Pezzi sparsi

Quello che proveremo a fare oggi è mettere assieme alcuni sprazzi, lampi improvvisi che squarciano il buio. Intuizioni geniali. Chiavi di lettura. Segmenti che hanno un senso, almeno per noi, tratti da un romanzo – a dir la verità, il primo – di una attrice, ma anche autrice, e poi regista, e anche scrittrice, e ancora tante altre cose, famosa anzichenò, che risponde al nome di Sabina Guzzanti. Proveremo a farlo senza svelare la trama del romanzo e soprattutto i colpi di scena del medesimo. La prima prova da romanziera dell’attrice romana si intitola – come avrete già avuto modo di vedere dalla foto – “2119 la disfatta dei sapiens”. E come il titolo lascia capire si tratta di un romanzo di fantascienza. Un testo ambientato in un futuro prossimo venturo che la nostra immagina da par suo, un futuro immaginato che ci restituisce un’umanità molto simile alla nostra del presente, “as if…” direbbero quelli bravi. Non proprio una distopia, ma quasi. Un futuro in cui le cose si sono evolute “come se fosse successo quello e poi questo, e poi ancora…”. Ovvero rispettando e tenendo conto di tutta  una serie di passaggi a noi ben noti. Passaggi d’ordinanza, potremmo dire, almeno su queste colonne e senza tema di smentita. Che presuppongono che le chiavi del regno siano nelle mani di pochi esclusivi “padroni”, che l’intelligenza artificiale evolva in un certo specifico, modo. Che il genere umano prosegua imperterrito nel processo progressivo e inarrestabile di lento ma costante abbrutimento collettivo e generale. A discapito di tutto e tutti. Primi fra tutti noi stessi medesimi, proprio quelli. Un testo – quello dell’autrice/attrice – che ci offre spunti a ripetizione per ribadire in modo diverso, con leggerezza e talvolta anche indubbia comicità, argomenti e temi, da sempre nelle nostre corde e sui quali tentiamo da decenni di informare i nostri lettori. Una collezione di pillole di valore assoluto di cui vorremmo farVi partecipi, invitandoVi come sempre,  alla lettura integrale del testo. A far da contraltare agli spunti che estrarremo dal romanzo, quest’oggi proveremo a cercare di individuare passaggi di testi nostri e di altri autori che andremo a riportare in sintesi da articoli già pubblicati proprio qui, in questo luogo della rete che è il nostro blog. Un patchwork di contenuti che speriamo risulti piacevole e interessante alla lettura. Intanto grazie dell’attenzione e alla prossima ;)

 

 

 

Succede che nel 2119 l’informazione sia tutta scritta, confezionata, redatta, riprodotta, commentata e divulgata dalle macchine – umanoidi per lo più – ma sempre macchine, tutta l’informazione,  meno una:

Holly è l’unico organo di informazione del pianeta concepito e scritto da esseri umani. È un punto di riferimento per tutti coloro che si oppongono alla manipolazione delle coscienze e alla progressiva trasformazione degli uomini in automi senza volontà critica, che appare sempre più inesorabile.

 

Succedeva qui, nella realtà di questo luogo immateriale,  in un pezzo del  2010 intitolato: “E’ arrivato il vero giornalista-robot”, che le macchine provassero a sostituire per davvero gli uomini. Succedeva  e succede, ancora e sempre di più:

E’ un vero giornalista robot. Si muove, chiede informazioni e scrive.

Non come il widget che pesca fra i tweets di Twitter, i blog e tutti i materiali dei servizi pubblici di una città e pubblica via via le informazioni raccolte (Nozzle Media). O come Stats Monkey, il programma messo a punto a Chicago da Infolab, il laboratorio di intelligenza artificiale della Northwestern University, che “scrive’’ il resoconto di una partita di baseball: raccoglie i risultati, le descrizioni delle principali azioni dell’ incontro, i vari dati statistici, inventa un titolo e allega una foto.

Questa volta è un vero robot, una macchina che ha la sua “individualità” e la sua autonomia. Una macchina autonoma, realizzata in Giappone dai ricercatori dell’ Intelligent Systems Informatic Lab (ISI) alla Tokyo University – Può registrare volontariamente e in maniera indipendente i cambiamenti nell’ ambiente che lo circonda, decidere se essi sono rilevanti e scattare delle fotografie – Può chiedere informazioni alle persone che sono nel suo campo d’ azione e cercare su internet informazioni su una determinate questione. E, se trova delle notizie che gli sembrano interessanti, può farne un breve articolo e pubblicarlo –  E qualcuno pensa già di utilizzarlo in aree troppo pericolose per gli umani

