Il discorso del presidente

Per iniziare l’anno nel migliore dei modi servivano certamente dei propositi. Ma certo non potevamo essere noi ad esprimerli. Con quale autorità e a nome di chi l’avremmo fatto? Niente di tutto questo. Ma qualcuno che, a ragione, e con pieno merito, di propositi e di intenzioni aveva il titolo e la  contezza insieme al  ruolo per esprimerle e poi renderle note c’era.   E per questo ci siamo permessi di farle nostre e Ve le proponiamo qui di seguito. Si tratta del neo presidente dei giornalisti italiani, secondo l’attuale ordinamento giuridico del nostro paese: Carlo Bartoli. Alla sua prima uscita pubblica –  e che uscita aggiungiamo noi – Bartoli affiancando il Presidente del Consiglio nel tradizionale appuntamento degli auguri e saluti di fine anno alla stampa ha preso la parola e ha dichiarato quanto segue:

 

 

     “Ill.mo Sig. Presidente,

     La ringrazio per aver voluto partecipare a questo tradizionale appuntamento organizzato dall’Ordine dei Giornalisti in collaborazione con l’Associazione Stampa Parlamentare e formulo a lei, alle donne e agli uomini del suo staff, alle personalità presenti, ai colleghi e a chi ci sta seguendo da casa i migliori auguri di Buon Natale e per un Felice Anno Nuovo.

     Ci troviamo ancora una volta nel pieno di una pandemia che ha travolto il mondo e proprio nel fuoco della pandemia è emerso il valore e l’importanza di un’informazione professionale seria, rigorosa, responsabile e quanto essa sia decisiva non solo per garantire una corretta dinamica politica, ma anche per contrastare fake news e leggende metropolitane che colpiscono la salute e la vita quotidiana dei cittadini.

     Le giornaliste e i giornalisti, così come il personale sanitario impegnato contro il Covid, sono stati più volte bersaglio di minacce e aggressioni, fisiche e verbali; chiediamo alle istituzioni una maggiore protezione e l’impegno a perseguire senza indugio i responsabili. Sarebbe triste scoprire di vivere in un Paese nel quale si può avere paura ad essere testimoni dei fatti.

     Le aggressioni e le minacce verso i giornalisti non sono legati, in Italia e nel mondo, solo alla pandemia. Voglio qui ricordare i due premi Nobel per la pace assegnati quest’anno, passati un po’ in sordina, ai giornalisti Maria Ressa (Filippine) e a Dmitrij Muratov (Russia).

     Si ha infatti l’impressione di una sottovalutazione, se non di una strisciante insofferenza, nei confronti dei problemi dell’informazione nel nostro Paese.

     Parliamo di un settore fondamentale per la democrazia, per la libertà e per il futuro, a maggior ragione in una fase nella quale, grazie alle istituzioni europee, sono state messe a disposizione ingenti risorse finanziarie per la ripartenza dell’economia.

     Le minacce per una informazione libera, autonoma e plurale, arrivano anche da altri fronti. Il digitale sta facendo venire meno barriere fisiche e geografiche, ma dobbiamo evitare che ne sorgano altre, basate sull’opacità, sulla dissimulazione, sul falso che diventa vero e il vero che diventa falso, sul formarsi di posizioni di monopolio planetario nell’ambito della circolazione delle notizie. Dobbiamo evitare il pericolo di una informazione che cada sotto l’egemonia degli algoritmi e degli Over The Top del web.

     L’ecosistema digitale in cui siamo immersi necessita di più giornalismo, non di meno. La disintermediazione è il contrario di una informazione responsabile, in grado di raccontare la verità sostanziale dei fatti nell’interesse dei cittadini, secondo i dettami dell’articolo 21 della Costituzione.

     L’Italia, e l’Europa di cui siamo parte integrante ed inscindibile, ha bisogno di un giornalismo che contribuisca ad illuminare le zone d’ombra, che guardi dentro le criticità e metta in evidenza le contraddizioni.

