La libera circolazione delle informazioni non è garantita

La libera circolazione delle informazioni non è garantita, soprattutto online, sul web, in rete, dove invece, pare, stiano riponendo tutte le speranze  le attuali forze di governo del nostro Paese che intendono sbarazzarsi in pochi semplici passaggi delle istituzioni che sovraintendono all’attività del comparto e dei finanziamenti pubblici che sostengono il medesimo comparto. Niente di male, intendiamoci, a voler metter mano ad un necessario riassetto del settore. Ma esercitare una opzione politica sulla libertà di espressione e informazione delle persone non crediamo possa essere in nessun modo la scelta corretta.  La rete non è libera, purtroppo, e non ci riferiamo alle ultime riforme della privacy europea recentemente entrate in vigore con l’applicazione del GDPR, e nemmeno alla recente approvazione delle nuove norme europee sul Copyright. Certo l’applicazione del  GDPR come chiunque può facilmente constatare di persona, ha portato all’oscuramento volontario di una serie di siti che hanno pensato bene di non adeguarsi alla normativa per mancanza di interesse verso un mercato, quello europeo, dove evidentemente non ritengono di poter fare “affari”. Certo se e quando dovesse essere reso operativo il decreto europeo sul Copyright scatteranno limitazioni molto evidenti proprio sulla libera circolazione delle informazioni su internet, come ci ha ben spiegato a #digitTorino lo scorso 5 ottobre il “matematto” Mauro Codogno. Ma ci sono problematiche ancora più stringenti e già ampiamente rilevate e segnalate che limitano la libera diffusione delle informazioni in rete. Una questione la segnala benissimo Michele Mezza nel suo ultimo libro Algoritmi di libertà e  riguarda gli instant articles di Facebok. Ovvero la scomparsa della cronologia – l’elemento temporale – dagli articoli dei giornali  pubblicati  direttamente dentro il social dagli editori che hanno aderito a questa opportunità offerta loro dal social di Menlo Park.  Capite bene che l’aver soppresso la dimensione temporale dalla pubblicazione delle notizie limita in modo pesantissimo la capacità di formarsi un’opinione liberamente. Un’altra grave limitazione arriva della cosiddetta questione della “permanenza” online delle notizie. Questione tutt’altro che risolta e che ha già portato a molteplici pronunciamenti in sede giuridica in diversi paesi europei. Una questione su cui dall’Italia arriva anche uno strumento operativo giornalisticamente molto evoluto creato ad hoc dal “nostro” Mario Tedeschini Lalli  insieme a Nicolas Kayser-Bril, che si chiama:  Offshore Journalism Toolkit.  Altre pesanti problematiche che limitano in modo massiccio la diffusione delle informazioni vengono segnalate ad esempio nella relazione di fine anno dal Garante della privacy:

 

“Il web di cui facciamo esperienza non è, dunque, la rete, ma soltanto la sua parte selezionata da algoritmi che, analizzando le nostre attività e preferenze, ci espongono a contenuti il più possibile affini ad esse, per esigenze di massimizzazione dei ricavi da parte dei gestori, legate al tempo di permanenza e al traffico online.

Siamo dunque soggetti – più di quanto ne siamo consapevoli – a una sorveglianza digitale, in gran parte occulta, prevalentemente a fini commerciali e destinata, fatalmente, ad espandersi anche su altri piani, con effetti dirompenti sotto il profilo sociale.

 

 

Le possibili implicazioni, sul piano sociale, sono tutt’altro che marginali. Gli algoritmi non sono neutri sillogismi di calcolo, ma opinioni umane strutturate in forma matematica che, come tali, riflettono, in misura più o meno rilevante, le precomprensioni di chi li progetta, rischiando di volgere la discriminazione algoritmica in discriminazione sociale”

 

 

A rimarcare questa evidenza troviamo anche Angelo  Marcello Cardani, Presidente dell’Autorità Garante delle Comunicazioni, nella sua relazione di fine anno presentata sempre nel luglio scorso:

 

 

” il grado di neutralità e di trasparenza degli algoritmi, sia con riferimento alle operazioni di gerarchizzazione e di indicizzazione delle news, sia con riguardo al potere di indurre i cittadini a determinati comportamenti (acquisti, stili di vita, opinioni). Posto che gli algoritmi non saranno mai neutrali, l’attenzione va concentrata sul tema della trasparenza, si tratti dei meccanismi che presiedono alla formazione dei suggerimenti, piuttosto che dei margini di errore che il calcolo probabilistico determina.