 

 

 

Nel 2119 il mondo è ridotto piuttosto male. I ricchi sono pochi, sempre più ricchi, e controllori totali o quasi, di tutte le risorse del pianeta. Risorse che gestiscono a loro pro, distribuendo briciole, per di più, sintetiche, agli altri, tutti gli altri:

Crem è l’acronimo di Certificated Rich Endless Member e si pronuncia alla francese. Avere un buon accento francese è ancora considerato un segno di distinzione, nonostante i pochi francesi sopravvissuti vivano come profughi in condizioni piuttosto umilianti. La decisione di chiamarsi Crem venne presa nel famoso Consiglio del ’66…

I Crem sono appena cento milioni, ma consumano come fossero un miliardo. Grazie ai robot e alle tecnologie prodotte dal Consorzio coltivano le terre abbandonate anche a centinaia di chilometri di distanza, e ottengono prodotti biologici straordinariamente saporiti. A volte trasportano animali esotici per abbellire i loro parchi, oggetti di antiquariato ordinati dall’altra parte del mondo, profumi, cosmetici e beni di lusso di ogni genere.

 

Il principio su cui si fonda la Legge dell’Equilibrio è semplicissimo: chi è ricco resta ricco per sempre, e chi è povero resta povero. È il cuore della svolta del Consiglio dei Ministri del 2066, il primo dopo le Grandi Catastrofi, durante il quale venne scritta la Nuova Costituzione.

… Nella seconda metà degli anni Sessanta, dopo che c’erano stati sei miliardi di morti, l’appello di un gruppo di scienziati convinse i Crem a cambiare strategia. Non avrebbero più sparato su chi cercava rifugio, avrebbero invece permesso ai migranti di costruirsi degli slum o di occupare le città abbandonate in prossimità dei loro feudi. Ogni tentativo di avvicinamento entro cinquanta chilometri dalle residenze Crem sarebbe stato fermato con le armi. I Crem, in segno di solidarietà, avrebbero sovvenzionato i sopravvissuti con cibo sintetico e un minimo di sanità e istruzione garantite.

 

 

 

Nel mondo reale, o meglio, in un altro “mondo fiction”, a proposito di povertà e migranti succedevano cose anche peggiori, a questo proposito, per non parlare delle cose che succedono ogni giorno ora e sempre da anni, qui ed ora, in Italia, a poche decine di chilometri dai confini di Stato. Ricordate, ad esempio,  “I figli degli uomini”? Il romanzo di P.D.James e poi il lungometraggio del 2006 di Alfonso Quaron. L’Umanità è sterile, da decenni non nascono più bambini. I migranti continuano a lasciare i propri paesi poveri e a sbarcare in quelli più ricchi ma oramai vengono respinti con la forza, confinati in campi di prigionia. Nel mistero della finzione, il primo bimbo dopo decenni viene concepito dentro uno di questi campi, la madre è una migrante.  Come dite? Ma che fiction e fiction…Eh… Avete per caso letto, partecipato, e/o consultato l’inchiesta di data journalism che abbiamo presentato anche in uno dei nostri primi appuntamenti digit e che si intitola: “mar mediterraneo tomba di migranti”, realizzata da Alessio Cimarelli  su dati raccolti da Gabriele Del Grande nel suo blog Fortress Europe.

 

Gabriele è riuscito negli anni a raccontare il “cosiddetto” fenomeno dei “cosiddetti” migranti con un’attenzione e un rispetto ai fatti dei singoli, delle persone,  che ci ha permesso di rimanere umani dentro una storia che spessissimo è fatta solo di numeri e di cadaveri.
Proprio dai numeri raccolti da Gabriele negli anni con pazienza e grande professionalità che  altri professionisti del racconto, quello fatto con le immagini e i dati, hanno realizzato un opera denominata << migrant files >> in cui la tragedia di queste persone in cerca di una approdo sicuro dopo che la loro casa gli è stata tolta con la violenza delle armi, viene rappresentata con l’analisi dei numeri nella sua devastante realtà.

 

 

 

Nel 2119 le cose per i migranti non vanno certo meglio di oggi, anzi, sono loro e solo loro, la “carne da cannone” necessaria per alimentare gli algoritmi. Il costante flusso di dati di cui le macchine hanno un disperato bisogno per auto alimentarsi, e auto apprendere, in modo da riuscire a controllare, sempre di più, i comportamenti umani.

