Il futuro presente passato

Partendo dal nostro  “solito” titolo “creativo”,  proviamo oggi a ragionare di tempo e di rete e di contenuti “immanenti” e “permanenti” nel nostro “immanente e permanente” presente/passato/futuro digitale. Prendiamo a prestito,  per introdurre, meglio,  le nostre riflessioni,  un recente post di Dan Gilmour, illustre e informato professore di giornalismo e media literacy, nonchè giornalista e blogger lui medesimo, nonchè studioso ed esperto di media digitali (da epoche e tempi non sospetti),  teorizzatore fra l’altro –  e fra i primi al mondo – dell’importanza strategica del “giornalismo dal basso”, detto anche “partecipativo”, detto anche “citizen journalism”, per comprendere la rivoluzione digitale, oggi diventata per scelta “governativa”, in Italia: traslazione digitale, vedi cospicui fondi minesteriali acclusi, e vedi pure nascita e crescita di ministero competente (???), creato alla bisogna. Battute a parte, il professor Gilmour in un post sul suo blog ragiona – provando ad aggiornare un suo libro del lontano 2009 – sull’immanenza e sulla permanenza dei testi o, ancora meglio, dei nostri comportamenti – in generale – scritti, fotografati, ripresi e pure “memerizzati”, ammesso che il termine usato da noi  sia possibile e sopratutto sia comprensibile – speriamo. Panta rei dicevano gli antichi, ma questo non è più vero nel nostro mondo digitale. Non è più vero nel nostro mondo online che “tutto scorre”, passa e va. Tutto scorre certo, e anche in modo più rapido e incessante che “pria”. Ma anche, tutto rimane. Sempre e per sempre. In un mondo come il nostro.  Un mondo 24/7 come spiega assai bene Jonathan Crary nel suo libro. Un mondo che non dorme mai e che – anche quando dorme – ha sempre accesi i propri cani da guardia “artificiali” – che non sono giornali e giornalisti, ahimè – ma i server delle meta nazioni digitali, che annotano e archiviano le azioni di ciascuno di noi in un presente/passato/futuro quotidiano che ci segue/seguirà e precederà durante tutto il tempo della nostra vita “corporale” e anche molto dopo. O meglio dire: “oltre”?

 

 

Il nostro tempo digitale va oltre, già. E le nostre azioni vanno di conseguenza considerate in uno spazio/tempo ben diverso dal presente, o passato e anche futuro,  che siamo stati abituati a considerare o anche a studiare a scuola,  sin dalla più tenera età.  Quando parliamo di consapevolezza digitale, quando ragioniamo di arretratezza culturale sul fronte della conoscenza del digitale,  non ci riferiamo – oramai dovrebbe essere chiaro –  ai tecnicismi e alla capacità di usare strumenti e oggetti tecnologici. Non ci riferiamo nemmeno alla conoscenza dei codici e alla capacità di sapere programmare. Al cosiddetto “coding”, che invece è una pratica che, come insegnamento, sta prendendo piede in modo sempre più diffuso anche nel sistema scolastico del BelPaese a partire dalle scuole dell’infanzia e asili e dalle scuole elementari. L’arretratezza culturale in ambito digitale attiene – a nostro avviso – alla capacità di ognuno di noi di relazionarsi nel modo corretto rispetto a questo nuovo mondo; un mondo che abitiamo da decenni, nostro malgrado. Un mondo di cui non sappiamo niente, ma PROPRIO NIENTE. E che invece cambia, si aggiorna, si complica, e aumenta la propria “evidente” complessità: attimo per attimo. Come spiega con precisione nel suo post/riflessione Dan Gilmour:

 

 

 

(Questo è un adattamento del mio libro del 2009 Mediactive.)

Il mio amico e collega dell’Arizona State University Tim McGuire ha detto molti anni fa: “Il fatto è che uno stupido errore, commesso  quando avevi 19 anni,  oggi può uccidere il tuo futuro”.

È vero, oggi, comunque, poiché apprendiamo che ciò che facciamo online può spesso essere riscoperto anni dopo. È il caso di Alexi McCammond, che è stato nominato editore di Teen Vogue e poi detronizzato dopo che sono stati scoperti alcuni suoi tweet anti-asiatici postati più di  dieci anni fa.

