Giornalista per adesione

Nella prima edizione fuori porta del nostro festival dedicato al giornalismo digitale: #digitRoma, fra le varie cose di cui abbiamo discusso, ci sono stati anche un paio di momenti che ci siamo auto dedicati. Non per megalomania, credeteci, ma perchè ci siamo resi conto negli ultimi mesi che la nostra professione necessita urgentemente di aiuto concreto. Il momento è assai delicato e oltre agli studi e alle previsioni c’è bisogno al più presto di fornire soluzioni alla crisi. C’è bisogno, a nostro avviso, di uscire dalle statistiche e dai calcoli, per provare ad affrontare di petto i problemi della categoria, finchè è possibile, ed esistono ancora alternative plausibili da proporre. 

 

Noi qui a bottega dal 2009 facciamo questa ricerca sullo stato della professione che fotografa l’andamento del giornalismo in Italia. I dati che emergono, come sapete, sono gravi, e non tendono a migliorare. Continua a scendere il numero dei contrattualizzati e continua a crescere il numero dei free lance leggi anche: precari del giornalismo. Sono circa 16.000 i contrattualizzati. Evidentemente un dato del genere significa che il settore così come è attualmente organizzato non può sopravvivere a se stesso perché i versamenti dei contrattualizzati sono troppo esigui per sostenere tutto il  comparto. Dunque si deve cambiare. Come? Raffaele Fiengo  storico giornalista del Corriere della Sera e uno dei fondatori di Lsdi,  ha messo a punto una proposta che prova a risolvere il problema allargarndo la base degli  “aventi diritto” a svolgere il mestiere del giornalista, compatibilmente  con l’ordinamento in vigore.

 

 

La proposta elaborata da Raffaele si chiama:  “giornalista per adesione” (con sottoscrizione volontaria delle carte deontologiche). E viene dal passato, da un tempo molto lontano e dalla Sicilia.

 

 

 

Danilo Dolci nel 1956 all’alba del 2 febbraio se ne andò con 150 edili disoccupati a rifare una strada fuori da Partinico, in provincia di Palermo,  che era interrotta. La sua riflessione era quella di  applicare l’articolo 4 della costituzione che recita:

 

 

“La repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto. Ogni cittadino ha il dovere di svolgere secondo le proprie possibilità e la propria scelta, una attività o una funzione che concorra al progresso materiale e spirituale della società.”

 

 

Più dovere di questo  – pensava Dolci – verso la comunità di riparare una strada che non si può percorrere? Una strada utile a tutti?  Nel 1956 in Italia c’era il governo Tambroni  e Dolci e alcuni dei lavoratori vennero arrestati poche ore dopo che avevano iniziato a lavorare sulla strada dissestata.

 

 

Per questo episodio Dolci  rimase  2 mesi di prigione.  Per raccontare questa storia italiana  è anche uscito un libro della Sellerio Editore “Processo all’Art.4 ” . L’esempio e le azioni di Dolci sono state difese da illustri contemporanei che hanno partecipato al processo di Partinico, fra questi ricordiamo: Piero Calamandrei, che in difesa di Danilo Dolci e dei disoccupati di Partinico scrisse una bellissima lettera, in cui si legge ad un certo punto:

 

 

“Ci sono a Partinico, oltre ai pescatori, altre migliaia di disoccupati. La Costituzione dice che il lavoro è un diritto e un dovere. Allora, che cosa fanno questi settemila disoccupati: invadono le terre dei ricchi, saccheggiano i negozi alimentari, assaltano i palazzi, si danno alla macchia, diventano banditi?

 

 

No. Decidono di lavorare: di lavorare gratuitamente; di lavorare nell’interesse pubblico.
Nelle vicinanze del paese si trova, abbandonata, una trazzera destinata al passo pubblico; nessuno ci passa più, perché il comune non provvede, come dovrebbe, alla sua manutenzione; è resa impraticabile dalle buche e dal fango. Allora i disoccupati dicono: “Ci metteremo a riparare gratuitamente la trazzera , la nostra trazzera. Ci redimeremo, lavorando da questo avvilimento quotidiano, da questa quotidiana istigazione al delitto che è l’ozio forzato. In grazia del nostro lavoro la strada tornerà ad essere praticabile. I cittadini ci passeranno meglio. Il sindaco ci ringrazierà”. Che cosa è questo? E’ la stessa cosa che avviene quando, dopo una grande nevicata, se il Comune non provvede a far spalare la neve sulle vie pubbliche, i cittadini volenterosi si organizzano in squadre per fare essi, di loro iniziativa, ciò che la pubblica autorità dovrebbe fare e non fa; e la stessa cosa che avviene, e spesso è avvenuta, quando, a causa di uno sciopero degli spazzini pubblici, i cittadini volenterosi si sono messi a rimuovere dalle strade cittadine le immondizie e in questo modo si sono resi benemeriti della salute di tutti”.