 

 

 il Consiglio dei Ministri del ’66, quello in cui erano state stabilite le nuove regole dell’Equilibrio, era in realtà stato pilotato dal Consorzio. Dietro l’apparente gesto umanitario si nascondeva la necessità di accumulare ancora dati fondamentali per gli studi sul cervello umano, da cui dipendevano quelli sulle intelligenze artificiali avanzate. Se lo sterminio fosse proseguito a quel ritmo, sarebbe presto mancata la materia prima per le ricerche. I dati dei cento milioni di Crem, i soli che sarebbero sopravvissuti, non erano statisticamente rilevanti. Gli esperti di marketing per l’occasione avevano riesumato un vecchio slogan degli anni Venti: Aiutiamoli a casa loro. Le nuove regole stabilivano che i migranti avevano sì diritto a fuggire per sopravvivere, ma una volta raggiunto un Agglomerato non potevano più spostarsi, pena la morte. In cambio delle sovvenzioni rinunciavano inoltre al diritto di avviare una propria produzione, perché avrebbe turbato l’Equilibrio Economico. I migranti vengono tenuti in vita come cavie, con il cibo sintetico che li rimbecillisce e li fa ammalare. Gli Agglomerati hanno preso il posto degli spietati allevamenti intensivi del secolo scorso. Non ci nutriamo della carne dei migranti, ma di tutta la loro energia

 

 

 

Nel mondo reale il machine learning, il deep learning, i bot, e gli algortimi, lavorano incessantemente per riuscire a far apprendere, auto apprendere, e  migliorare, l’operato dell’intelligenza artificiale. Flussi incessanti e sempre più ingombranti di dati passano “di mano in bit” per rendere sempre più credibile l’operato delle macchine che agiscono in nome e per conto, nostro. Viviamo l’epoca del datismo, come spiega con grande precisione lo storico israeliano Noah Harari nel suo libro Homo Deus:

 

 

Il datismo sostiene che l’universo consiste di flussi di dati e che il valore di ciascun fenomeno o entità è determinato dal suo contributo all’elaborazione dei dati.

Per i politici, gli uomini d’affari e i comuni consumatori, il datismo offre tecnologie all’avanguardia e nuovi immensi poteri.

Secondo il datismo, la Quinta sinfonia di Beethoven, una bolla finanziaria e il virus dell’influenza sono soltanto tre pattern di un flusso di dati che può essere analizzato usando gli stessi concetti di base e gli stessi strumenti.

I datisti credono che gli umani non siano più in grado di gestire gli immensi flussi di dati, perciò non possono distillare da questi le informazioni, per non parlare di elaborare la conoscenza o tesaurizzare la saggezza. Inoltre il lavoro di elaborazione dei dati dovrebbe essere affidato agli algoritmi digitali, le cui capacità eccedono di gran lunga quelle del cervello umano. In pratica, questo significa che i datisti sono scettici riguardo alla conoscenza e alla saggezza umane, e preferiscono riporre la loro fiducia nei Big Data e negli algoritmi computerizzati.

Potete non concordare con l’idea secondo cui gli organismi sono algoritmi e le giraffe, i pomodori e gli esseri umani rappresentano soltanto differenti metodi per elaborare i dati. Ma non dovreste ignorare che questo è l’attuale dogma scientifico, che sta cambiando così in profondità il nostro mondo da renderlo irriconoscibile.

 

 

 

Nel 2119 non c’è Google e nemmeno Facebook, ma c’è il Consorzio, e tutto ciò che passa dal web viene amministrato dal Consorzio, tutto quello che viene condiviso in rete è di proprietà del Consorzio. Persino le persone, o meglio i comportamenti delle persone,  sono di proprietà del Consorzio. Ancora di più: i  comportamenti delle persone sono talmente influenzati e influenzabili dai terminali del Consorzio da essere diventati programmati e controllabili, quasi completamente. Le persone non ne sono del tutto consapevoli, ma non possono vivere senza la rete e i servizi che il Consorzio assicura loro. Improvvisamente però succede qualcosa, il motore di ricerca “supremo”, denominato Alq,  non funziona più:

 

 

 Alq non risponde più a chi lo ha programmato e sono giunti a una conclusione drammatica: non resta che cancellare tutti i dati di cui il Consorzio si è impossessato nell’arco di più di cent’anni. Yaky, che li ha raggiunti, ascolta la logica implacabile del ragionamento: il database è la forza di Alq, la sua intelligenza, il suo corpo virtuale. Distruggere il database equivale a distruggere la loro creatura, caduta nelle mani del nemico. “Cancellare tutti i dati?” ripete Yaky annichilito dall’enormità della proposta. L’intero sapere umano ormai è contenuto nella rete. Cancellare il database è come cancellare il mondo. Le chiedo l’autorizzazione a cancellare tutti i dati in nostro possesso. È l’unica soluzione per riprendere il controllo della rete.” “Cancellare tutto?” domanda l’altra esterrefatta. “Ma i dati sono la fonte di tutte le nostre ricchezze!” “Li raccoglieremo di nuovo” risponde Fumiko sempre urlando. “Abbiamo calcolato che, per avere l’equivalente dei dati che abbiamo raccolto dall’inizio del millennio, oggi basteranno solo tre anni.”

