Si fa presto a dire digitale

Essere digitali. Questo il mantra.  Cosa mai vorrà dire: essere digitali? Proviamo a spiegarci. Sono passati decenni da quando il mondo si è trasformato via via, cambiando pian piano da analogico a digitale, e completando mano a mano la propria, cosiddetta, “transizione digitale”. Non a caso, negli ultimi anni, talvolta mesi, questa terminologia è stata inserita/usata/propagandata,  ad ogni piè sospinto in qualunque discorso, documento, relazione, proposta,  piano operativo,  da amministratori pubblici  ed esponenti politici di vario tipo. Dove il termine “vari” riassume, a nostro avviso, con precisione, la mancanza di orientamento  dei medesimi esponenti politici.  Si potrebbe dire che la “transizione digitale” sia trasversale alla politica,  e metta d’accordo tutti.  Di sicuro va di  gran moda ed è  molto ben finanziata. Completata l’introduzione vagamente polemica,veniamo alla prima notizia del giorno: il mercato mondiale del riciclaggio dei rifiuti elettronici vale, anzi meglio, valeva nel 2021 la tutt’altro che disprezzabile cifra di 23 miliardi e 450 milioni di dollari. Non male, che ne dite? E attenzione, secondo le stime degli esperti del settore,  questo specifico mercato arriverà nel giro dei prossimi sei anni a raggiungere 32 miliardi di dollari di fatturato.

 

 

 

 

Essere digitali 2.  Un altro aspetto, un altra parte del mantra. Un’altra notizia “della transizione”  da tenere in considerazione. Pare che in questo nostro mondo online,  quasi interamente gestito da alcune piattaforme e altrettanti algoritmi, riuscire a parlare, chattare, postare in santa Pace e autonomia, non sia più possibile. Il rischio di andare fuori dal seminato, la grande attenzione “ai  discorsi d’odio”, i battibecchi che ospitano improvvisamente “memi ingiuriosi” o satirici, o ancora peggio, talvolta, anche il diluvio di  improperi più o meno coloriti e sboccati che fiorisce sovente  sulle chat delle medesime piattaforme per colpa di alcuni disturbatori detti “troll”; hanno reso improbabili se non proprio impossibili,  i liberi scambi di opinione sulle bacheche online. Per riassumere in estrema sintesi la notizia, abbiamo trovato una frase, colta al volo dentro ad un articolo,  che alleghiamo per una completa consultazione, che ci sembra rappresentare in modo preciso questa tendenza:

 

 

 

Gli algoritmi stanno causando il re-indirizzamento del linguaggio umano intorno a loro in tempo reale. Sto ascoltando questo you tuber dire cose come “il cattivo ha perso i suoi servi” perché parole come “uccidi” sono associate alla demonetizzazione

 

 

 

Nota a margine della notizia.  In queste tre righe scarse di citazione, vengono usati termini – o forse meglio dire neologismi –  come “you tuber”, ad esempio, già entrati nel nostro lessico comune,  e altre parole come “demonetizzazione”, che appaiono nuove e davvero strane, al limite dell’errore. Quale che sia il limite al giorno d’oggi per definire l’errore.  Con buona pace degli Accademici della Crusca e dei “petolosi” di qualche anno fa! In questo specifico caso, il neologismo,  “demonetizzazione” potrebbe  definire il rischio di perdere la pubblicità e l’erogazione dell’obolo in denaro ad essa legato,  che la piattaforma online avrebbe conferito al videomaker di cui sopra,  per colpa  dell’uso  di un termine troppo ardito o  – addirittura – proibito dall’algoritmo, come: uccidi.  Termine tosto, non c’è che dire, – uccidi –  “però” … permetteteci di mettere tre puntini, per favore, e di aggiungere: servirebbe capire meglio il contesto in cui la parola viene usata, forse?   Prima di depennarla per sempre “algoritmicamente”. E con essa tante altre parole, ambigue.  O meglio definirle: “umane”?  Per quel che riguarda invece  “demonetizzazione”,   termine tradotto in automatico da “google translate” , pensiamo,  – l’originale è “demonetization” –  forse sarebbe il caso che tale termine,  fosse studiato dagli emeriti studiosi della lingua, prima di essere automaticamente e algoritmicamente  tradotto. Battute a parte,  e rinnovando  il massimo rispetto agli accademici toscani; come scrivevamo in epoca non sospetta alcuni anni fa in un articolo intitolato “il gruppo è stato archiviato”, la nostra vita digitale si sta articolando sempre di più attorno a regole e comportamenti – e al contrario di essi/e – dettatici da compagnie, aziende, start up di successo che si sono trasformate in tempi brevissimi in nuovi territori.  Quelle “metanazioni digitali”, spiegate in modo eccellente, da Nicola Zamperini, nei suoi scritti.

