Il contesto

La riflessione di questa settimana arriva al termine della lettura di un articolo pubblicato sul sito “scenari italiani” in cui si parla di Elon Musk, di Twitter, e delle decisioni del tycoon, se e quando dovesse davvero diventare padrone assoluto del social dell’uccellino. In particolare in quell’articolo si racconta di come il  super-miliardario americano abbia manifestato l’intenzione di “potare” a zero, o quasi, i vertici della dirigenza del social da 280 caratteri, e in particolare di licenziare gli addetti al “controllo” e alla “pubblicazione” dei contenuti.  Una decisione che fa il paio con molte altre dichiarazioni di Musk in cui l’imprenditore ha affermato ripetutamente di voler rendere più libere, meno soggette a regole e censure preventive,  le bacheche  del social media. Cosa questo voglia dire, nei fatti,  non è dato sapere, con precisione, ma le dichiarazioni di Musk hanno creato non poco allarme dentro e fuori da Twitter. Il nostro consiglio come sempre è di leggere l’articolo in forma integrale, quello che ha sollecitato il nostro interesse è uno specifico passaggio  del testo, in cui si racconta per sommi capi l’attività svolta dalla manager da 17 milioni di dollari che Musk si accingerebbe a licenziare.  Leggiamo insieme cosa si dice:

 

 

 

 

La Gadde, da brava fact checker di parte, ha la specialità di “Mettere l’informazione nel contesto”, strumento che giustifica la perfetta arbitrarietà di ogni decisione del fact checker anche la più errata. 

Musk ha condiviso un diagramma di flusso – (In informatica il diagramma di flusso è una rappresentazione grafica delle operazioni da eseguire per l’esecuzione di un algoritmo. Ogni singolo passo è visualizzato tramite una serie di simboli standard) –  di come la Gadde faccia funzionare il concetto di contesto

  1. Eccovi un esempio del pregiudizio della sinistra 
  2. Però deve essere visto nel suo contesto
  3. ma la considerazione del contesto è segnata dal pregiudizio della sinistra
  4. mi faccia un esempio di questo fatto
  5. ritornare al punto 1

 

 

 

In queste poche righe sono  riassunte in modo formidabile –  a nostro avviso – alcune delle tematiche che da sempre proviamo ad affrontare su questa bacheca. Si parla ad esempio di giornalismo, e in particolare di “funzione d’uso” del giornalismo. Un tema a noi molto caro e sul quale abbiamo speso articoli e sessioni dal vivo durante alcuni nostri eventi digit. Il passaggio sul “contesto”,  mette nero su bianco quanto ci si stia allontanando da temi come “corretta informazione”, “approfondimenti”, “inchieste” o anche semplicemente “racconto dei fatti”. Cercare un contesto, creare uno scenario di credibilità, e farlo per mestiere – con uno stipendio a sei zeri –  dentro ad una delle piattaforme nelle quali si crea – oggigiorno –  il cosiddetto “senso comune”, significa  perdere completamente di vista il senso profondo  del giornalismo, la ragione che tiene in vita tutta la filiera di produzione professionale dell’informazione, e anche e soprattutto:  il motivo per il quale esistono giornali e giornalisti.  Tutto quell’articolo è un lungo e approfondito trattato di giornalismo, ma della nostra professione non si tiene minimamente conto.  Il modo in cui agisce la manager di Twitter nel mirino di Musk – ricordate: La Gadde, da brava fact checker di parte,  – l’analisi del lavoro svolto da questa persona realizzata dal miliardario americano,  grondano giornalismo ad ogni passaggio, eppure nessuno si preoccupa di dirlo. E soprattutto – crediamo noi – nessuna delle parti coinvolte – la manager, Musk e lo stesso autore del pezzo –  si accorge di quanto sarebbe necessario inquadrare i fatti narrati dentro alle logiche di bottega tipiche della nostra professione.

 

 

 