 

 

Infine, grande rilievo sotto il profilo politico e sociale, che chiama in causa il Legislatore attorno ad un dilemma strategico: se l’immensa galassia Big Data debba restare tutta proprietaria, in nome del diritto dell’impresa e del segreto industriale; ovvero se esista una porzione più o meno rilevante di questi dati che possano essere resi trasparenti e liberamente accessibili sul presupposto della loro natura di bene pubblico “ .

 

 

Con questi dati acclarati a farci da sfondo mettere mano a cuor leggero ad uno dei fondamenti della nostra democrazia come la libertà di espressione non è impresa facile ne consigliata. Ma ricordiamo  a questo proposito cosa dice l’articolo 21 della nostra Costituzione:

 

 

” Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione.

La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure.

Si può procedere a sequestro soltanto per atto motivato dell’autorità giudiziaria [cfr. art.111 c.1] nel caso di delitti, per i quali la legge sulla stampa espressamente lo autorizzi, o nel caso di violazione delle norme che la legge stessa prescriva per l’indicazione dei responsabili.

In tali casi, quando vi sia assoluta urgenza e non sia possibile il tempestivo intervento dell’autorità giudiziaria, il sequestro della stampa periodica può essere eseguito da ufficiali di polizia giudiziaria, che devono immediatamente, e non mai oltre ventiquattro ore, fare denunzia all’autorità giudiziaria. Se questa non lo convalida nelle ventiquattro ore successive, il sequestro s’intende revocato e privo d’ogni effetto.

La legge può stabilire, con norme di carattere generale, che siano resi noti i mezzi di finanziamento della stampa periodica.

Sono vietate le pubblicazioni a stampa, gli spettacoli e tutte le altre manifestazioni contrarie al buon costume. La legge stabilisce provvedimenti adeguati a prevenire e a reprimere le violazioni “.

 

 

Questo è lo scenario,  a cui vorremmo aggiungere una comunicazione che ci arriva direttamente dal Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti italiani e che detta le linee guida per una urgente e necessaria riforma dell’Odg:

 

” Linee guida per la riforma dell’Ordine dei giornalisti

 

Premessa

 

Informazione realizzata da bot (robot, macchine), abolizione della cronologia (praticamente abolizione di una delle cinque W), notizie in evidenza e con migliaia di contatti soltanto se si usano determinate parole. Sono alcuni esempi di ciò che l’Ordine, ma tutto il giornalismo, ha davanti o meglio l’universo dentro al quale siamo immersi. Un universo in continua e incessante progressione nel quale la combinazione di saperi e competenze sta rimodulando continuamente i processi tecnologici che mirano ad automatizzare e personalizzare ogni offerta informativa.

E allora è per questo che l’Ordine del giornalismo (d’ora in avanti lo chiameremo così) deve accettare la sfida, in nome prima ancora che di se stesso, del diritto dei cittadini di essere informati correttamente e in piena libertà.

Pensiamo a un Ordine che non sia né una casta privilegiata né tantomeno una banca di diritti degli iscritti, ma un grande motore di saperi e competenze. Un centro di elaborazione e formazione permanente di culture professionali e digitali. Un protagonista a tutto tondo, così come i grandi service provider, di un dibattito e di un lavoro che deve mutare tutto a cominciare da noi stessi. Un dibattito che ci deve vedere impegnati su temi fondanti quali: consapevolezza, criticità, autonomia, sovranità, pluralismo, democrazia, decisione. Ma soprattutto etica che per noi significa deontologia professionale. Etica nei processi tecnologici significa rendere trasparente e negoziabile ogni fase dei processi automatici in atto; significa aprire le scatole nere, intervenire, correggere, riprogrammare e integrare i sistemi che inevitabilmente stanno condizionando e orientando le nostre azioni, i nostri comportamenti fino alla nostra psiche.

Convinti della indispensabilità della Rete (che nasce come istanza di libertà), proprio per questo riteniamo che la circolarità e la condivisione debba riguardare tutto: contenuti, notizie, video, immagini, ma anche e soprattutto algoritmi e piattaforme.

E allora è giornalista oggi chi svela e dichiara se un contenuto è prodotto da essere umano o realizzato da una macchina. È giornalista oggi chi ripristina la W del quando, della trasparenza dei tempi e delle responsabilità nella distribuzione delle informazioni. E’ giornalista oggi chi rivendica le parole giuste da usare indipendentemente dal diktat delle parole chiave ammiccanti e allusive imposte dal contatore dei contatti dei provider.

Conseguenza di tutto ciò è che non vogliamo subire tali processi, non vogliamo essere osservatori o puri notai di un progresso realizzato e imposto da altri.

