La transizione digitale (prima parte)

Terzo e ultimo nostro post estratto dai contenuti di un panel dell’ultima edizione del festival dell’economia di Trento. Come il titolo dell’articolo suggerisce, gli argomenti che tratteremo, rielaborando la sbobinatura del panel  realizzata con pazienza e notevole dedizione dal “nostro” Marco Dal Pozzo, riguarderanno i temi sempre più “caldi” – anche alla luce dei molti miliardi di euro messi a disposizione dall’Europa per il rilancio degli Stati post-pandemia,  e inseriti nel Pnrr “nostrano” dai tecnici del Governo Draghi – la “cosiddetta” transizione digitale. Un passaggio obbligatorio, per molti e corretti  motivi, ma che il mondo sta realizzando in modi e maniere, a dir poco, originali, per non dire: assurdi. Lo proviamo a dire da molti anni su questa  bacheca elettronica e dentro i nostri appuntamenti dal vivo nel festival digit. Recentemente, come ha scritto molto bene Nicola Zamperini in un suo recente post sul  blog Disobbedienze, lo hanno ri-affermato in un documento scritto  congiuntamente, numerosi scienziati di diversi paesi del mondo. Nell’articolo/appello pubblicato sulla  rivista scientifica PNAS,  col titolo “Stewardship of global collective behavior”, fra le altre cose si legge:

 

 

 

L’era digitale e l’ascesa dei social media hanno accelerato i cambiamenti dei nostri sistemi sociali, con conseguenze poco conosciute. Questa lacuna nella nostra conoscenza rappresenta una sfida importante per il progresso scientifico, per la democrazia e per il modo in cui affronteremo le crisi globali. (…) Lo studio del comportamento collettivo deve diventare una vera e propria “disciplina della crisi”, così come è stato in medicina, nelle scienze del clima, con l’obiettivo di offrire informazioni utili.

 

 

 

La transizione digitale, non può e non deve essere un ring per “super-aziende”, una competizione limitata alle OTT, o alla peggio alle aziende delle TLC. E nemmeno essere “ridotta” – si fa per dire – ad una mera speculazione: politica, economica e/o finanziaria. Un esercizio per pochi, alla ricerca  del potere – più o meno assoluto – e del controllo, anche questo “omnicomprensivo”. Ma vediamo cosa hanno affermato in merito gli illustri relatori del panel del Festival dell’economia di Trento, nell’incontro che da’ il titolo anche a questo pezzo:

 

 

 

Michele Polo, professore di Economia Politica alla Bocconi

–           Si viene da un periodo faticoso legato alla Pandemia e alla conseguente scarsa mobilità. E’ una situazione che sul fronte dei progressi col digitale ha richiesto tappe forzate: per le famiglie, per le Imprese e per la PA.

–           Un impegno gravoso anche per le infrastrutture per il lavoro e la formazione scolastica

–           le reti di telecomunicazione sono state sovraccaricate: nel primo lockdown c’è stato un aumento del 70% del traffico ( e hanno retto )

–           l’uso di Internet come momento di connessione tra individui, imprese e Stato ha evidenziato forti differenze:

  1.       territoriali nella capacità di copertura
  2.       nelle fasce della popolazione e nelle categorie di impresa oltre che  nella capacità d’uso dei singoli

–           siamo all’avvio del piano di modernizzazione del paese: il PNRR ha un suo capitolo fondamentale dedicato alla transizione digitale