 

 

 

Ed arriviamo dunque alla terza notizia/spunto di oggi.

 

 

 

Essere digitali 3.  Ovvero quando libertà di espressione fa rima con censura e le OTT si trasformano in metanazioni digitali e sfornano regolamenti e indicazioni che vanno oltre le leggi degli stati in cui tali OTT operano. Norme che impongono ed eseguono   su cittadini di uno stato sovrano, sovente senza tenere in alcuna considerazioni le legittime regole che vigono  in quel Paese.  Il fatto è semplice nella sua cruda realtà: un giornalista italiano, non facciamo nomi,  tanto il dato non aggiungerebbe alcuna rilevanza alla notizia, è stato bannato dal social per un suo commento sulla bacheca di un altro iscritto ritenuto “eccessivo” dall’algoritmo,  o dagli esecutori e sorveglianti dell’operato del medesimo algoritmo. Sempre che esistano.  A questo link la notizia nella sua interezza, con nomi e cognomi e prese di posizioni varie.

Quello che vorremmo sottolineare, a margine della notizia semplice –  del resto anche un presidente degli Stati Uniti è stato maltrattato da un social network qualche tempo fa, ricordate? –  è proprio il modo in cui viene esercitato, sempre di più, un potere “temporale” e “politico” dai sovrani di queste metanazioni digitali. La libertà di espressione – articolo 21 della nostra carta costituzionale – non può essere decisa e regolata da un algoritmo. Un sistema che adotta, criteri di (pseudo) semplificazione oltre che di sorveglianza. La libertà di espressione non è una questione semplice, ne semplificabile, e non può essere amministrata a colpi di censura. Soprattutto non si capisce per quale motivo, questioni delicate come queste – per non parlare dell’editto di Zuck sulla guerra in Ucraina – vengano trattate, amministrate e gestite da imprenditori e aziende,  e non da giudici, amministratori, politici,   regolarmente e democraticamente eletti dalle persone.  Facciamo un breve ripasso:

 

 

 

 

Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione.

La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure.

 

(Costituzione  Art.21)

 

 

 

 

Dunque “essere digitali” oggi cosa significa, per davvero? Prendendo a prestito questi tre spunti proviamo a rispondere. Secondo il primo articolo, essere digitali in quel modo, potrebbe preludere all’apertura di nuovi mercati, lo sviluppo di nuove aziende, nuove pratiche, nuovi affari. Partendo da questioni vecchie e difficili da sbrogliare come lo smaltimento dei rifiuti, ci troviamo difronte alla possibilità di sviluppare nuova ricchezza  – magari – migliorando anche la qualità complessiva della nostra vita. La condizione di base – evento per il momento non rispettato e nemmeno preso in considerazione dai più  – è comprendere e agire secondo nuove regole e comportamenti scaturiti da questo restyling del mondo che definiamo “transizione digitale”. Serve una nuova grammatica del mondo. Un nuovo costrutto.

Il secondo spunto ci rimanda ad una tematica ancora più complessa, ma ugualmente  dentro al passaggio al digitale. Il Washington Post l’ha definita  con grande gusto e precisione: “algospeack”,  e gli scenari che questa tematica prefigura ci fanno a dir poco rabbrividire. Sono scenari devastanti, soprattutto,  sono viali lastricati di domande senza risposta,  dentro a praterie nuove di zecca in cui vengono applicate regole e funzioni che stanno dentro a mondi in rapidissima evoluzione e che sono già lontani migliaia di miglia da quella “transizione digitale” che ancora non siamo riusciti – in molti – nemmeno a cominciare a comprendere.  Mondi in cui vigono leggi sovrastatali, avulse dalla politica, estranee al bene comune e schiave solo del profitto professato all’ennesima potenza.

 

Direttive e pratiche che si esplicano e si realizzano completamente nella terza notizia che abbiamo inserito in questo nostro breve resoconto. Solo uno decide ed esercita il “totale controllo” . Nuovi sovrani. Nuovi dittatori.   Rabbrividite assieme a noi se Vi fa piacere.