 

 

 

Una goccia. Una piccola goccia questa ricordata da Gilmour, nel mare magnum della nostra ignoranza digitale. Ma una goccia che ci può creare problemi per tutta la vita e anche oltre.  Un errore di gioventù –  si sarebbe detto in un tempo, neanche troppo lontano, dal nostro – che condiziona e condizionerà per sempre (e anche oltre) la nostra esistenza. E giù fiumi d’inchiostro, digitale o analogico che sia, sul “diritto all’oblio”, e similari. E poi sull’invadenza dei media. Sulla persistenza dei dati. Sulla sorveglianza e il “capitalismo della sorveglianza”. Sul grande fratello e/o “l’orecchio satellitare”. Su controllati e controllori e sulla necessità di pensare, scrivere, votare e mettere a sistema nuove leggi, norme e regole per garantire queste nuove – vecchie – persone,  ora divenute, anche, (ma non glielo dite per favore) cittadini digitali.

 

 

 

Già oggi un’automobile contiene decine di computer che ne controllano ogni aspetto. Ma un conto è produrre i software che controllano i tergicristalli, un conto è programmare nuove funzionalità, Tesla fa così, aggiornando il software in maniera simile a come si aggiorna lo smartphone. E un conto, infine, è considerare l’automobile come la più avanzata piattaforma di raccolta dati che esista su piazza. Non diversamente dal telefono, la macchina conosce molto di Voi, della Vostra famiglia, dei Vostri figli, delle Vostre abitudini, degli itinerari e degli interessi, della musica che ascoltate. Per le aziende tecnologiche si tratta solo di trovare una sintesi di hardware e software, più evoluta di quella attuale, che sia in grado di recuperare dati dalle molteplici attività che fate in macchina, non solo spostarVi ovviamente, e poi processare il tutto e quindi renderlo economicamente profittevole. 

(estratto da un post di Nicola Zamperini intitolato Piattaforme pubblicato sul canale Telegram Disobbedienze)

 

 

 

 

Perché è lì, o meglio qui, che “casca l’asino”Apuleio, crediamo, avrebbe apprezzato. Ed invece ci sembra che il tempo non scorra nello stesso modo per tutti. Si dicono e si scrivono cose spesso simili per non dire uguali a se stesse da anni, ma non si vedono risultati. Anzi meglio. I risultati arrivano ma vanno in direzioni tutt’altro che dirimenti e risolutive. I tentativi di chiarire e risolvere il problema, sigh, vanno proprio nelle direzioni opposte e per niente utili a fare chiarezza. Ci si riempie la testa e anche la pancia di chiacchiere molto nobili su questioni che sembrano oramai acclarate –  come appunto la consapevolezza e la cultura e la formazione in ambito digitale –  per poi approdare a … ditelo Voi dove, perché quello che vediamo da qui è davvero sconcertante. Provate, ad esempio,  a prenderVi un mesetto di ferie e studiateVi, come abbiamo fatto noi, il prestigioso e quanto mai nominato e citato (perlopiù a sproposito) PNRR (una spigolatura nel merito: ma lo sapete che la parola resilienza viene citata e usata più di cento volte nel fantomatico documento?), e andate a individuare cosa è previsto, per davvero, nel PNRR, per colmare questo profondo gap – culturale, formativo, e di conoscenza – con il nostro presente digitale. Resterete parecchio delusi, a nostro avvio. Un sacco di chiacchiere ma niente di nuovo sotto il sole “giaguaro”.

 

 

 

“Non mangi?” mi chiese Olivia che sembrava concentrata solo nel gustare il suo piatto ed era invece come al solito attentissima, mentre io ero rimasto assorto guardandola. Era la sensazione dei suoi denti nella mia carne che stavo immaginando, e sentivo la sua lingua sollevarmi contro la volta del palato, avvolgermi di saliva, poi spingermi sotto la punta dei canini. Ero seduto lì davanti a lei ma nello stesso tempo mi pareva che una parte di me, o tutto me stesso, fossi contenuto nella sua bocca, stritolato, dilaniato fibra a fibra. Situazione non completamente passiva in quanto mentre venivo masticato da lei sentivo anche che agivo su di lei, le trasmettevo sensazioni che si propagavano dalle papille della bocca per tutto il suo corpo, che ogni sua vibrazione ero io a provocarla: era un rapporto reciproco e completo che ci coinvolgeva e travolgeva. Mi ricomposi; ci ricomponemmo. Gustammo con attenzione l’insalata di tenere foglie di fico d’India bollite (ensalada de nopalitos) condita con aglio, coriandolo, peperoncino, olio e aceto; poi il roseo e cremoso dolce di maguey (varietà di agave), il tutto accompagnato da una caraffa di tequila con sangrita e seguito da caffè con cannella.