  1.       abbiamo imparato che le infrastrutture devono fare un passo avanti per garantire una copertura uniforme del territorio con velocità adeguate
  2.       sappiamo che a fianco di questo processo è partito il nuovo progetto del 5G che porterà ad un ulteriore e incomparabile sviluppo tecnologico;  perché connetterà oggetti. Una cosa che al momento non fa parte della nostra vita, ma in breve tempo ci consentirà di fruire di servizi non disponibili, e che saranno di fondamentale importanza
  3.       i comportamenti di uso dei sistemi digitali. Abbiamo fatto un “corso accelerato” – a causa della pandemia – la domanda è: quanto persistenti questi cambiamenti rimarranno? Lavoro in presenza VS Lavoro in remoto, o anche ai nuovi processi produttivi e di offerta di beni e servizi
  4.       un tema importante riguarda l’e-government, ovvero l’uso degli strumenti digitali nell’interazione tra Pubblica Amministrazione e cittadino nell’erogazione dei servizi pubblici. In questo senso la PA dovrà conoscere un periodo di forte e profonda innovazione,  che non riguarderà solo la dotazione  tecnologica e l’ infrastruttura, ma anche l’organizzazione del lavoro, la condivisione e l’uso dei dati raccolti dalla cittadinanza.

–           temi come: il potenziamento delle infrastrutture, l’ammodernamento del sistema delle imprese, e il miglioramento della PA;  sono al centro del PNRR

 

 

 

Giovanna Pancheri, giornalista e corrispondente dagli USA di Sky TG 24

–          Partiamo innanzi tutto dal titolo del Festival: “Il Ritorno dello Stato”,  quando uno pensa all’innovazione, alla transizione digitale, all’avanguardia, lo Stato non è la prima cosa che viene in mente. Si pensa agli imprenditori privati. Lo Stato può essere davvero innovatore? Se si, su cosa?

 

 

 

Vittorio Colao, Ministro per la Transizione Digitale

–          Non si può decidere dove innovare. L’innovazione prende corpo dove ci sono donne e uomini con competenze e intuizioni.  Il ruolo dello Stato è quello dell’allenatore per questo processo,  il “pubblico” deve favorire la crescita. Lo Stato deve essere innovatore nelle aree in cui è monopolista. Bisogna uscire dal  vecchio quadro normativo. Bisognerà favorire nuove assunzioni di personale competente nella PA.

 

 

Come non essere in accordo con questa visione delle cose? Magari, proviamo ad aggiungere un paio di riflessioni ulteriori. Ad esempio rispetto all’innovazione nella PA – tema sul quale abbiamo riflettuto a lungo e anche ragionato in profondità,  assieme ad alcuni attori della Funzione Pubblica,  dentro ai nostri appuntamenti digit.  Un tema importante che dovrebbe essere declinato e poi realizzato in una logica di sistema molto più ampia. Un processo come questo non può  essere pensato e messo in atto solo dentro la PA. La corretta “transizione” deve essere in primo luogo una innovazione culturale – che poi avrebbe una naturale declinazione nella/con la digitalizzazione. Comprare nuovi potenti pc e assumere giovani neolaureati non può essere la ricetta vincente. Serve ben  altro. Innovazione è Smart Working – quello vero – così come abbiamo già provato a raccontare, con parità di diritti e tutele.Non una forma inconsulta di sfruttamento massiccio e prevaricazione. Innovazione è digitalizzazione – culturale –  soprattutto, delle fasce di età più avanzata. Far comprendere, soprattutto ai nostri padri e nonni, che agire da remoto e mediante un oggetto digitale, può essere davvero utile e comodo, è un passaggio fondamentale della cosiddetta “transizione”. Soltanto se facilita davvero la vita delle persone, il ricorso al digitale ha senso.  Innovazione è garantire diritti a chi lavora nelle aziende “digitali” non il contrario, come purtroppo sta accadendo.

 

 

 

Giovanna Pancheri, Corrispondente USA di Sky TG 24

–           Partiamo dalla questione delle infrastrutture. Il PNRR supera l’idea del gestore unico. Ci può chiarire questo concetto? Anche tenendo conto dei ritardi dell’implementazione del programma della Banda Ultra Larga.