 

“Ma tutti, proprio tutti i dati?” insiste lei incredula mentre Brez annuisce. “Fra qualche ora non ci sarà più niente: la nostra storia, le nostre leggi, i film, i libri, i trasporti, le istituzioni, l’istruzione, i ricordi, le date…”  “I siti pornografici…” scherza Leticia. “Già, anche quelli” sorride Brez.

“Da qualche parte però qualcuno avrà conservato dei libri, no?”

“Non mi era ancora venuto in mente… farò un’ordinanza: chiunque abbia libri li consegni, diventeranno patrimonio pubblico!

 

 

 

Nel mondo reale intanto, non è che le cose vadano poi così bene. E soprattutto siano poi così differenti rispetto alle finzioni romanzate. Le manifestazioni del potere assoluto delle OTT sono molteplici. E le reazioni della cosiddetta “società civile” sono poche, deboli, inconsistenti; praticamente nulle. Per non parlare delle reazioni, altrettanto vacue e superficiali,  degli Stati e dei Governi. Gli esempi sono numerosi, ne citiamo uno, neanche troppo recente, risale al 2019.

 

“Il servizio pubblico, fondamentale per la democrazia,  va rafforzato e protetto sul web”. Così si intitola la lettera aperta che i capi delle più potenti televisioni europee,  Rai compresa, hanno inviato,  attraverso la diffusione su alcuni quotidiani europei –  il Corriere della Sera da noi –  agli Over the Top. In realtà la lettera potrebbe non essere indirizzata in modo specifico a nessuno. Ma come recita il detto: “parla a nuora perché suocera intenda” i destinatari non possono che essere i capi delle techno-corporation, dette anche meta-nazioni digitali.  Quindi riportando le dichiarazioni della Presidente della Commissione Europea, e poi citando  fatti, circostanze, e nobili intenti,  nella lettera si chiedono spazi e tutele ai “cosiddetti” padroni del web.  Dando loro per l’ennesima volta un riconoscimento eccessivo, un potere inusitato, e un’autorità del tutto fuori luogo. Nella missiva, purtroppo,  è tutto molto chiaro, scontato. Secondo la visione dei dirigenti delle maggiori reti televisive europee, internet è di fatto uno spazio chiuso, lottizzato e gestito dagli Over the Top, ed è dunque a loro che ci si deve rivolgere.

 

Scrive a questo proposito Michele Mezza in una lettera aperta inviata ai capi delle televisioni europee:

 

Google,  Facebook,  Amazon, stanno creando una nuova gerarchia antropologica sul pianeta e  non è certo perché fanno concorrenza alla televisione; piuttosto perché hanno cambiato radicalmente il modello di relazione, di fruizione dei contenuti audiovisivi. Ci si scambia contenuti, flussi, immagini perché si vive, non perché si vuole vedere qualcosa su uno schermo. 

 

il più grande regalo che rischiamo di fare ai monopolisti è quello di concedere a loro la bandiera della modernità e della libertà. 

Mentre invece, e in questo la denuncia coglie un aspetto,  c’è una situazione insopportabile di privilegio e di dominio che riguarda proprio la struttura semantica degli algoritmi,  il potere assoluto incontrollabile di imporre procedure e comportamenti dal punto di vista dell’automatizzazione delle attività realizzate sulla base di una profilazione.  La richiesta dei dati,  che in quella lettera è l’elemento di base;  la condivisione dei dati degli utenti è un altro elemento ambiguo.  Perché condividere quei dati solo con le aziende radiotelevisive e non con gli stessi utenti per renderli artigiani,  protagonisti, e in grado di entrare direttamente sul mercato degli scambi audiovisivi? Quando si apre la schermata di Netflix perché io non posso vedere cosa c’è nella mia scheda dati,  in cui mi costringe la piattaforma a dichiararmi,  e da cui e raccoglie tutti i miei sobbalzi emotivi?

Per cui il tema è:  una grande nuovo ripensamento del sistema della comunicazione in cui le aziende pubbliche siano il motore di un ribaltamento del ruolo tra calcolati e calcolanti e non una rivendicazione di privilegio da parte di chi si sente escluso da questo nuovo dominio che i titolari dell’algoritmo oggi impongono.

