Pubblicità: il ‘native ad’ non rende un sito meno credibile, secondo studio Usa

NativeIl ricorso al native advertising non rende un sito meno credibile e la valutazione sulla credibilità da parte di giovani e ultra45enni non presenta le differenze che uno si potrebbe aspettare.
 
Sono i risultati di uno studio di due ricercatori, Patrick Howe e Brady Teufel, di Cal Poly (il Politecnico dell’ Università della California), dal titolo “Native Advertising and Digital Natives: The Effects of Age and Advertisement Format on News Website Credibility Judgments”.

 


I due ricercatori – racconta Caroline O’Donovan su Niemanlab – si sono rivolti a un campione di 250 persone, divise in due gruppi di età: metà fra i 18 e i 25 anni e l’ altra metà maggiori di 45 anni. E hanno cercato di accertare se la presenza di native advertising avesse un effetto sulla credibilità di una fonte di informazione, comparando le reazioni dei giovani e quelle dei più anziani.

 

Per realizzare il progetto , Howe e Teuful, un esperto nella progettazione di pagine web, hanno realizzato due home page diverse di uno stesso sito di informazione, imitando l’ impianto di BuzzFeed , una pagina con il native ad (firmato da una vera azienda di abbigliamento sportivo, la Columbia Sportswear, sulla destra) (qui sotto)

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e una con il classico  display pubblicitario (sopra).

 

Howe – un ex giornalista dell’ AP passato all’ attività accademica – immaginava che ci sarebbe stato un forte divario tra il modo con cui i lettori più giovani e quelli più anziani avrebbero giudicato la credibilità del sito – ma non è quello che è successo. “Ero così sorpreso da questo risultato che sono stato preso dal panico e ho ricontrollato tutto – racconta – Davvero non pensavo a prima vista che tutto ciò avesse un senso, e non sono sicuro di poter dare una spiegazione”.

 

Infatti, le persone di entrambi i gruppi di età davano più o meno lo stesso giudizio sulla credibilità dei due siti, indipendentemente dal tipo di pubblicità che esse presentavano. I giovani erano forse leggermente più propensi a riconoscere che il native advertising era nient’ altro che pubblicità, ma ciò non ha influenzato il giudizio sul sito. I lettori più anziani, invece, tendevano a trovare il sito generalmente più credibile, facendo pensare che le persone di quella fascia d’ età siano portate ad essere più fiduciose e meno rigide rispetto a quelle più giovani.

 

L’ idea della ricerca era nata sulla base del fatto che – racconta Howe – ‘’quasi tutti quelli con cui avevo parlato di questa questione, soprattutto giornalisti, erano convinti che è un disastro perché la gente si sentirà presa in giro e abbandoneranno le testate che fanno native ad. Che si tratta di un comportamento sporco e che una testata giornalistica non può farlo’’.