I vizi capitali del giornalismo online


Riceviamo e pubblichiamo con piacere uno scritto di un collega  che incarna alcune delle anime del giornalismo praticato oggi nel nostro Paese. Andrea Tortelli, autore della riflessione che vi proponiamo, è un giornalista imprenditore, termine impossibile da scrivere, pronunciare e soprattutto usare in questa nostra Italia del presente per mancanza di relativa qualificazione e soprattutto di certificazione di legittimità. Insomma, come abbiamo avuto modo di appurare noi stessi nel corso di un evento digit di qualche anno fa a Prato, non esistono le condizioni per poter essere sia giornalisti sia imprenditori in Italia. E invece proprio in  questo momento,  più di sempre lo status di giornalista imprenditore,  è diventato  una sorta di “conditio sine qua non” per poter svolgere questa professione, qui ed ora, in Italia ma anche nel resto del mondo. Forse all’estero la questione legale e giuridica non sussiste, oppure è stata in qualche modo risolta,  da noi invece “l’editore di se stesso” non può esistere.  Anche se poi, e le esperienze di decine di editori locali e iper-locali soprattutto nel comparto digitale, ma anche nella radio e televisione e probabilmente anche nella carta stampata, sono lì a dimostrare il contrario. Certo lo sappiamo, addirittura lo sanno anche i signori del Governo che ogni anno erogano i contributi per l’editoria, che a fronte del perdurare della crisi del settore sono nate molte cooperative di giornalisti. Un modo per superare il problema della gestione d’impresa da parte appunto di figure professionali come i giornalisti che imprenditori di se stessi non potrebbero essere. Ma la realtà dell’editoria italiana, la fotografia odierna del nostro giornalismo d’impresa sempre più in crisi e allo sbando, stanno lì a dimostrare che ben altre riforme e aggiustamenti sono necessari per poter rilanciare il settore. Bisogna soprattutto mettere mano in modo opportuno e specifico all’integrazione e all’assimilazione del segmento della stampa online al resto del comparto, in modo definitivo e con norme che consentano l’emersione di tale segmento dalle paludi della precarietà e dell’improvvisazione. Fare informazione non può e non deve essere una pratica fantasiosa o improvvisata e tanto meno un’occupazione di ripiego in attesa del posto fisso.  L’importanza dell’informazione libera e indipendente così tanto giusta nel suo principio di fondo basato sull’applicazione dell’articolo 21 della Costituzione non può essere rivendicata senza mettere ordine in un comparto produttivo dove le regole vigenti non tutelano più nessuno o soltanto una parte oramai davvero esigua di coloro che svolgono questo mestiere. Buona lettura delle riflessioni di Andrea Tortelli e alla prossima.

 

 

“I giornali locali online sono il presente e, spero, anche il futuro dell’informazione italiana. Ma oggi gli editori devono fare i conti con un quadro – congiunturale ed interno – che presenta numerose criticità.

 

Ormai da un decennio lavoro in un piccolo quotidiano locale online, BsNews.it. L’esperienza del gruppo Giornalisti Italiani su Facebook, che gestisco, e le numerose occasioni di confronto create dalle frequentazioni in Anso o di festival come digit e Glocal mi hanno fornito un punto di osservazione “privilegiato” su alcune dinamiche del mondo dell’informazione. Da qui nasce questo intervento, che punta ad evidenziare – anche in maniera provocatoria – quali sono i limiti del settore, al fine di convincere gli editori a impegnarsi in una crescita sistemica e collaborativa da cui tutti potrebbero trarre beneficio.

 

Di seguito, in estrema sintesi, provo dunque a riassumere quelli che a mio avviso sono i quattro difetti principali dell’informazione online italiana. Questioni che sono state oggetto di un vivace confronto anche in un barcamp che ho tenuto sabato 10 novembre 2018 a Glocal Festival di Varese, con i colleghi Andrea Camurani e Marco Renzi e i rappresentanti di diverse testate locali italiane (tra cui Larionews, Lecconews, Valsassinanews, MbNews, LuinoNotizie, IlSaronno, Legnanonews , F1world, AostaSera, LinkOristano ).

 

 

Nanismo

 

 

Secondo una recente indagine promossa da Anso e Agcom una buona fetta dei quotidiani locali online in Italia non supera i 20mila euro di fatturato annuo. Mentre le dimensioni dell’editore medio del settore vengono indicate in poco più di 100mila euro. Numeri troppo bassi se rapportati con quelli della carta. Il più grande degli online locali del Paese, infatti, ha un bilancio e un numero di dipendenti notevolmente inferiore a quelli del secondo quotidiano cartaceo di Brescia, solo per fare un esempio.

 

In questo quadro poi, i locali online devono fronteggiare la concorrenza crescente dei big della rete. Facebook, come certificato anche dal Censis, è ormai la prima fonte di informazione degli italiani. Mentre Google, che pure non è un editore, sta facendo da tempo passi nella gestione diretta dei contenuti. Un esempio sono i cosiddetti “risultati zero” (quelli che, da una singola interrogazione, restituiscono un’anteprima da un dato sito scelto dalla redazione di Google), a causa dei quali i media locali hanno già perso molte visite su temi (come il meteo) che per anni sono stati fonti importanti di accesso ai siti.