 

 

 

Vittorio Colao, Ministro per la Transizione Digitale

–           La rete unica non è un grande tema ad esempio in Spagna, nel Regno Unito o in Olanda. Uno Stato allenatore vuole che i cittadini siano soddisfatti. Ci sono state persone, durante il lockdown,  non connesse in modo soddisfacente. Si sono create delle disuguaglianze. Ad esempio tra chi poteva fare bene la DAD e chi no. L’obiettivo è portare la connettività dappertutto. Con la vendita delle frequenze per il 5g abbiamo incamerato 6.7 miliardi di euro (2 miliardi per la parte mobile e 4,7 per la parte Very High Capacity Network) per aiutare i giocatori a progredire, tutti. Siamo allineati al Digital Compass europeo.

 

 

 

Michele Polo, professore di Economia Politica della Bocconi

–         Capisco il discorso di cornice, tuttavia nel corso dell’anno abbiamo rilevato che: TIM (incumbent storico) ha comunque conferito le sue infrastrutture di rete secondaria ad una società, la FiberCop che potrebbe diventare un soggetto di rete unica.  Al contempo la strada che stiamo seguendo prevede di fatto due soluzioni diverse: una infrastruttura che deriva dallo sviluppo dalla rete TIM,  e una seconda rete integralmente nuova nelle aree bianche su cui sta lavorando Open Fiber.  La discussione è se questo sia un percorso desiderabile o se in prospettiva si vada verso una unificazione di queste due infrastrutture in un’unica infrastruttura a Banda Ultralarga? Un tema importante.  Un tema delicato anche perché, nel caso di un’unificazione, si dovrà capire chi sarà il gestore e se questo soggetto dovrà essere uno dei partecipanti nel campo di gioco dell’offerta dei servizi di telecomunicazione. Su questo aspetto ho trovato il PNRR poco sviluppato negli argomenti in oggetto. Nel Piano viene richiamata l’eredità del Piano Nazionale BUL (che ha portato agli sviluppi di Open Fiber), ma non si dice molto su questo problema che è cruciale perché la velocità con cui il processo di copertura delle infrastrutture dipende anche dalla forma proprietaria, dall’architettura di rete e dalla relativa Governance.

 

 

 

Vittorio Colao, Ministro per la Transizione Digitale

–           Mi permetto di dissentire.  In prima istanza il PNRR è assolutamente chiaro nel porre obiettivi di interesse dei cittadini ai quali non interessa se lo Stato faccia il banchiere d’affari, gli interlocutori con cui discute, etc. Lo Stato si deve mettere al servizio dei cittadini, non al servizio delle Imprese. Chiederemo a tutti gli attori (fissi, mobili, privati e statali) quali sono gli investimenti che intendono fare sulla parte fibra e sulla parte 5G. Dopodiché guarderemo:vedremo le aree che non sono soddisfacenti dal punto di vista dell’interesse dei cittadini e metteremo in campo  soldi pubblici per sostenere gli operatori che dimostreranno di essere efficienti nel dare soluzioni adeguate all’interesse pubblico. Se gli operatori si consorzieranno fra loro, non sarà lo Stato ad orchestrare le operazioni. Se ci saranno dei problemi allora lo Stato dovrà intervenire, ma a quel punto sarà una soluzione diversa perché al centro del nostro agire  deve esserci  l’interesse dei cittadini, non della specifica impresa.

 

 

 

Giovanna Pancheri, Corrispondente USA di Sky TG 24

–           Parlando di interesse dei cittadini, diciamo che è stato accumulato un ritardo a livello di realizzazione di rete di banda ultra larga. Qual è il suo obiettivo già per il prossimo anno per la connettività?

 

 

 

Vittorio Colao, Ministro per la Transizione Digitale

–           Non abbiamo la risposta, perché non abbiamo ancora avuto risposta alle richieste di mappature che noi  stessi abbiamo fatto alle aziende impegnate nel piano BUL.  L’obiettivo è semplice: nel 2027 noi vogliamo che qualunque casa, qualunque scuola, qualunque edificio che ospiti infrastrutture sanitarie,  sia connesso a Banda Alta che permetta di gestire video, esami, test clinici nella maniera più efficiente possibile. Immagino che una parte sarà fibra e per un’altra parte sarà 5G che pensiamo, per allora, sarà in grado di funzionare molto bene.