Vogliamo creare un istituto di alta formazione di etica dei sistemi dell’informazione (con l’aiuto di università e scienziati) per realizzare un vero “motore di ricerca” che raccolga e metta a sistema, in Rete, il nostro sapere e il nostro lavoro quotidiano, ripartendo dal nostro quadro etico e dalle nostre regole di deontologia, che caratterizzano la professione giornalistica, cioè quella attività intellettuale, che utilizzando il mezzo di diffusione scritto, verbale, visivo o digitale, è diretta alla raccolta, al commento o all’elaborazione delle notizie finalizzate a formare oggetto di informazione.

Il giornalista è, infatti, il mediatore intellettuale tra fatto e sua diffusione e a lui spetta il compito, percepita la notizia, di valutarne rilevanza e fondatezza, verificando le fonti.

La continuità e la periodicità del servizio, l’attualità delle notizie e la tempestività dell’informazione: questi gli elementi qualificanti del giornalismo rispetto alle altre professioni intellettuali.

Per realizzare questo alto scopo a salvaguardia del diritto all’informazione del cittadino è indispensabile l’azione di un ente di diritto pubblico, come l’Ordine del giornalismo. Affidare, infatti, le funzioni assolte dall’Ordine – prima fra tutte quella relativa all’accesso e quella relativa alla vigilanza disciplinare su una categoria la cui azione è in se stessa pubblica – ad associazioni private, significherebbe di fatto svincolare una professione, oggi più che mai “libera”, dalle garanzie che l’operato di una Pubblica Amministrazione assicura (su tutte la trasparenza dell’azione amministrativa).

 

Accesso alla professione

 

Per esercitare l’attività professionale giornalistica è obbligatoria l’iscrizione all’Ordine del giornalismo, che ha il compito di assicurare la tutela dell’esercizio della professione e il rispetto dei principi deontologici nell’intento di garantire ai cittadini una informazione corretta.

All’Albo del giornalismo professionale si accede superando un esame di idoneità professionale, al termine di un percorso formativo costituito da:

 

  1. Una laurea magistrale in giornalismo se istituita dai soggetti proposti (Miur/Università)
  2. Una laurea di primo livello conseguita nell’ambito dei Paesi dell’Unione europea in una qualsiasi disciplina, seguita da una successiva pratica giornalistica da svolgersi all’interno di un corso universitario annuale da attuarsi attraverso forme di controllo e vigilanza da parte dell’Ordine del giornalismo;
  3. Una laurea di primo livello conseguita nell’ambito dei Paesi dell’Unione europea seguita da piani di formazione misti di studio e lavoro, della durata di almeno due anni, sulla base di un progetto che dovrà essere preventivamente approvato dal Consiglio nazionale dell’Ordine;
  4. Master di giornalismo post laurea già riconosciuto dall’Ordine.

 

Disciplina transitoria per l’accesso al professionismo

 

Resta ferma la possibilità di accesso all’esame di idoneità per chi ha svolto o sta svolgendo, al momento dell’entrata in vigore della riforma, il periodo di praticantato previsto dalla vecchia normativa.

Fino a quando i nuovi percorsi dell’accesso all’Albo professionale non saranno concretamente praticabili si potrà altresì chiedere l’iscrizione all’Elenco Pubblicisti.

Accesso all’elenco dei pubblicisti

Per avviare la procedura biennale di accesso all’elenco dei pubblicisti occorrerà presentare domanda al Consiglio dell’Ordine regionale di competenza.

L’art. 35 della legge (modalità d’iscrizione nell’elenco dei pubblicisti) potrebbe essere così riscritto:

Per l’iscrizione all’elenco dei pubblicisti sono necessari il diploma di scuola media superiore e lo svolgimento di attività giornalistica retribuita per un biennio il cui inizio coincide con la presentazione di apposita domanda corredata, oltre che dai documenti di cui ai numeri 1), 2) e 4) del primo comma dell’art. 31, anche da almeno una certificazione del direttore responsabile di una pubblicazione periodica comunque diffusa attestante l’avvio dell’attività. Obbligatoria anche l’iscrizione ad un ente previdenziale.

Nel corso del biennio l’aspirante produce ogni sei mesi all’Ordine di appartenenza la documentazione contabile dei pagamenti ricevuti ed il riscontro dei corsi di formazione organizzati dall’Ordine in materia di deontologia professionale.

Al termine del biennio l’aspirante pubblicista sostiene presso il Consiglio dell’Ordine regionale di appartenenza un colloquio riguardante in genere l’ordinamento della professione e in particolare la deontologia professionale, sostenuto il quale l’aspirante è iscritto nell’elenco pubblicisti. Se detto colloquio risulta insoddisfacente non può essere ripetuto prima di tre mesi.

