Facebook “tana” tutti

Nonostante lo scandalo Cambridge Analytica il primo trimestre dell’anno in corso porta crescita e fatturati molto positivi per Facebook. La società di Menlo Park il 26 aprile scorso ha diffuso un comunicato stampa trionfale che racconta dettagliatamente lo stato dell’arte. Nello stesso comunicato  Mark Zuckerberg dichiara lapidario: “Nonostante le sfide importanti, nel 2018 la nostra comunità e il nostro business sono partiti con un buon inizio”. E’ anche vero e qualche osservatore lo ha sottolineato a margine  del resoconto trimestrale di Facebook che lo scandalo, essendo scoppiato a metà marzo,  inciderà probabilmente  di più nell’andamento economico del prossimo trimestre dell’azienda americana. Registrata la reazione positiva dei mercati nonostante la batosta della non ancora chiarita “fuga di dati”, quello su cui vorremmo invitarvi a riflettere sono le novità immediatamente introdotte nel contratto con i propri utenti dal colosso “sociale” della silicon valley. Novità, permetteteci, che non migliorano in alcun modo il contratto e la gestione dei “nostri” dati da parte di Facebook, anzi li peggiorano introducendo fra l’altro una cosettina da niente come il “riconoscimento facciale”. Ma vediamo passo passo le modifiche inserite dagli specialisti di Menlo Park e proviamo a porci qualche domanda nel merito:

 

La prima domanda che il social ci pone non è una domanda ma  una constatazione, una sottolineatura ritenuta necessaria in base al tipo di dati che l’utente sta o non sta  già fornendo spontaneamente al social, nel nostro caso i dati richiesti sono già liberamente forniti:

 

 

Poichè hai deciso di aggiungere il tuo orientamento religioso, il tuo orientamento politico o il tuo interesse verso uomini o donne sul tuo profilo Facebook vogliamo che tu sappia che sono dati sottoposti a protezioni speciali ai sensi del diritto comunitario. (1)

 

 

(1) Che significa, a nostro giudizio, sottolineare che esiste una normativa più alta a cui il social si deve attenere, in particolare in Europa la normativa sta cambiando proprio in questo periodo, precisamente il 25 maggio prossimo entrerà in vigore in tutti gli Stati facenti parte dell’Unione Europea la nuova normativa GDPR (General Data Protection Regulation)

 

 

 

Se decidi di mantenere queste informazioni sul tuo profilo, le condivideremo con le persone che desideri e useremo questi dati per personalizzare funzioni e prodotti. (2)

 

 

(2) La nostra idea suffragata dal parere degli esperti  di diritto con cui ci siamo confrontati è che il nuovo approccio normativo contenuto nel GDPR sia più orientato alla protezione dei dati che alla protezione  dell’utente e deleghi direttamente alle aziende la possibilità di valutare l’entità del rischio aumentando la difficoltà dell’utente nelle evenuali contestazioni future. In particolare uno dei professori universitari che abbiamo sentito ci ha detto che la reale efficacia di un regolamento del genere potrà essere davvero testata solo quando ci si troverà di fronte a casi concreti di violazione da parte di qualcuno (le stesse aziende)  e alle successive contestazioni e richieste di tutela espresse dai  singoli utenti. Insomma solo in sede dibattimentale  e solo al termine dei vari  gradi di giudizio,  si potrà valutare se questo nuovo regolamento sia più o meno efficace e in favore di chi.  In un mondo che grazie alla rivoluzione digitale è diventato talmente tanto veloce da essere quasi frenetico, una misura di questo tipo,  anzi – aggiungiamo – tutte le misure di questo tipo, non sono, a nostro avviso, migliorative o peggiorative, sono solo un grande spreco di tempo ed energie. Non che non servano regole, intendiamoci, ma devono arrivare al termine di un percorso di comprensione condivisa della materia e non calate dall’alto o peggio ancora motivate da interessi di una o l’altra parte.

 

 

La seconda questione contenuta nelle nuove norme contrattuali che i vertici di Facebook stanno sottoponendo ai propri utenti in questi giorni riguarda l’incrocio e l’utilizzo da parte del social di dati diversi rispetto a quelli che già ora Facebook  possiede. Dati di cui Facebook stessa ammette di poter venire in possesso da nostre azioni e nostri comportamenti anche offline.

 

 

Ti mostriamo inserzioni migliori usando i dati raccolti da inserzionisti, sviluppatori di app ed editori (1)

 

 

(1) Attenzione perchè la domanda appare quasi retorica nel modo in cui viene presentata ma sottintende un meccanismo tutt’altro che esplicito o scontato sia da parte nostra sia da parte loro. Noi siamo utenti di Facebook e con Facebook sottoscriviamo un contratto, attraverso questo contratto il social  acquisisce la possibilità, concedendoci di utilizzare la sua piattaforma, di acquisire i nostri dati, ma tutto  rimane lì – ed è già molto, visto il recente scandalo Cambridge Analytica.  In questo caso, invece,  si chiede di permettere a  Facebook di acquisire altri nostri dati da fonti esterne che sono appunto: aziende clienti di Facebook (inserzionisti pubblicitari), aziende che hanno messo a punto una applicazione e che la fanno funzionare anche attraverso la piattaforma e i servizi di Facebook (app che girano su Facebook), e attraverso gli editori (così come gli editori utilizzano Facebook per ampliare il proprio bacino di utenza attraverso gli instant articles cioè pubblicando i propri articoli direttamente dentro il social; così Facebook può monitorare i comportamenti di noi utenti direttamente sulle pagine online degli editori). Ma vediamo come ci spiegano  gli specialisti del social questo passaggio.