(Sapore sapere Italo Calvino)

 

 

 

 

Ahimè. Dove abbiamo sbagliato? Non noi qui a bottega. Ma noi tutti, corpo sociale.  Forse nel non esercitare il nostro diritto costituzionale di eleggere i nostri rappresentanti legittimi da “forse” troppi anni? Chissà. Eh vabbè ma c’è stata la pandemia? Già. Però forse avremmo potuto insistere un tantino di più?  …  Noi la buttiamo lì. Voi fateci un pensierino. Poi ne parliamo insieme se Vi va.  Ma non divaghiamo. E  prendiamo in prestito un altro passaggio del post del professor Gilmour:

 

 

 

Nel 2009, l’allora presidente Obama disse agli alunni della nona elementare in una scuola della Virginia: “Voglio che tutti qui stiano attenti a ciò che pubblicano su Facebook, perché nell’era di YouTube, qualunque cosa tu faccia, verrà ripresa più tardi da qualche parte nella tua vita. E quando sei giovane, commetti errori e fai cose stupide. E ho sentito molto parlare di giovani che – sai, stanno postando cose su Facebook, e poi all’improvviso fanno domanda per un lavoro e qualcuno ha fatto una ricerca e – quindi questo è un consiglio politico pratico per te.” I giovani commettono errori e fanno cose stupide. Così fanno le persone anziane, ovviamente. Fortunatamente per me e per la maggior parte dei miei amici, le stupidaggini giovanili della mia generazione sono per lo più perse nella notte dei tempi, non conservate da qualche parte nel cloud digitale.

 

 

Si tratta di dare alle persone quello che la mia amica Esther Dyson, una imprenditrice delle nuove tecnologie con una visione del futuro che condivido, ha chiamato uno “statuto di limitazioni alla stupidità”. Se le nostre norme non si piegano in modo che tutti noi possiamo iniziare a ritagliarci l’un l’altro uno spazio di credibilità e sostenibilità in questa società sempre più trasparente, promuoveremo solo i droni, le persone meno fantasiose e ottuse, in posizioni di autorità. Questa cosa è davvero spaventosa. Spero che faremo più progressi su questo di quelli che stiamo mostrando al momento. Ricordiamo che era impossibile per un cattolico essere presidente in America  fino all’elezione di John F. Kennedy. Era impossibile per una persona divorziata essere eletta fino alla vittoria di Ronald Reagan. Era impossibile per un ex fumatore d’erba essere presidente finché Bill Clinton non è stato eletto. (Biden sta stupidamente tornando indietro su questo con il licenziamento di dipendenti che ammettono di aver usato erba.) George W. Bush ha riconosciuto di essere stato un ubriacone dissoluto fino all’età di 40 anni. E così via.

 

 

Nel prossimo futuro eleggeremo un presidente che ha twittato regolarmente, o aveva un blog o una pagina Facebook o Instagram quando era un’adolescente. Per gli standard odierni, una persona del genere sarebbe completamente squalificata per qualsiasi lavoro politico serio. Ma se ci adattiamo come credo che dovremo fare, saremo cresciuti come società; saremo diventati non solo più tolleranti nei confronti dei difetti, ma anche più consapevoli del fatto che tutti abbiamo i piedi di argilla in un certo senso. La eleggeremo comunque, perché ci renderemo conto che ciò che conta è la persona che è diventata, e come è successo.

 

 

 

 

 

Gilmour affronta un singolo problema, per quanto gigantesco, e lo spiega con grande semplicità e concretezza.  Diamoci una possibilità, dice, cresciamo, come società, aggiunge. Prendiamo atto  di quello che siamo diventati e di come l’universo senza tempo del nostro “eterno presente digitale”, condiziona e condizionerà per sempre le nostre esistenze, e comportiamoci di conseguenza. Ne trarremo sicuramente grande giovamento – aggiungiamo noi –   e ci avvicineremo in modo concreto e tangibile alla comprensione delle reali dinamiche della nostra odierna società,  che si esplicitano e vivono,  dentro strumenti e soprattutto comportamenti,  nuovi e diversi che stanno forzatamente dentro “internet” e i gironi in cui l’online viene diviso,  o meglio,  è stato diviso da qualcun altro.  E già, perché c’è anche quella parte, che oggi abbiamo volutamente tralasciato.  Un altro bel problema del nostro presente/passato/futuro digitale/on-off line su cui tornare presto a riflettere. Intanto grazie per l’attenzione e alla prossima ;)