Il Cnog avrà il compito di valutare, quando saranno concretamente divenuti praticabili i nuovi percorsi per l’accesso all’albo professionale dell’Ordine del giornalismo, di proseguire o no con le iscrizioni all’Elenco pubblicisti. In caso di opzione per l’Albo Unico:

 

  1. Entro tre mesi dalla deliberazione del Cnog saranno trasferiti direttamente nel nuovo Albo del giornalismo professionale tutti gli iscritti nell’elenco dei professionisti.
  2. Potranno accedere all’esame di idoneità i giornalisti pubblicisti che abbiano seguito un corso di formazione specifico di sei mesi che l’Ordine predisporrà, almeno una volta all’anno, di intesa con il Miur e le Università.
  3. La richiesta di passaggio all’Albo del giornalismo professionale dovrà essere fatta entro cinque anni dalla delibera del Cnog.

 

Contenuto dell’Albo del giornalismo professionale

 

L’Albo deve contenere il cognome, il nome, la data di nascita, l’indirizzo PEC, nonché la data di iscrizione e il titolo in base al quale è avvenuta. Alla luce delle nuove regole sulla privacy e delle esigenze manifestate negli dagli iscritti, rendere obbligatorio il dato della residenza e l’indirizzo degli iscritti sembra ormai poco opportuno e superabile. Pertanto si propone di raccogliere il dato su residenza e indirizzo ma non pubblicarlo sull’Albo.

 

Nuove regole sugli esami di idoneità

 

Le nuove modalità di accesso impongono anche di riconsiderare modalità e contenuti dell’esame di Stato, a cominciare dall’aggiornamento del programma d’esame e dalla possibile creazione di un Albo (ad uso interno dell’Ordine) di giornalisti abilitati a far parte delle commissioni di esame, selezionati in base a competenze relative alle nuove caratteristiche ed ai nuovi strumenti dell’informazione.

 

Superamento del carattere dell’esclusività professionale

 

Gli iscritti all’Ordine del giornalismo “esercitano in modo prevalente la professione di giornalisti”. Si ritiene necessario, alla luce dei tempi, demandare al rapporto negoziale privato la previsione dell’esclusività professionale e consentire, pertanto, agli iscritti la possibilità di svolgere attività diverse da quella informativa purché non si verifichi un conflitto di interesse con la professione giornalistica e quest’ultima rimanga prevalente. Sul punto, il Cnog valuterà gli opportuni adeguamenti al Testo Unico dei doveri del giornalista con l’introduzione di una puntuale fattispecie a riguardo.

 

Composizione del Consiglio nazionale

 

Per quanto riguarda la composizione del Consiglio nazionale, per garantire la rappresentanza a livello nazionale dei pubblicisti appartenenti a tutti i 20 Ordini regionali occorre intervenire sulle modifiche apportate dal decreto legislativo 15 maggio 2017 n. 67 all’art, 16 della legge 3 febbraio 1963 n. 69.

In particolare l’art 1 comma 2 del predetto decreto di modifica andrebbe così riscritto:

“Il Consiglio nazionale è composto da 60 membri di cui due terzi professionisti ed un terzo pubblicisti, eletti dagli iscritti agli Ordini regionali e in aggiunta da altri due membri, uno per ciascuna categoria, rappresentanti le minoranze linguistiche riconosciute. I candidati al Consiglio nazionale devono essere titolari di una posizione previdenziale o devono godere di trattamento pensionistico presso l’istituto di previdenza dei giornalisti italiani (INPGI) “.

In sostanza con la modifica del secondo comma si passa ad una composizione di 62 membri e si aggiunge la possibilità che possano candidarsi anche i giornalisti pensionati, indipendentemente dalla posizione attiva all’INPGI.

L’approvazione di queste modifiche comporterebbe la contemporanea modifica del comma 4 punto 1 dell’art. 1 e dell’intero articolo 2 del decreto legislativo 2017, entrambi riguardanti le modalità di esclusione del pubblicista della regione col minor numero di votanti e che doveva far posto al rappresentante delle minoranze linguistiche “.

 

 

Un documento, questo ultimo dell’Ordine dei giornalisti, che indubbiamente aggiunge informazioni importanti alla  disamina  che abbiamo provato a fare in precedenza. Una disamina a cui per concludere vorremmo aggiungere per completezza un paio di punti su cui stiamo lavorando attivamente noi stessi da tempo e che oramai dovreste conoscere anche Voi:

  1. Il giornalista per adesione
  2. Il modello sociale per l’editoria