Dentro l’ecosistema in cui agiamo tutti dopo la rivoluzione digitale gli equilibri fra chi produce informazione e chi la fruisce sono molto cambiati,  come oramai dovremmo aver capito tutti. Innanzitutto è proprio l’ambiente in cui viviamo il nostro presente a fare la differenza. Un ecosistema è un posto in cui i soggetti coinvolti  –  tutti i soggetti nessuno escluso – svolgono una serie di pratiche che alimentano e garantiscono la sopravvivenza stessa dell’ambiente che li ospita. E’ finita – e non tornerà più – l’epoca in cui esistevano emittenti e riceventi, oggi dentro l’ecosistema, uno vale uno – sulla carta almeno – e ogni soggetto coinvolto può essere nello stesso tempo: emittente e ricevente. Stabilire come debbano agire i professionisti dell’informazione dentro a questo rinnovato sistema è una delle questioni più dibattute degli ultimi decenni, oltre ad essere controversa materia di studio per studiosi ed esperti del settore. Nel frattempo dentro all’ecosistema le cose accadono, progrediscono, e cambiano con velocità folle. Mentre le aziende editoriali – almeno quelle più lungimiranti – provano a rinnovarsi e adeguarsi ai continui cambiamenti, molta parte del sistema invecchia, decade e collassa. Pensiamo alle edicole, alle redazioni vecchia maniera, alla corsa disperata e perlopiù inutile degli editori – la maggior parte di essi – a chiedere e ottenere soldi dalle piattaforme – Twitter ad esempio –  snaturando e svendendo il più delle volte, i propri prodotti, e soprattutto, la propria funzione specifica:  il giornalismo.  Nella confusione globale che regna da decenni, intanto, le piattaforme prosperano, e impongono il loro modello sociale alle masse, usando la clava della corretta “gestione delle informazioni” – avete presente “i dati” di cui ci parlano tutti continuamente –  per conquistare e arroccarsi in sempre maggiore e perfetta solitudine,  dentro ad una “posizione dominante” di cui poi “abusano”  nella maggior parte delle occasioni. Non è un caso che il “reato” creato ad hoc per le piattaforme – dette anche metanazioni digitali – sia proprio: “l’abuso di posizione dominante”.

Una manager a sei zeri che di mestiere fa la “fact checker di parte”  ovvero si occupa di verificare i fatti – vi ricorda qualcuno questa attività? – e poi riconduce i medesimi fatti, ora “verficati”, dentro ad un contesto;   oppure  lo crea appositamente, il contesto,  in nome e per conto della sua “cara” azienda; svolge attività tipicamente giornalistiche snaturandole e addomesticandole,  senza alcun rispetto per la deontologia o  l’oggettività dei fatti narrati. Una procedura  disastrosa che annichilisce il senso del giornalismo e lo trasforma in una sorta di pratica aziendale, strumentale e distorta, esercitata solo per  compiacere i capi,  e assecondare i sistemi algoritmici che alimentano le piattaforme. Nel mondo che descrive sullo sfondo l’articolo da cui abbiamo preso spunto,  non ci sono fake news e nemmeno post verità che tengano;  lì dentro si racconta un presente in cui  ad essere stato messo in discussione è stato il senso stesso  della realtà. Quel che viene rappresentato – sullo sfondo – in quell’articolo, è un simulacro di mondo a totale uso e consumo di quei pochi e selezionati soggetti che attraverso l’uso strumentale e distorto delle nuove tecnologie ne hanno preso il controllo a scopo di lucro.

Del resto uno di questi tycoon – Elon Musk per non far nomi – non ha intenzione di comprare una di queste piattaforme – Twitter per non far nomi –  per renderla un posto più libero? Per dirla con l’antropologo Duccio Canestrini che nel suo libro Antropop cita Corrado Guzzanti : “siamo sicuri di aver bisogno di comunicare in tempo reale con gli aborigeni?” (Guzzanti, bontà sua,  lo dice molto meglio).

 

 

 

 

La disponibilità di informazioni 24 ore su 24 non ha cambiato soltanto il modo di socializzare, ma anche di percepire la realtà che ci circonda, di esistere insomma. È nato un nuovo modo di essere: condividiamo la nostra presenza tra gli astanti e i distanti, tra il tatto reale e il contatto virtuale, siamo parzialmente presenti, un po’ con chi ci sta accanto e un po’ con il mondo intero. Parzialmente attenti. Parzialmente altrove. Connessi e disgiunti. Questo nuovo modo di vivere regala – voglio dire, vende – enormi e sorprendenti vantaggi. Avere informazioni è adorabile. In alcune circostanze, non tutte, è anche necessario. Ma, a parte la memoria, ne risente l’intuito, poiché le informazioni sono sì preziose, ma non sono tutto. L’intuito è capacità di percepire, quel senso che ci permette di captare segnali, linguaggi del corpo, misteri della natura, pericoli, sentimenti muti,
anomali movimenti di folla. L’intuito, così come la nostra memoria atrofica e svaporata, ha bisogno di essere ammaestrato, praticato, esercitato. Certamente iperconnessione mobile e intuito possono coesistere. Ma bisogna essere interessati a capire come. Dipende dalla consapevolezza con la quale ciascuno gestisce le nuove protesi. Per non dire del trascurabile problema dei contenuti, riassunto nell’ironico sketch televisivo dell’aborigeno di Corrado Guzzanti: “Se io ho questo nuovo media, la possibilità cioè di veicolare un numero enorme di informazioni in un microsecondo, mettiamo il caso a un abboriggeno dalla parte opposta del Pianeta, il problema è: abboriggeno, ma io e te che cazzo se dovemo di’?”

 

(Antropop Duccio Canestrini)

 

 

Grazie dell’attenzione e alla prossima ;)