 

 

 

Giovanna Pancheri, Corrispondente USA di Sky TG 24

–           Parlando di 5G  e  libera concorrenza. Come lei sa, la Cina, nello sviluppo del 5G,  è uno dei paesi più avanzati e l’Italia sta prendendo decisioni diverse,  prendendo tempo sugli incumbent cinesi. Lei dice che se vogliamo garantire il migliore servizio ai cittadini, bisogna lasciare che le diverse imprese possano presentare le proprie offerte. Con questo scenario, come la mettiamo con le imprese cinesi?

 

 

 

Vittorio Colao, Ministro per la Transizione Digitale

–           Allargherei il tiro: come la mettiamo con la tecnologia e la scienza europea? Qui il tema non è Cina o USA,  bisogna sviluppare una grande autonomia europea: dobbiamo essere autonomi. In Europa abbiamo due grandi imprese e si sta sviluppando l’Open RAN (che è la softwarizzazione della parte Radio delle comunicazioni). Dobbiamo assicurarci che le imprese europee abbiano la loro quota di supporto, ma anche che le tecnologie del futuro siano sviluppate dai nostri ragazzi e dai nostri scienziati. Il tema è avere alternative europee, favorendole.  Un processo che va iniziato oggi: incoraggiare le università e i nostri migliori ragazzi a guardare a questi settori (bisogna stabilire eccellenze europee): in questo modo si supera il dilemma Cina/USA. Questo processo si avvia usando fondi europei e aumentando gli investimenti europei in tal senso.

 

 

 

Giovanna Pancheri, Corrispondente USA di Sky TG 24

–           A proposito dei ragazzi che vanno verso facoltà STEM in numero insufficiente, come si può incentivare le iscrizioni a queste facoltà da parte dei nostri ragazzi?  E’ un tema che le sta a cuore come attività,  su cui concentrare le attività del suo ministero?

 

 

 

Vittorio Colao, Ministro per la Transizione Digitale

–           Il tema mi sta tantissimo a cuore. Non è solo un tema di Università e Ricerca, ma anche un tema di impiego (Giorgetti ci sta lavorando): bisogna dare forti incentivi alle  imprese perché assumano laureati e laureate in materie scientifiche a tutti i livelli (non solo grandi aziende, ma anche le piccole). C’è spesso una resistenza perché queste assunzioni sono vissute dagli imprenditori come fossero un costo. Si tratta, invece,  di un grande investimento per il futuro.

 

 

 

Giovanna Pancheri, Corrispondente USA di Sky TG 24

–          A proposito di impiego è di questi giorni la decisione sulle nuove assunzioni nella PA,  di cui una buona parte sarà assunta per occuparsi di questioni digitali. Come si devono porre i funzionari pubblici attuali che vedranno l’ingresso di persone esterne, seppure per periodi limitati (si parla di cinque anni per sviluppare il PNRR),  con competenze su argomenti che non sono stati in grado di sviluppare in proprio?

 

 

 

Vittorio Colao, Ministro per la Transizione Digitale

–           Noi abbiamo un dovere verso i dipendenti pubblici: dobbiamo investire di più anche in termini di “up skilling”, non so come si dice in italiano. Aggiornamento delle competenze di chi c’è. In questo modo, mettendo insieme la competenza tecnica degli uni e la conoscenza del quadro normativo degli altri, questi potranno essere cinque anni virtuosi.  Le Università ci devono aiutare per aumentare la formazione di chi c’è, con metodi che potranno essere anche a distanza. Su questo Michele Polo potrebbe avere delle idee.