 

 

Proteggere la tua privacy è importante per noi. Non vendiamo i tuoi dati e abbiamo progettato il nostro sistema pubblicitario in modo da porterti mostrare inserzioni pertinenti e utili senza rivelare la tua identità agli inserzionisti. Per mostrarti inserzioni migliori usiamo i dati relativi alle attività che esegui al di fuori dei prodotti delle aziende di Facebook, che ci vengono forniti da  inserzionisti, sviluppatori di app ed editori. Questi dati includono le informazioni relative al modo in cui usi i siti web e le app dei partner e ad alcune interazioni che hai con loro offline, ad esempio quando fai acquisti.  (2)

 

 

(2) Una spiegazione davvero debole per giustificare un comportamento sicuramente peggiorativo. La clausola aggiuntiva introdotta da Facebook dopo lo scandalo Cambridge Analytica, se la dovessimo approvare, autorizzerebbe il social ad acquisire ancora più dati su di noi.  Il  livello di “profilazione”nei nostri confronti  che gli analisti di Facebook raggiungerebbero, sarebbe molto più accurato. La domanda sorge spontanea: ma non è proprio questo che viene contestato fra le varie presunte violazioni  compiute da Facebook nello scandalo Cambridge Analytica? I nostri comportamenti verrebbero monitorati dal social, se approvassimo questa clausola, non solo online ma anche offline, non solo dentro Facebook ma anche fuori da Facebook, con buona pace di George Orwell, un giochetto da ragazzi in confronto a quello che rischiamo di vivere attuando norme come queste. Il tutto – secondo le giustificazioni di Facebook  – per poterci  fornire annunci pubblicitari più adatti ai nostri gusti. Una giustificazione  di scarso valore non trovate vista la posta in gioco, o meglio l’importanza dei dati che permetteremmo a Facebook di conoscere?  Inutile dire – ma non smetteremo mai di farlo – che la differenza non sta nell’aderire o nel non condividere nuove o vecchie norme,   ma negli anticorpi che saremo sempre di più  in grado di sviluppare come cittadini informati e coscienti delle nostre reali possibilità nel mondo digitale. Costruendo passo dopo passo la nostra cittadinanza digitale non basata sull’acquiscenza ma sulla conoscenza dei sistemi e delle regole del gioco.

 

 

Ecco alcuni esempi di dati che i partner potrebbero condividere con noi:

* Le tue attività su siti web e app che usano gli strumenti di business di Facebook come il nostro pixel o il nostro pulsante “mi piace” incluso quando effettui acquisti online o scarichi un’app

* Le tue interazioni offline con i partner come l’acquisto di un casco in un negozio di biciclette (3)

 

 

(3) Lo certificano loro stessi con le parole che abbiamo riportato qui sopra, nessuna invenzione, nessuna interpretazione, nessuna forzatura da parte nostra. La giustificazione è davvero ben poca cosa davanti alle implicazioni che l’accettazione di questa regola comporterebbe.

 

 

Quando non usiamo questo tipo di dati, vedrai lo stesso  numero di inserzioni, ma potrebbero non essere altrettanto pertinenti (4)

 

 

(4) L’unica conseguenza legata alla mancata autorizzazione da parte nostra nei loro confronti all’appropriazione e all’uso di questa nostra ulteriore enorme mole di informazioni on e offline è questa!  Come dire: uccidere una zanzara con un bazooka?

 

Il terzo punto del nuovo contratto di Facebook con i propri utenti riguarda un aspetto delicatissimo e davvero fondamentale per il rispetto e  la futura possibilità di continuare a poter  avere ancora una qualche sorta di privacy. Perdonate il tono melodrammatico ma è davvero inevitabile visto che stiamo parlando di “riconoscimento facciale”.

 

 

Attiva il riconoscimento facciale se desideri usare questa tecnologia. Se attivi questa impostazione, useremo la tecnologia di riconoscimento facciale  per capire quando potresti essere presente nelle foto, nei video e nella fotocamera per proteggerti dagli sconosciuti che usano le tue foto, trovare le foto in cui sei presente ma non ti hanno taggato, comunicare alle persone con disabilità visive chi è presente nella foto o nel video  e suggerire alle persone chi potrebbero voler taggare. (1)

 

 

(1) Ci sarebbe da ridere per una settimana se non fosse che una sciocchezzuola come questa riguarda poco meno di un terzo della popolazione mondiale: 2 miliardi e 200 mila persone, tanti sono ad oggi gli utenti di Facebook. Autorizzando il social  all’attivazione  del riconoscimento facciale questo terzo di umanità perderà ogni diritto alla privacy e sarà “tracciata e tracciabile” in ogni momento della propria giornata, ovunque nel mondo, dentro e fuori dai luoghi di svago, lavoro, studio, sport etc.etc. Ovunque ci sia una telecamera, un sensore, un obbiettivo fisso o mobile, analogico o digitale, pubblico e/o privato, uno smartphone, un tablet, l’occhio elettronico di un qualsiasi apparato domestico o industriale; insomma chiuque e qualunque cosa ci possa riprendere o fotografare potrà essere utilizzata nel mondo per riconoscerci. Altrochè “grande fratello” ancora una volta di Orwelliana memoria, altrochè i programmi di sorveglianza di massa denunciati da Snowden, in questo caso saremo noi se risponderemo SI alla richiesta di Facebook ad autorizzare chiunque a tracciare la nostra presenza ovunque nel mondo.  E le giustificazioni forniteci dagli specialisti di Menlo Park perdonateci ma appaiono davvero ridicole vista la posta in gioco!!!