Genova, novembre 2011 – ottobre 2014. La storia si ripete. Il dossier di Lsdi sull’accesso alle informazioni ambientali

genovaEra il novembre 2011 quando, a seguito della drammatica alluvione che colpì Genova uccidendo 6 persone e provocando ingenti danni al territorio, Lsdi e Fnsi elaborarono un breve dossier e un modello di domanda (per giornalisti e non) da utilizzare per richiedere alle amministrazioni e alle aziende pubbliche copia dei documenti relativi a vicende e problemi di carattere ambientale, che devono essere consegnati per legge, senza alcuna discrezionalità, come previsto dalla Convenzione di Aahrus cui l’ Italia ha aderito – Oggi, a distanza di ben 3 anni,  riproponiamo quello stesso dossier sull’accesso alle informazioni ambientali, constatandone con rammarico la drammatica attualità

 

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Redazione | 15 novembre 2011

 

Con la consulenza di un esperto di diritto pubblico, Lsdi e Fnsi hanno messo a punto un modello di domanda che i giornalisti possono utilizzare per chiedere alle amministrazioni e alle aziende pubbliche copie dei documenti relativi a vicende e problemi di carattere ambientale – per indagare, ad esempio, sulle concause dei disastri che ciclicamente si abbattono sul nostro paese. Dati che aziende ed enti pubblici sono tenuti a consegnare per legge, senza alcuna discrezionalità.

 

In Italia infatti opera dal 1998 la Convenzione di Aahrus, che impone alle amministrazioni pubbliche di produrre i documenti relativi a questioni di carattere ambientale a qualsiasi cittadino che ne faccia richiesta.

 

Fino al 1998 invece un cittadino poteva ottenere dalla pubblica amministrazione della documentazione solo se riusciva a dimostrare di avere “un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l’accesso”.

 

Lsdi e Fnsi hanno realizzato un breve Dossier che viene diffuso in occasione dell’ Assemblea dei Comitati di redazione in programma il 16 ottobre, a cui la Fnsi e Lsdi chiedono di darne la massima diffusione nelle redazioni per informare i giornalisti delle opportunità offerte dalla Convenzione di Aahrus.

 

L’ utilizzo di un simile strumento può aprire infatti scenari di assoluto interesse per il giornalismo italiano consentendo che, in un campo così delicato come quello ambientale, l’ informazione non si esaurisca nella cronaca (o nella ‘’tv del dolore’’) ma riesca a individuare le cause profonde degli avvenimenti e le misure da prendere, permettendo anche il monitoraggio degli interventi di ricostruzione e ripristino della normalità.

 

Il dossier comprende, oltre al modello di domanda da inoltrare alle amministrazioni e alle aziende pubbliche, un’ analisi ragionata della Convenzione e una sintesi di una tesi sperimentale di una studentessa calabrese che, per la prima volta in Italia, si è richiamata a quello strumento per ottenere la documentazione su una discarica di rifiuti nella zona di Rossano Calabro e che è riuscita, con un po’ di fatica, a rompere la cortina di opacità dietro cui si nasconde spesso la pubblica amministrazione nel nostro paese.

 

Il materiale è a disposizione anche delle Associazioni regionali di stampa e degli Ordini dei giornalisti affinché se ne possa dare la più ampia diffusione.

 

 

 

DOSSIER LSDI SU AMBIENTE E ACCESSO ALLE INFORMAZIONI

 

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1.  I DOCUMENTI SULL’ AMBIENTE SONO GIÀ DISPONIBILI, ‘BASTA’ CHIEDERLI

Genova, novembre 2011. Veneto, ottobre 2010. Giampilieri (ME), ottobre 2009. L’Aquila (Università), aprile 2009. Sono i luoghi e le date delle ultime calamità naturali che hanno colpito il Paese provocando morte e distruzione in circostanze, purtroppo, spesso prevedibili ed evitabili.

 

E anche laddove non è complice la natura, l’uomo pare cavarsela benissimo anche da solo. Napoli divorata dai rifiuti è solo la star da copertina di una foto di gruppo impunemente affollata. È stato pubblicato in questi giorni, infatti, lo studio “Sentieri”, coordinato dall’Istituto Superiore di Sanità e finanziato dal Ministero della Salute, che “ritrae la situazione sanitaria di 44 luoghi sparsi per tutto il Paese in cui le condizioni ambientali fanno ammalare e morire la popolazione più della media, soprattutto nel Meridione”.

