L’indice della civiltà digitale

Cogliendo al volo una suggestione contenuta in una pezzo pubblicato nei giorni scorsi da Pier Luca Santoro su Datamediahub in cui veniva raccontata in estrema sintesi un’indagine globale condotta da Microsoft sugli abusi online in un’infografica e sulla scorta dei risultati di un’indagine su un tema molto simile cui abbiamo partecipato noi stessi di Lsdi realizzata negli ultimi due anni appena trascorsi dal Cospe in sei diversi stati europei,  vorremmo provare ad approfondire l’analisi del lavoro fatto dalla Microsoft, estraendo e traducendo alcuni stralci dal rapporto conclusivo sulla ricerca e poi provando a confrontarli con i risultati raggiunti al termine ricerca sull’hate speech cui abbiamo preso parte anche noi.

La ricerca condotta dall’azienda americana è stata effettuata fra giugno e luglio del 2016 su un campione rappresentativo di adulti (18-74 anni) e adolescenti (13-17 anni) in 14 diversi stati: Australia, Belgio, Brasile, Cile, Cina, Francia, Germania, India, Messico, Russia, Sud Africa, Turchia, Regno Unito e Stati Uniti.

Sono stati esaminati i comportamenti delle persone intervistate in relazione a quattro grandi categorie di rischio online: comportamentali, sessuali, reputazionali, personali.

 

 

  • Behavioral – Treated mean, trolling, online harassment, cyberbullying, swatting
  • Reputation – Doxing, damage to personal reputation, damage to work reputation
  • Sexual – Receiving unwanted sexts, solicitation, sending unwanted sexts, sextortion, “revenge porn”
  • Personal/Intrusive – Unwanted contact, hate speech, discrimination, terrorism recruiting

 

 

Per ognuno di questi argomenti sono stati poi esaminati svariati  tipi di comportamenti a rischio, ecco alcune delle domande poste alle persone intervistate durante la ricerca:

1) Come la pensa rispetto alla sicurezza delle interazioni online e al grado di civiltà di questi comportamenti in rete?
2) Quali sono le esperienze più rischiose che si corrono nella vita online?
3) Come vengono affrontate dalle persone queste esperienze a rischio?
4) Quando e con che frequenza sono avvenute queste esperienze negative?
5) Quali sono state le conseguenze e le azioni intraprese in merito ad esse?
6) Dove hanno trovato sostegno e aiuto le persone coinvolte in queste esperienze?
  • How do you feel about civility, safety and interactions online?
  • Which online risks have you and your close circle experienced?
  • How concerned are you about those 17 risks?
  • When and how often have the risks occurred?
  • What consequences and actions were taken?
  • Where did you and others turn for help?

Uno dei risultati più interessanti della ricerca è la creazione di un indice di civiltà digitale internazione, una sorta di punteggio diviso per stato che indica:  “measures consumers’ lifetime exposure to online risks” il livello di esposizione delle persone ai rischi online durante la propria vita in rete.

Il documento finale redatto dagli esperti della multinazionale suggerisce alcuni comportamenti da tenere a vario titolo per far salire l’indice di civiltà nei nostri comportamenti online. Alle società tecnologiche, quindi forse anche a se medesimi, gli esperti di Microsoft suggeriscono sulla base dei risultati della ricerca una linea d’azione da adottare composta principalmente di tre punti:

1) Creare e far partecipare i propri utenti alla realizzazione di ambienti online in modo trasparente, chiarendo da subito le finalità di ogni ambiente, e che a tali comunità parteciperanno persone di ogni tipo e provenienti da tutto il mondo. 2) Creare e rendere operativo un codice di condotta in cui vengano chiarite in modo esplicito quali comportamenti siano incentivati e da incentivare e quali penalizzati e da sanzionare. Queste regole dovranno tenere conto dei diritti fondamentali di libertà, espressione e sicurezza dei cittadini. 3) Offrire rimedi e facile scorciatoie tecnologiche per mettere a punto risposte e strategie di difesa accessibili e facilmente realizzabili da tutti.