     Un giornalismo che aiuti a comprendere e superare vecchie e nuove discriminazioni, di qualunque natura esse siano: di genere, di provenienza, di orientamento sessuale, religioso o culturale.

     Mi permetto, a questo proposito, di ricordare l’impegno straordinario e le parole illuminanti di due personalità eccellenti: il Santo Padre e il presidente della Repubblica Sergio Mattarella.

     Ed è per questo che ci permettiamo di chiedere attenzione sui tanti dossier sospesi che necessitano di un impegno del governo e del Parlamento.

     A partire da una riforma dell’ordinamento giornalistico, le cui regole sono rimaste quelle di sessanta anni fa.

     C’è la necessità di rivedere i meccanismi dell’accesso alla professione, di garantire il rispetto della deontologia e, quindi, una revisione delle norme sulla disciplina. Cinque gradi di giudizio per una sanzione disciplinare sono un’eternità.

     C’è la necessità di fermare le querele intimidatorie, individuate dall’Ue come una delle principali minacce alla libertà di informazione, di cancellare le norme vergognose sul carcere ai giornalisti. Di rafforzare il ruolo del servizio pubblico, garantendo la centralità del Parlamento. Va sostenuto l’accesso alle fonti, anche quelle giudiziarie e processuali, assicurando il giusto equilibrio tra le esigenze di rispetto della persona, riservatezza e quelle del pubblico interesse. Informazione di qualità significa anche e soprattutto lavoro di qualità.

Occorre che il sostegno pubblico alle aziende editoriali non sia più concepito sotto forma di finanziamenti a pioggia alle imprese, a prescindere dal rispetto delle regole.

     Non è più possibile assistere allo stanziamento di flussi consistenti di denaro pubblico alle aziende per accompagnare al pensionamento anticipato migliaia di giornalisti, lasciando che le stesse aziende continuino a rendere il lavoro sempre più precario. In questo modo si stanno condannando le giovani generazioni di giornalisti a non avere un futuro.

     Dalle imprese editoriali che vorranno accedere al Fondo straordinario per l’editoria, istituito con la legge di stabilità 2022, è auspicabile che il governo esiga precisi impegni sul rispetto dei diritti, delle tutele e delle garanzie che la Costituzione, le leggi e i contratti riconoscono a tutti i lavoratori.

     Le consegneremo, signor presidente, un dossier sugli argomenti cui ho solo accennato. Sono temi decisivi per il futuro del nostro Paese.

     Informazione e comunicazione sono la nuova frontiera del prossimo decennio, l’asse portante per la costruzione del nostro futuro.

     Un giornalismo responsabile, moderno, al passo con i tempi, può contribuire affinché questo cammino avvenga all’insegna della partecipazione e della condivisione, della conoscenza e della consapevolezza; per il bene comune di tutti i cittadini, per la nostra democrazia, per il nostro Paese.”

Carlo Bartoli

Presidente Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Giornalisti

 

 

 

 

 

