Il ‘’diritto all’ oblio” è una pessima idea e Google si sta muovendo nel modo giusto

googleGoogle ha spiegato alle aziende giornalistiche britanniche che ha rimosso alcuni loro articoli dall’ indice del suo motore di ricerca in conseguenza della decisione UE in relazione al cosiddetto  “diritto all’ oblìo”. Molte critiche si sono levate a dire che il colosso sta, deliberatamente, iper-reagendo.

Ma – ha spiegato giorni fa Mathew Ingram in un ampio articolo su Gigaom che riprendiamo – , la realtà è che il colosso di Mountain View  ‘’sta semplicemente facendo ciò che può per richiamare l’ attenzione su una pessima legge’’

 

 

The EU’s “right to be forgotten” is a bad idea, and Google is handling it exactly the right way

di Mathew Ingram

(Gigaom.com )
 
Nei giorni scorsi Google  ha notificato ai media inglesi che molti dei loro articoli sarebbero potuti essere non disponibili al pubblico del Regno Unito  come risultato della decisione della Corte dell’ Unione Europea, inchinatasi al cosiddetto “diritto all’ oblìo”, che consente alle persone che vedano pubblicate notizie spiacevoli su di loro di vederle rimosse dall’ indice del motore di ricerca. Il mio collega David Meyer argomenta che Google Google sta facendo questa cosa deliberatamente , allo scopo di creare  un diversivo, un argomento fittizio: in altre parole, per far credere che la legge sia peggiore di quel che è; io, comunque, dissento: personalmente ritengo che Google stia facendo un ottimo lavoro nell’ illuminarci sul perché la legge sia uno sbaglio, con potenzialmente abnormi conseguenze per la libertà di parola.
 
Come Danny Sullivan, di Marketing Land, ha delineato in una carrellata sull’ argomento, Google ha rimosso un certo numero di contenuti riferentisi ad organi di stampa britannici “di rilievo”, scrivendo loro a posteriori per spiegare il perché: senza però fornir loro troppi dettagli, quand’anche, addirittura, non fornendogliene quasi, sul motivo per cui quei particolari articoli fossero stati eliminati, su chi avesse presentato petizione affinché lo fossero, o sul perché alcuni soggetti fossero stati fatti oggetto di attenzione ed altri no.

 

Fra di essi:
 
–  Storie dal Guardian e dal Daily Mail risalenti al 2010, riguardo  a un arbitro di calcio scozzese il quale ebbe a mentire  sull’ assegnazione d un calcio di rigore ( i link al racconto del Guardian vennero dapprima segnalati, poi  poi ripubblicati a seguito delle proteste del quotidiano).

-Un articolo del Guardian risalente al 2002, relativo a  un uomo accusato di frode ma in seguito assolto perché riconosciuto innocente.

-Un pezzo del Daily Mail su una coppia sorpresa a far sesso su un treno.

-Un articolo del Guardian sui lavoratori francesi e sul come avessero coperto le proprie finestre di Post-It Notes.

-Un commento della  BBC sull’ex Presidente di Merrill Lynch Stan O’Neill.

-Un racconto del Daily Mail riguardante alcuni membri dello staff della catena dei Supermercati Tesco che avevano criticato il proprio datore di lavoro sulle varie  piattaforme sociali.

 

Il punto indicato da David Meyer e da altri critici di Google è che in ognuno di questi casi, se la testata è  convinta che l’ articolo incluso nei suoi risultati di ricerca sia giornalisticamente difendibile,  allora essa dovrebbe protestare  contro questi tentativi di rimozione e portare Google in tribunale, poiché la decisione che ne ha probabilmente causato la rimozione (ovvero una sentenza della Corte di Giustizia Europea) include una clausola che asserisce che i dati ivi insiti possono permanere pubblicati “qualora vi sia un preponderante interesse generale nell’ ottenimento delle informazioni in discussione”.
 
Google sta forse cercando di suscitare polemiche?

 

Il sospetto deriva dal fatto che la rimozione riguarda articoli che sono chiaramente al di là di questa linea –  come sono ad esempio quelli che danno notizia di un presidente in disgrazia di una società quotata in Borsa, o di un’ammissione di colpa di un arbitro calcistico -: i critici di Google sostengono che essa stia deliberatamente reagendo in modo enfatico, eccessivo, nel tentativo di suscitare un vespaio  un vespaio riguardo ad un principio giurisprudenziale la cui applicazione non è neppure stata ancora recepita degli stati membri della Unione Europea ed il cui esito potrebbe non esser così tremendo come preconizzato.
 