 

Technology companies

1. Purposeful online environments.
2. Codes of conduct.
3. Remedies.

Per il mondo della formazione, della creazione dei nuovi cittadini, in altri termini il mondo scolastico i risultati della ricerca evidenziano altri tre punti su cui agire: 1) Formare i ragazzi e le loro famiglie mediante studi specifici in vari ambiti da quello sociale a quello didattico ad una completa conoscenza della società digitale on e offline 2) Apprendimento sociale ed emotivo per aumentare l’empatia e ridurre l’isolamento sociale, i problemi di condotta, il comportamento aggressivo e lo stress emotivo degli studenti dentro le scuole e in rete. 3) Enfatizzare e condividere  i comportamenti corretti che sottolineano il modo di civile  di approcciarsi alle attività svolte, nei comportamenti degli studenti, nel loro modo di creare relazioni e coinvolgimento in rete.

 

Educators, counsellors, school officials

1. In-school education: “citizenship.”
2. Social and emotional learning.
3. Emphasize civility.

La classe politica e i legislatori hanno anch’essi tre ambiti specifici in cui esercitare al meglio i propri compiti per diffondere la corretta cultura digitale e i comportamenti virtuosi per stare online in modo esemplare: 1) Leggi e regolamenti. Rafforzare le leggi e i regolamenti esistenti per scoraggiare lo sfruttamento, le molestie e le violazioni dell’identità online ma anche lavorare per la difesa delle vittime di questi soprusi. 2) Creare partnership pubblico private per elaborare linee guida per aumentare la consapevolezza rischi/benefici; educare le famiglie, gli insegnanti, gli avvocati, i giudici e il personale delle forze dell’ordine. Elaborare approcci innovativi per incoraggiare comportamenti positivi e rispettosi on e off line. 3) Incoraggiare pratiche industriali responsabili. Lavorare con l’industria e le organizzazioni della società civile per concordare principi fondamentali e determinare i mezzi più efficaci di implementazione dei processi di comprensione dei comportamenti a rischio on e off line.

 

Law and policymakers

1. Laws and regulations.
2. Public-private partnerships.
3. Encourage responsible industry practices.

Nella ricerca di Microsoft infine vengono tratteggiati i comportamenti da tenere per costruire una comunità inclusiva, ovvero atteggiamenti e comportamenti per abbracciare il pluralismo online, condividere la conoscenza, e far crescere il pensiero positivo e condiviso: 1) Pluralismo on-line. Lavorare insieme per incoraggiare e far crescere una cultura della
civiltà online che rispetti e valorizzi opinioni diverse. Fare spazio a tutti i punti di vista per rompere le echo chambers e migliorare la cooperazione, la libera espressione, la tolleranza, e la diversità culturale e sociale. 2) Condividere la conoscenza. Sviluppare e condividere le risorse educative che incoraggiano gli individui, le famiglie e le comunità in modo proattivo. 3) Comunità positive. Promuovere la civiltà sociale, le relazioni sane e  positive e le comunità. Costruire e sostenere ambienti online sicuri dove regni la fiducia e in cui gli individui siano incoraggiati a condividere, creare, imparare e partecipare.

 

The inclusive community

1. Pluralism online.
2. Share knowledge.
3. Positive communities.

I risultati della ricerca indicano nel Regno Unito e nell’Australia i paesi dove i rischi online sono più bassi e quindi il livello complessivo di civiltà digitale è più alto. Le persone, prima dei Paesi, prima delle amministrazioni,  stanno stabilendo norme sociali online che includono rispetto e dignità come condizioni basilari della convivenza online.