A tutti questi ottimi auspici ci permettiamo di associare una serie di considerazioni da “giornalista di strada” che ci arrivano da un collega e amico che molto meglio di tanti altri riassume in se la “funzione d’uso del giornalismo” che andiamo evocando e proviamo a spiegare nei nostri appuntamenti dal vivo – oramai lontani nel tempo, sigh – e che risponde al nome di Cristiano Lucchi. Il nostro collega toscano è da sempre impegnato, come noi,  a svecchiare la professione,  aggiungendo competenze e conoscenze digitali al suo bagaglio professionale. Per questo l’abbiamo sovente invitato ai nostri appuntamenti digit  in qualità di relatore, proprio per presentare un particolare uso “giornalistico” dei social e delle live-chat,  da lui praticato  sul luogo di lavoro.   Le spigolature che riportiamo qui di seguito da un pezzo pubblicato da Cristiano qualche giorno fa sul sito-giornale “Per un altra città”, riassumono alla perfezione, a nostro giudizio, la faccia oscura del giornalismo. Una delle “dark side”, di cui è purtroppo ben farcita la nostra professione. Almeno quanto di buoni propositi. Dicesi servilismo, per non usare l’altro e più efficace termine, forse un pochino troppo brutale e volgarotto. Aggiungesi doppiopesismo e/o cerchiobottismo tanto per non farsi mancare nulla. E chiudesi con la peggiore delle mancanze professionali in assoluto: la scellerata,  colpevole e deliberata mancanza di notizie. Verrebbe da dirsi, e allora a cosa servono i giornalisti se non raccolgono e poi divulgano notizie? Ma faremmo torto a troppe breve persone che svolgono con passione e coraggio infinito, la propria mansione, sfidando ” i cattivi “ e il sistema, con l’unico obbiettivo di raccontare i fatti e informare la cittadinanza nel miglior modo possibile. In una parola, anzi due: giornalisti e giornalismo; per chi si fosse dimenticato come “dovrebbero” funzionare le cose. Come ci ha spiegato il presidente Bartoli e ora ci precisa il collega Lucchi:

 

 

 

 

Almeno questa volta non è terminata con gli applausi. Già, perché le conferenze stampa di Draghi sono da tempo destinate ad entrare nei manuali di giornalismo per la loro capacità di deviare rispetto ai canoni tradizionali del Quarto potere. Quello che Hollywood ci ha fatto vedere nel suo massimo splendore per come tutela il bene comune e gli interessi dei cittadini e non degli appetiti della politica o dell’economia. Sempre che si stia ragionando di democrazia in uno Stato di diritto.

Nel paese in cui invece vanno alla grande i “giornalisti di complemento” al governo di turno, bene ha fatto il primo ministro a svilire pubblicamente il loro ruolo, imponendo – nella Repubblica della libertà di espressione, art. 21 – ciò di cui è bene parlare e ciò che invece è vietato. “Un ultima postilla” – ha detto introducendo la conferenza stampa -, “non rispondo ad alcuna domanda che riguarda gli immediati futuri sviluppi, a partire dal Quirinale”.

Nel paese in cui, salvo meritevoli eccezioni, i giornalisti azzannano per strada poveracci impauriti, privi di strumenti culturali adeguati per stare nella complessità delle cose, a Draghi tutto è permesso. Inutile dire che nessun giornalista ha avuto il coraggio – ricordate la schiena dritta di Biagi di fronte al potere? – di rompere il desiderio del “migliore”. Quindi nessuna domanda imbarazzante per l’uomo della provvidenza 2.0 sul tema politico dominante per la democrazia italiana, l’elezione del prossimo presidente della Repubblica. Magari il “nonno riserva delle istituzioni” avrebbe potuto esprimere un parere su una delle potenziali soluzioni quirinalizie: lui sul Colle più alto e a Palazzo Chigi potrà sedere un suo “amministratore delegato”, al di là dei voleri della rappresentanza popolare parlamentare (mai così screditata, ad onor del vero).

Una delle cose che molti giornalisti sanno bene è che è sempre meglio non infastidire troppo chi ha il potere reale: ne va della carriera, l’editore può infastidirsi se lo metti contro chi governa, ci sono i finanziamenti pubblici e i fondi all’editoria, o magari si viene privati della semplice pubblicità istituzionale o parastatale. E quindi si adeguano. Alle eccezioni, che ci sono e sono tante, ma marginali rispetto al dibattito mainstream, nella Repubblica che sta per eleggere il Migliore (o il Peggiore, il pregiudicato), può accadere di finire sul banco degli imputati nelle commissioni parlamentari di vigilanza, solo per aver esercitato fino in fondo quel Quarto potere che agli italiani piace solo al cinema.

 

 

 

Grazie per l’attenzione e alla prossima ;)