Paul Bernal, docente di Diritto dei mezzi di comunicazione, parrebbe sostenere  che Google, deliberatamente, tenda a rimuovere pezzi giornalistici di professionisti di spicco ed importanza, quali Robert Peston, di BBC – il quale ha scritto di come il suo editoriale sia stato ‘’gettato nel dimenticatoio’’  da Google – proprio al fine di ottenere un sostanzioso supporto alla sua battaglia tesa a smussare la forza della legge europea; un componente dello staff del Guardian, Chris Moran, afferma inoltre che il maldestro modo in cui Google ha incrementato le rimozioni (arrivando ad apporre una nota in calce ad una pagina di ricerca, anche quando di questa nulla fosse  stato cambiato o rimosso) sia un deliberato tentativo di far sembrare tutta la faccenda pessima.
 
Come afferma David Meyer:

 

“Se Google sta tentando di provare come il sistema UE  sia impraticabile, ebbene ci sta riuscendo: solamente…il sistema in atto non è il sistema descritto dalla Corte Europea di Giustizia: è un fantoccio, una versione malevola e fuorviante del quadro giuridico reale che rende tale quadro più facilmente attaccabile’’.

 

Supponiamo per un attimo che Google abbia davvero orchestrato questo processo super enfatizzando il tutto in modo da farlo apparire più draconiano di quanto non sia e che, come ciliegina sulla torta, abbia preso di mira ben determinati giornalisti in modo da trascinarli dalla propria parte (anche se un portavoce di Google ha negato  che il colosso stia deliberatamente tentando di fare in modo che la legge appaia peggiore di quel che è)…
 
Che riteniate questo giustificato o no, dipende in primo luogo  dal fatto che siate d’accordo o meno sulla legge che regolamenta il  “diritto all’ oblìo”: se ritenete che questa sia un errore, be’… allora avere Google schierata contro di essa è cosa difendibile almeno quanto il suo ergersi contro la censura cinese, quando fece in modo  di rendere evidente che la ricerca di termini come “Piazza Tienanmen” veniva sistematicamente censurata.

 
 
Google sta facendo quanto è in suo potere per combattere una cattiva legge
 
 
Il punto, focalizzato da Paul Bernal, Chris Moran e David Meyer, è che Google dovrebbe lasciare l’ intero processo decisionale ai tribunali e che tutto questo sfocerebbe in un ottimo risultato: il perché risiede nel fatto che un tribunale si troverebbe in una migliore posizione, rispetto a Google. Io, invece, penso che un’aula giudiziaria farà probabilmente, se non certamente, peggiorare le cose e penso che tutte le conclusioni tratte sin’ ora de Google non siano così inverosimili come i critici di Google vorrebbero farvi credere.

 

Meyer afferma che alcune, o finanche tutte le ricerche Google che sono state modificate sono state, sino ad ora, coperte  dalla clausola sul pubblico interesse, nell’ambito della legge sulla riservatezza dei dati europea, ma, nel medesimo tempo, egli fa notare come codeste leggi siano in procinto di essere aggiornate  e, probabilmente, rese più severe come risultato di sentenze simili a quella della Corte di Giustizia Europea.

 

Come possiamo prevedere se un tribunale riterrà sacrosanto che  il pubblico diritto di sapere –  che sia delle nefandezze di un arbitro o delle trasgressioni di un dirigente di Merrill Lynch – sia preponderante rispetto al diritto di esser posti nel “dimenticatoio”  ?
 
In nessun modo, non lo sappiamo.
 
So che la libertà di parola, in Europa,  non è un principio così sacrosanto come è negli Stati Uniti, e che il pubblico diritto a sapere non prevale automaticamente sul diritto individuale alla riservatezza. Questo può essere un obiettivo sociale positivo, ma come risultato di questa tendenza abbiamo visto tribunali britannici adottare delle ‘’supersentenze’’  che restringevano il diritto della stampa perfino a menzionare l’esistenza di un caso giudiziario; e così altre violazioni del diritto di sapere e della libertà di stampa. Davvero necessitiamo di un maggior numero di meccanismi utili a che cose come queste accadano? Io ritengo assolutamente di no.
 
La realtà è che il “diritto all’ oblìo” potrebbe dare la stura ad aberrazioni: i potenti potrebbero efficacemente censurare risultati di ricerca perfino quando i fatti inerenti fossero incontrovertibilmente corretti ed avessero valore giornalistico. Questa eventualità è qualcosa che vale assolutamente la pena di combattere… e  Google sta semplicemente usando tutti gli strumenti a propria disposizione per far ciò. E se questo aumenta la consapevolezza circa questo problema e sulle sue conseguenze, be’, allora tanto meglio.
 
(traduzione a cura di Maria Daniela Barbieri)