peggio possibile. A nostro avviso cedere per legge il controllo totale sui contenuti che chiunque di noi mette online alle OTT, e in particolare a due delle maggiori techno-corporation del sistema: Google e Facebook, è una follia. Il diritto d’autore e il lavoro di chi produce contenuti, vanno certamente tutelati. Ma non così. Bensì sforzandosi, magari per legge, (si scherza),  di comprendere le rinnovate dinamiche di questo mondo – oramai – divenuto digitale quasi al 100 per 100. Estendere dunque la legge all’Italia, non ci sembra dunque una grande idea. E non crediamo, così come non sarà a livello europeo, che 30 denari possano essere un equo compenso per la cessione per legge  chiavi in mano a compagnie terze (che si professano non editori) dell’intero settore della produzione dei contenuti: in Europa e in Italia. L’introduzione di incentivi fiscali per velocizzare la trasformazione “digitale” delle imprese editoriali potrebbe certo sembrare un ottimo modo per sbloccare futuri investimenti nel settore da parte degli industriali. Fa solo un pochino pensare, come sia possibile, che qualcuno, anzi, che un alto dirigente della maggiore agenzia di stampa italiana, chieda oggi l’introduzione di quegli incentivi: trent’anni dopo l’inizio della rivoluzione. A proposito del tempo che passa e dei media nativi digitali, vorremmo anche sottolineare che dal nostro piccolo osservatorio raccogliamo segnali molto diversi rispetto a quello che starebbe accadendo al sistema dei media territoriali. E’ certamente vero che i giornali, le televisioni e le radio locali sono  in forte crisi. Ma va anche sottolineato che nel frattempo, in quegli stessi territori, sono nati e prosperano, nella maggior parte dei casi, numerosi giornali nativi digitali.  A partire dal fenomeno VareseNews , che raccontiamo da anni su queste colonne;  e che ha festeggiato da poco vent’anni di attività.