 

 

Qualche settimana fa in un altro post ragionavamo di “coding”, creatività e matematica. Ed eravamo giunti alla conclusione che insegnare la programmazione ai bambini non fosse la strada per comprendere e vivere al meglio questa nostra “transizione digitale”. Trasformare tutti in programmatori e sviluppatori di software – dicevamo – non ci aiuta a comprendere e decifrare questa diversa versione del mondo, anzi, limita via via la nostra percezione, appiattendola e orientandola verso una decifrazione a senso unico. Serve cultura a 360° per ampliare e sviluppare i nostri orizzonti. Aggiungendo le  notizie riportate qui sopra al ragionamento ci viene da dire che non solo serve cultura e non informatica per capire meglio il mondo, ma serve ancora di più l’orientamento alla corretta comprensione del mondo digitale. Che tradotto potrebbe significare: se lasciassimo ai bambini la possibilità –  liberi e creativi molti più degli adulti perchè esenti da pregiudizi e preconcetti –  di liberare la propria fantasia e creatività interagendo con i dispositivi digitali – le nostre protesi tecnologiche come le ha definite in un appuntamento digit del passato il luminare della fisica mondiale Mario Rasetti – potremmo assistere alla “definitiva” chiusura del cerchio. Arrivare al senso delle cose. Iniziare a partecipare in modo libero e condiviso alla realizzazione dal basso della nostra educazione digitale. Quella vera. Quella necessaria. Non le costrizioni algoritmiche adoperate dalle metanazioni digitali per esercitare in modo sempre più coercitivo e opprimente la propria indisponente autorità. Come ci suggeriscono alcuni passi di due limpidi manuali che riportiamo di seguito. Grazie dell’attenzione e alla prossima ;)

 

 

 

 

 

L’obiettivo, fondamentalmente indistinto ma intuitivamente comprensibile, della tecnologia della condivisione è il seguente: massimizzare sia l’autonomia dell’individuo sia il potere delle persone che lavorano insieme. Perciò, la condivisione digitale può essere considerata come una terza via che rende irrilevante molta della vecchia saggezza convenzionale.

La nozione di terza via è ribadita da Yochai Benkler, autore di La ricchezza della Rete, che ha probabilmente riflettuto più di chiunque altro sulle politiche delle reti. “Vedo emergere la produzione sociale e quella “fra pari” come un’alternativa sia ai sistemi proprietari chiusi basati sullo Stato sia a quelli basati sul mercato» scrive, evidenziando che queste attività «possono rafforzare la creatività, la produttività e la libertà.”

 

General Electric (ge), compagnia inserita nella lista Fortune 500 (che elenca le principali aziende statunitensi per fatturato), era preoccupata che i propri ingegneri non riuscissero a tenere il passo con il ritmo rapido della creatività che li circondava, quindi ha lanciato la piattaforma Quirky. Chiunque può sottoporre online un’idea per un nuovo grande prodotto ge. Una volta alla settimana, lo staff vota quale sia la migliore, per poi mettersi al lavoro cercando di realizzarla; nel caso in cui diventasse un prodotto, farebbe guadagnare dei soldi all’ideatore. A oggi, ge ha lanciato 400 nuovi prodotti

 

Local Motors, con base a Phoenix, utilizza un metodo open source per progettare e costruire in quantità limitata automobili (veloci) dalle prestazioni personalizzabili. Una comunità di 150 000 appassionati di motori ha inviato i progetti di ognuno delle migliaia di pezzi necessari per la costruzione di un’auto da rally: alcuni erano componenti standard nuovi, scelti prendendo spunto da altri modelli già in produzione, mentre altri erano progettati appositamente e realizzati da numerose piccole imprese sparse per gli Stati Uniti, o addirittura concepiti per essere stampati in 3d in qualunque negozio. La vettura più recente della Local Motors è una macchina elettrica interamente realizzata con pezzi stampati in 3d, ovviamente progettata e prodotta dalla comunità.

 

Abbiamo appena iniziato a esplorare di quali cose fantastiche la «folla» sia capace: ci saranno 2 milioni di modi diversi per finanziare un’idea, organizzarla e produrla attraverso la comunità, e devono esserci un milione di modi nuovi per condividere questi risultati inaspettati.

Nei prossimi tre decenni, la più grande ricchezza, e le più interessanti innovazioni culturali, risiederanno in questa tendenza

 

(L’inevitabile Kevin Kelly)

 

 

 

 

Possiamo intravedere i contorni di un’economia futura nella quale la maggior parte della forza lavoro investirà in attività correlate a servizi, istruzione, intrattenimento, creatività, e in quella porzione di attività molto dispendiose in termini di tempo, i lavori di cura.

(2052 Jorgen Randers)