 

 

 

Nel 2119 la differenza la fanno gli attivisti, gli hacker e i giornalisti, quelli umani, ancora in servizio. La risorsa finale per la riscossa del genere umano, viene dalla creazione o meglio dalla resurrezione della rete. Un nuovo web. Un sistema di collegamenti liberi, e trasparenti, al servizio della comunità e non dei “soliti noti”.  Una rete di  servizio e al servizio di tutti senza controllori e controllati.

 

 

In redazione Helene, che aveva previsto la mossa del Consorzio, ha già elaborato una contromossa e sta esponendo il piano ai suoi nuovi alleati. “Riconvertiremo il nostro database sotterraneo. Offriremo un motore di ricerca alternativo, libero e senza scopo di lucro.”

Si alza un coro di commenti entusiastici.

“Me lo sentivo che questa storia aveva un risvolto positivo!” dice Janin.

“Il Consorzio, appena finita la cancellazione, farà di tutto per ricostruire il suo patrimonio di dati” aggiunge Helene che li conosce bene.

“Dobbiamo far sapere ai migranti che non devono abboccare” dice Jonathan. “E che esiste una nuova possibilità, la nostra rete!”

“Scriviamo che il web d’ora in poi sarà libero! Che i dati personali non sono in vendita! Ci saranno motori di ricerca pubblici, social pubblici… mai più sarà permesso di manipolare le coscienze a scopo di lucro! Le comunità si autodetermineranno e la Costituzione stabilirà diritti uguali per tutti e norme ferree sull’impatto ambientale. Ci dedicheremo alla ricostruzione del sapere perduto. Raccoglieremo le memorie, faremo una nuova enciclopedia. E impediremo che il Consorzio torni a fare di noi merce di scambio!”

 

 

 

Nel mondo reale e in particolare su questo blog, una cosa simile è già successa, o meglio, qualcuno, e non una persona qualunque, ma il papà del web, il creatore del servizio della tripla W: world wide web, mr. Tim Berners Lee,  e assieme a lui alcuni altri insigni pensatori, e scienziati e filosofi e giornalisti ed economisti…e altri molti altri ancora; hanno pensato che il web così come è diventato, non sia più al servizio dell’uomo. Il web di oggi è  un enorme e totale meccanismo di controllo dell’umanità intera al servizio di pochi, potentissimi soggetti. Mr. Lee e gli altri scienziati, hanno dunque provato infine a reagire,   e hanno diffuso documenti e pareri per provare a invertire l’ineluttabile discesa verso questa ripida, drammatica, e ineluttabile china:

 

Torniamo a pensare all’uso della dorsale di collegamento universale – la rete –  così come l’avevano pensata coloro che l’hanno progettata. Torniamo a pensare al web come ad uno spazio di servizio da realizzare attraverso la rete. Uno spazio  dove si fanno affari secondo regole di concorrenza legittima,  e offerte diversificate.  E dove non ci sono monopoli, sempre più stringenti e blindati, che applicano solo la regola del più forte. Quei posti  non sono internet sono la giungla del mondo. Posti dove  non saremo mai liberi ma solo carne da macello.

 

Ispiriamoci invece al nuovo contratto con l’Umanità per l’uso consapevole della rete,  redatto nel 2018, da uno degli inventori del web, Tim Berners Lee. Sono nove semplici regole, tre per i Governi, tre per le Aziende e le ultime tre per le Persone,  che ridefiniscono in modo coerente e consapevole i nostri usi e consumi dentro agli spazi di connessione digitale:

 

 

Per i Governi:

 

Assicurati che tutti possano connettersi a Internet

Mantieni disponibile la rete Internet, tutta e sempre

Rispetta e proteggi il fondamentale diritto delle persone alla privacy e al controllo sui propri dati

 

Per le Aziende:

 

Rendi internet conveniente e accessibile a tutti

Rispetta e proteggi la privacy e i dati personali di ognuno per creare fiducia online

Sviluppa tecnologie che supportino il meglio dell’umanità e contrastino il peggio

 

Per Noi tutti

 

Cerchiamo di essere tutti creatori e collaborativi sul web

Costruiamo comunità forti che rispettino la civiltà e la dignità umana

Lottiamo per il web in modo che rimanga aperto e sia una risorsa pubblica globale per le persone di tutto il mondo, ora e in futuro

 

 

 

Che dire? La realtà è, come sempre,  molto più fantasiosa di qualsiasi invenzione. E anche tremendamente più complessa e difficile da dipanare. Ed è molto probabile che  nessuno ci salverà,  da un futuro, più o meno nebuloso e incerto. Nessuno.  Se non impariamo a farlo da soli.