 

 

 

Michele Polo, professore di Economia Politica della Bocconi

–           Avere delle idee è forse chiedere troppo, ma guardare alcune esperienze dove ad una struttura complessa è richiesto un salto di qualità.  Ci sono delle cose che possiamo imparare da questi esempi. L’importanza di comunicare una missione condivisa che è spesso cosa lontana da quello che si fa nella PA italiana. Sarebbe invece necessario condividere quanto sia importante la transizione digitale del Paese per dare una svolta al Paese stesso. Non sono cose che si fanno gratis. Stiamo chiedendo uno sforzo di apprendimento (per esempio di modifica di routine di lavoro) ad ambienti che sono storicamente statici. Un punto molto importante del PNRR: è la descrizione della interoperabilità delle informazione nella PA.  Non è solo un problema tecnico di interoperabilità, ma ha a che fare con la ristrutturazione dei reparti che potrebbero avere “resistenza” in tal senso. Quel tipo  resistenza “normale”,  per chi – detenendo il potere attraverso la conoscenza e le informazioni – ha paura di perdere quel potere (perché non sarebbero più gli unici custodi dei dati). Su questo aspetto nel PNRR si  fa bene a prospettare il concetto di interoperabilità.  Sarebbe stato utile avere qui con noi anche il ministro Brunetta perché tante cose dovranno essere (dovrebbero essere) necessariamente portate nei nuovi contratti del settore pubblico.

 

 

 

Vittorio Colao, Ministro per la Transizione Digitale

–           Forse siamo stati un po’ leggeri nel descrivere sul PNRR quanto abbiamo realmente intenzione di fare sulla formazione e sul cambiamento culturale della PA.  Ha ragione professore. Renato Brunetta su questo punto è  convinto al 100%  che questa sia una grande opportunità per la PA e per il Paese. La piattaforma di interoperabilità è un fatto tecnico e verrà, ma l’aspetto fondamentale è quello culturale.

 

 

 

Nel lasciarVi, per il momento, e nel preannunciarVi che  la seconda parte del panel e del nostro articolo sui temi di tale panel,  arriverà la prossima settimana. Vorremmo cogliere l’occasione, proprio sull’ultima – per ora – risposta del Ministro Colao,  per sottolineare un paio di punti. Ad esempio ci preoccupa, abbastanza, una dichiarazione come quella del Ministro rispetto il concetto di interoperabilità e cultura. Nel senso che è proprio la mancanza di cultura che porta a non comprendere quanto sia centrale un concetto come quello di interoperabilità e non il contrario. E definire “piattaforma di interoperabilità” un fatto tecnico distinguendolo proprio dagli aspetti del cambio di passo culturale rispetto alla digitalizzazione del Paese, ci sembra, quanto meno, una scelta poco felice. Se poi, tornando indietro nei contenuti testè sbobinati, volessimo per un secondo concentrarci sulla questione 5g e Banda Ultra Larga,  chiameremmo in nostro aiuto un estratto da un testo ufficiale redatto proprio dal Ministro Colao,  e divulgato poco meno di un anno fa,  in cui a proposito di “interesse dei cittadini”, e di BUL, si leggeva testualmente:

 

 

…mi preme sottolineare un dato su tutti, e cioè che, ad oggi, la copertura FTTH raggiunge poco meno del 34% delle famiglie italiane. Il problema però non riguarda solo l’infrastrutturazione, ma anche il tasso di adozione dei servizi dati di accesso ad Internet: nel 2020 risultano esserci 10 milioni di famiglie italiane (il 39% del totale) che non hanno attivato offerte di accesso ad Internet su rete fissa e oltre 5,5 milioni di famiglie (il 21% del totale) che usufruiscono di servizi Internet su rete fissa ma con velocità inferiore ai 30 Mbps. In totale, circa 16 milioni di famiglie (il 60% del totale) che non usufruiscono di servizi Internet su rete fissa o non hanno una connessione fissa a banda ultra larga.

 

Per velocizzare la copertura con reti a banda ultra larga di tutto il territorio, va quindi rivisto il modello seguito fino ad oggi, ponendosi l’obiettivo concreto di connettere tutti entro il 2026 con connessioni ad altissima velocità lasciando agli operatori la libertà di scegliere la migliore tecnologia.

 

 

./. continua