L’Italia non fa parte, ma forse ve ne eravate già accorti, di questo panel di studio…

 

In compenso, come detto all’inizio, il Belpaese è stato invece protagonista di un’esperienza di ricerca europea sui commenti d’odio online cui abbiamo preso parte anche noi di Lsdi. Anche da questo studio sono emersi risultati interessanti e linee di indirizzo per valorizzare comportamenti specifici tesi ad educare, orientare, coinvolgere in modo efficace e responsabile le persone ai corretti comportamenti online. Una parte consistente in tutto questo processo è in carico in particolare ai professionisti dell’informazione, la stampa quotidiana e periodica in ogni forma, mezzo ed espressione; il giornalismo, quella pratica che da quasi quindici anni proviamo a studiare anche qui a bottega. Nella ricerca del Cospe oltre ad una serie di rilevamenti ed utili indicazioni di comportamenti venivano segnalate alcune pratiche che il comparto informativo tutto, anche nel BelPaese, dovrebbe prendere in esame e forse adottare per svolgere in modo coerente e informato il proprio compito sul fronte della crescita dei livelli di “civiltà online”. Di seguito un breve estratto dalle conclusioni finali della ricerca:

 

 

“Proviamo a chiederci se la comunità dei lettori abbia degli strumenti “autoprodotti” per la gestione del di-battito e sia in grado di produrre degli antidoti naturali allo sfogo razzista. Non crediamo sia possibile.

Tali comportamenti per poter essere efficaci devono, a nostro avviso, essere supportati da specifici strumenti di moderazione “strutturali”, messi quindi a disposizione dalle redazioni e non lasciati esclusivamente alla buona volontà del singolo lettore.

 

 

Nella nuova dimensione digitale il lavoro giornalistico non si conclude con la stampa/diffusione del pezzo; il  lavoro prosegue nel seguire il flusso delle conversazioni; si esplicita in molti e diversi modi; dal cercare riscontri e pareri da parte degli utenti attraverso la lettura dei commenti al pezzo; dal cercare interazioni con gli stessi utenti rispondendo o facendo rispondere alle parti interessate ai commenti espressi; raccogliendo spunti e tracce per elaborare giornalisticamente nuovi approfondimenti giornalistici; dall’ascolto e lettura e valutazione delle conversazioni che si originano online a seguito della pubblicazione del pezzo stesso.

 

 

Bisogna dichiarare subito e in modo esplicito e trasparente su ogni bacheca pubblica o pagina d’accesso ad un sito di informazione, le regole di accesso e di partecipazione alle conversazioni. Una procedura scandita e condivisa con la propria community per definire l’accesso alle bacheche di conversazione e regolamentare la gestione di tali conversazioni. In modo che l’eventuale violazione del regolamento, il commento di incitamento all’odio, o ancora di più l’azione di trolling manifesta e scientemente predisposta online, possano essere pubblicamente rimosse sino ad arrivare a bannare l’utente o gli utenti irrispettosi o ancora oltre, fino alla denuncia alla pubblica autorità nel caso ci si trovi di fronte a veri e propri reati.

 

 

Tali passaggi progressivi necessitano di personale competente e adeguatamente formato. Meglio se giornalisti che affianchino alle proprie competenze professionali tutte quelle capacità necessarie a governare in modo adeguato il flusso digitale.
Servono dunque: social media manager, community manager, e content curators; ma serve soprattutto che in ogni azienda editoriale tali ruoli siano previsti e realizzati studiando e comprendendo le nuove dinamiche editoriali che la rivoluzione digitale pretende. Ed è importante che non ci si limiti ad adattare figure preesistenti, o appaltare all’esterno tali ruoli, perché queste professionalità sono alla base della nuova cultura digitale in ogni settore e quindi anche in quello dell’informazione”.
 

Un altro importante risultato della ricerca europea realizzata da Cospe è la creazione e l’introduzione di uno specifico strumento formativo. Si tratta di un modulo didattico per capire e gestire i fenomeni di hate speech nelle scuole. Il progetto risponde al bisogno degli insegnanti di trovare delle idee per affrontare l’hate speech con i propri studenti, attraverso l’educazione ai media, l’educazione interculturale e il coinvolgimento attivo dei ragazzi e delle ragazze.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Qui il modulo didattico dello studio Cospe

 

 

Lo studio di Microsoft

 

 

Il Digital Civility Index di Microsoft

 

 

Le Best Practices individuate da Microsoft