Assieme a Calamandrei al processo contro Danilo Dolci parteciparono in sua difesa altri intellettuali dell’epoca come Norberto Bobbio, Elio Vittorini, Lucio LombardoRadice, Carlo Levi, Vittorio Gorresio e Alberto Carocci. Personaggi di valore assoluto.
Da questo illustre precedente Raffaele Fiengo ha tratto spunto per realizzare la sua proposta.  “Ho approfondito la vicenda  – ha spiegato nel suo intervento a #digitRoma Fiengo,  – grazie anche al supporto di mio fratello, Giuseppe Fiengo che ha fatto per anni l’avvocato dello Stato il quale mi ha detto:  certo c’è una piena legittimità giuridica in una cosa del genere, anche se allargata al mondo del giornalismo”.
“Il giornalismo, venendo a noi, il giornalismo a che punto è? In che condizioni sta? Il giornalismo nelle aziende – ha detto ancora nel suo intervento Fiengo – in cui anche secondo il rapporto di Lsdi lavorano ancora giornalisti sotto contratto, da dipendenti,  io dico che è in una situazione ancillare. E’ sicuro che il giornalismo non è primario come attività nelle aziende editoriali. Non sono polemico, questi sono dati di fatto. Il marketing arriva a stabilire nei periodici quali parole devono essere usate nella redazione degli articoli, non nei redazionali per la pubblicità, ma negli articoli del giornale. Quali termini usare perchè siano di riscontro positivo per la vendita della pubblicità o per il gradimento dei clienti della pubblicità. I nuovi canoni  per decidere sulla notiziabilità di un fatto sono oramai  dettati dal marketing. Niente di così peccaminoso, intendiamoci,  però certamente molto diverso da come si faceva prima nello stabilire quali che fossero i criteri giornalistici primari per determinare la notiziabilità di un fatto.
 
Tornando a noi e adattando questo episodio della storia del nostro  alla mia proposta per il giornalismo si potrebbe dire che: chi fa il giornalista nella realtà, queste persone che producono atti di giornalismo ma  non sono iscritti all’Ordine,  – 10-15 mila in Italia, probabilmente molti di più – stanno facendo un lavoro per la comunità, così come gli edili di Danilo Dolci,  e quindi di fatto fanno i giornalisti.
Norme o non norme e fatte salve le regole vigenti, la contrattazione etc.etc.; se l’Ordine e la Federazione della Stampa e tutti gli organismi del comparto giornalistico,  hanno il coraggio di dire noi accogliamo in un elenco speciale i “giornalisti per adesione”; guardate che noi introduciamo un correttivo importante che si rifletterà in modo determinante non solo sulla nostra categoria ma su tutta la società.
E’ un fatto importante che dobbiamo introdurre al più presto, i temi sono maturi, forse è già troppo tardi.
Quando vedo ragazzetti che manifestano in favore del fascismo o esaltano la guerra, ragazzetti di 13 anni che vanno dietro alla svastica,  mi chiedo ma come è potuto avvenire? C’è qualcosa nella comunicazione che non va bene. Il giornalismo deve tornare a  fare la differenza,  deve incidere di più sulla società: nelle aziende editoriali, ma anche fuori, fra la gente, fra le persone, nelle cose della vita”.

 

 

Questa la proposta di Raffaele Fiengo presentata nel corso di #digitRoma lo scorso 2 febbraio alla Federazione Nazionale della Stampa Italiana e che trovate contenuta nel video qui sotto  in calce in cui è contenuto  per intero l’intervento di Fiengo al dibattito.