 

Vi è poi la questione della concorrenza crescente tra gli online: in una piccola provincia come Ascoli, dove ho recentemente acquisito il controllo di un sito di informazione locale online, per fare un altro esempio, si contano circa una decina di giornali digitali a fronte di una popolazione della provincia che supera di poco i 200mila abitanti e di un reddito pro capite tra i più bassi del centro Italia. Senza contare i gruppi editoriali sul web  che sfruttano le economie di scala e i benefici della rete (anche in termini di posizionamento sui motori di ricerca) per ottenere numeri molto significativi con investimenti sul locale mediamente molto inferiori a quelli dei concorrenti indipendenti.

 

In questo quadro la conclusione è che tutti i giornali in rete sono troppo piccoli e devono crescere, anche attraverso sinergie, per fare fronte alla concorrenza, ma anche alla crescente necessità di maggiori e aggiornate competenze tecniche per restare sul mercato in maniera competitiva.

 

 

Autorevolezza percepita

 

 

Molti giornali nativi digitali sono oggi autorevoli quanto la carta stampata, soprattutto quando parliamo di piccoli territori in cui non esistono concorrenti di grosse dimensioni e profondo radicamento territoriale. Ma soprattutto nei territori molto estesi – tranne qualche eccezione come Varese – esiste ancora la percezione di un gap di autorevolezza percepita e prestigio tra i mezzi di comunicazione. La carta viene acquistata sempre meno, ma nella percezione comune – anche di chi non ha mai comprato un giornale, come la maggioranza degli under 40 – un’intervista pubblicata su un quotidiano di carta conferisce ancora maggiore prestigio e appagamento personale di una pubblicata su un sito. Lo stesso discorso vale per gli investitori pubblicitari locali, in cui la dinamica è rafforzata dall’età media dei soggetti con deleghe in materia di investimenti pubblicitari.

 

In questo quadro, è ovvio, il tempo sposterà gradualmente l’asse della percezione verso il web. Ma sono determinanti, nel frattempo, azioni come quelle intraprese da alcune realtà per portare fisicamente il giornale fino ai confini del proprio territorio di competenza e per fare opinione, stimolando attivamente il dibattito.

 

 

Precarietà economica

 

 

Oltre al dato dei bilanci e delle dimensioni delle singole testate, va considerato che il contesto di mercato non appare favorevole. Per ogni euro perso dalla carta stampata e dalla tv negli ultimi quindici anni soltanto una minima parte è arrivata sui giornali online. La pubblicità locale tiene – in molti casi cresce – ma il grosso della cifra è finita sui grandi player internazionali come Google e Facebook, che stanno conquistando fette sempre maggiori del mercato di prossimità territoriale. Mentre le dimensioni medie del settore rendono difficile ai giornali locali accedere alle campagne nazionali e ai grossi investitori pubblicitari.

 

In questo quadro la programmatica e il pay per click pagano sempre meno e i giornali sono sempre più esposti alla concorrenza di siti non editoriali, con minori vincoli e minori costi. La nota positiva arriva invece dal fronte del native advertising e dei redazionali o dei guest post ai fini del posizionamento sui motori di ricerca (Seo): questo è il business in maggiore espansione oggi. Ma non basta.

 

Non è un caso, infatti, che molti editori digitali – anche quelli con dimensioni significative – siano costretti a fare attività correlate per sostenere le spese: organizzazione eventi (analogici), uffici stampa (analogico/digitali), gestione di campagne pubblicitarie sui social e realizzazione di siti web. Resta da capire se la soluzione del problema per il futuro passi proprio da qui – cioè dal trasformare i media locali in hub di servizi complementari – oppure si vada nella direzione opposta, quella di un ritorno, o meglio un nuovo inizio,  che parta dall’editoria pura e semplice.

 

 

Campanilismo

 

 

Il problema principale dei media locali online è quello del campanilismo: mancanza di tempo, gelosia dei propri successi ed egocentrismo di molti piccoli editori, infatti, producono un quadro in cui i piccoli giornali locali online non fanno sinergie e non si confrontano tra loro.

 

Il risultato è che ciascuno ha fornitori diversi per spazi web e servizi di assistenza tecnica (senza economie di scala e, in alcuni casi, con tariffe più alte del mercato), utilizza piattaforme diverse e non integrabili, non conosce i dati delle visite e le fonti di acquisizione degli altri soggetti e – in assenza di forti investimenti di sviluppo interni – si perde importanti strumenti per aumentare visitatori e fatturati.

 

Un errore mortale, perché in questo mercato anche i più grandi sono troppo piccoli. La concorrenza nei media locali online deve lasciare spazio alla collaborazione. Visto il contesto ne va della sopravvivenza di tutti.”

 

(Andrea Tortelli giornalista ed editore locale)