 

 

In sala quello stesso giorno fra i relatori c’era anche il Presidente dell’Ordine dei Giornalisti Carlo Verna che alla proposta di Fiengo ha così risposto:

“In questa sala che è la sala più importante del giornalismo italiano noi non stiamo parlando di giornalismo ma stiamo parlando di democrazia. Io vengo da una città di mare, amo moltissimo il mare e lo considero in qualche modo una parte fondamentale della mia vita e però il mare ha anche dei rischi. Rischi naturali, rischi umani, dove ad esempio in alcune parti del mondo, è infestato dai pirati. Noi ci stiamo confrontando con enormi risorse di democrazia, che ci sono, ma che sono anche caratterizzate da enormi rischi. Questo è un monito che ho provato a porre anche quando ho partecipato assieme al premier Gentiloni al discorso di fine anno. Dicendo che non siamo consapevoli dei rischi che ci sono per la democrazia in questo momento storico per l’Umanità. Non rientro sulle questioni già così bene affrontate sino ad ora. Io mi devo occupare di aprire percorsi e di guidare macro processi e micro processi. Tanto per capirci sono pronto a far venire un matematico che si occupa di risk management a dialogare con il mio comitato tecnico scientifico per spiegare praticamente che significa algoritmo perché in questa sala siamo molto più avanti rispetto a quella che è la consapevolezza che c’è su queste tematiche nel Paese e nella nostra categoria. Cominciamo dunque dai micro processi. Poi affrontiamo i macro processi. Mi fa piacere che qui ci siano persone che ho incontrato in questi primi mesi del mio mandato. Dopo la mia partecipazione al festival Gloca di VareseNews proprio con Michele Mezza ci eravamo detti che era necessario realizzare al più presto un qualcosa che possa studiare espressamente i processi di modernizzazione. Ed un incontro in tal senso è già stato fatto per metter su a Napoli con Apple, Agcom e l’Università Federico II,  una news academy che si occuperà proprio di questi temi. In questo contesto rispetto alla proposta di Raffaele Fiengo, una delle firme storiche del nostro giornalismo ma anche uno dei più lungimiranti esponenti della nostra categoria non solo in virtù della sua esperienza professionale ma anche sulla base della sua esperienza didattica maturata in questi anni di lavoro all’Università di Padova, non sono impreparato perché con Raffaele ci siamo già confrontati nelle scorse settimane. Proprio dopo un incontro con Raffaele  ho avviato un percorso di riforma e autoriforma della professione in sede di  vertice con i presidenti regionali dei nostri ordini. Ci sono dei margini su cui ragionare. Non sono disposto a farmi due mesi di carcere come Danilo Dolci,  quei fatti accadevano in epoche differenti. Il diritto di cui parla Raffalele può essere però affermato, nella nostra epoca,  semplicemente cominciando a ragionarci sopra. Nella commissione appena nominata e dedicata alla riforma della professione si dovrà discutere di autoriforma e quindi il “giornalismo per adesione”  potrà essere un qualcosa che ci aiuta e ci porta anche a risolvere un altro problema professionale. Non solo quello di tenere dentro la professione negli a attuali criteri che negano l’esercizio abusivo del giornalismo.  Forse il meccanismo di accesso alla professione così come è tuttora previsto è vecchio,  sicuramente con la legge attuale non potrà  essere abolito,  ma  questo non significa che  non potrebbe essere affiancato ad una libera adesione alle carte deontologiche.  Secondo me questo suggerimento è praticabile e quindi si potrebbe cominciare da qui a tracciare un percorso di autoriforma della professione. Dopo che nel prossimo consiglio nazionale avremo l’ok sulla commissione per la riforma,  la questione del “giornalismo per adesione” sarà uno degli argomenti su cui discutere. Anche perché grazie a questo provvedimento potremmo risolvere anche un altro problema quello di verificare se dal punto di vista del giornalismo professionale si possa andare verso un elenco unico dove anche chi non fa a tempo pieno la professione possa convergere però sempre dopo aver fatto un esame. Oggi ci troviamo di fronte alla contraddizione che il pubblicista che non deve fare alcun esame per diventare tale è però sottoposto ad un percorso di formazione professionale continua. Allo stesso tempo non possiamo pretendere la patente professionale per chi svolge piccoli compiti di giornalismo in un ambito strettamente locale e decentrato. Come si inquadreranno in futuro queste persone? Questa proposta di Raffaele Fiengo risolverebbe anche questo tipo di questione. Quindi apertura massima ma soprattutto attenzione a quello che significa l’impatto delle tecnologie sulla democrazia questo è un ruolo che l’Odg intende portare avanti con molta fermezza e  con molta attenzione;  tant’è che ieri con Michele Mezza siamo stati al tavolo sul pluralismo dell’informazione dell’Agcom e abbiamo formulato una serie di questiti proprio basati sul concetto di dati e trasparenza”.

Qui sotto di seguito il video integrale dell’intervento a #digitRoma del Presidente dell’Ordine dei Giornalisti Carlo Verna.