 

Tutti questi fotogrammi, oltre a farci interrogare sulla fragilità – strutturale e politico-istituzionale – del nostro Paese, pongono il mondo dell’informazione di fronte ad un altro interrogativo: qual è, in queste circostanze, il ruolo del giornalismo?

 

Prendendo in esame l’alluvione di Genova, ad esempio, si registra una copertura giornalistica efficace e tempestiva, per ampiezza e velocità delle fonti, in cui il giornalismo tradizionale e i nuovi media hanno generato una sinergia virtuosa per qualità e quantità dell’informazione, spesso aggiornata in tempo reale con dirette via Twitter.

 

Ma il giornalismo non è solo copertura tempestiva dei fatti, diffusione delle notizie, utilizzo di strumenti tecnici. Il Giornalismo è anche servizio civico.

 

A ricordarcelo – sempre rimanendo in tema di calamità naturali e disastri ambientali – sono gli eroici giornalisti giapponesi del quotidiano della sera della città di Ishinomaki, Hibi Shimbun, che a seguito della sciagura di Fukushima, “impossibilitati all’uso anche delle più essenziali attrezzature, hanno deciso di scrivere il giornale di proprio pugno, letteralmente, con carta e pennarello. Una volta finito, ne hanno prodotto copie a mano da distribuire ai centri di emergenza attivati in città. Sono andati avanti per qualche giorno. Oltre ad aggiornamenti sulla catastrofe, il giornale forniva anche informazioni vitali come elenchi di negozi in cui era disponibile del cibo, di strade ripulite dalle macerie o di banche che ancora disponevano di denaro contante. Quando si dice del giornalismo al servizio della cittadinanza”.

 

O ancora, il caso del New Orleans Times-Picayune, la cui copertura in occasione dell’Uragano Katrina è stata considerata uno dei dieci lavori giornalistici più importanti del decennio dal Journalism Institute della New York University.

 

La copertura del Times-Picayune (durata quattro mesi, dall’agosto al dicembre 2005) ci aiuta a rispondere ad un’altra domanda: cosa succede dopo? Quando la pioggia si è posata e i riflettori sono spenti?

 

Spesso ci si  limita a invocare le dimissioni di sindaci, sovrintendenti, ecc., strillando inizialmente dalle prime pagine dei giornali, fino a scivolare tra le pagine di cronaca locale. Questo dato di fatto è riconducibile ad almeno tre aspetti: le risorse sempre più esigue che le redazioni destinano alle inchieste (con la conseguente disaffezione dei lettori verso argomenti più impegnativi e meno nazional-popolari delle intercettazioni, ad esempio, di cui ci si abbuffa ormai da anni); i tempi vertiginosamente congestionati di un’informazione che brucia in tempo reale (più consoni ai 140 caratteri di un tweet che all’approfondimento investigativo); e i deficit normativi e strutturali che impediscono l’accesso alle informazioni del settore pubblico, ostacolando un reale approfondimento delle materie oggetto di attenzione/inchiesta.

 

Di conseguenza, ci si accoda alle denunce e alle iniziative di questo o quel perito, come nel caso tristemente noto del sismologo Giuliani che avrebbe previsto il terremoto dell’Aquila o del “previsore meteo” che oggi punta il dito contro il sistema di allerta a Genova.

 

Tuttavia, esiste uno strumento che consente a tutti – giornalisti, attivisti e comuni cittadini – di richiedere e ottenere (laddove si abbia la determinazione di fronteggiare la pervicace ostinazione dell’apparato pubblico quando si tratta di divulgare informazioni) l’accesso ai documenti pubblici relativi a questioni di carattere ambientale.

 

La Convenzione di Aahrus, infatti, firmata dalla Comunità europea e dai suoi Stati membri nel 1998, prevede che “un maggiore coinvolgimento e una più forte sensibilizzazione dei cittadini nei confronti dei problemi di tipo ambientale conduca ad un miglioramento della protezione dell’ambiente”.

 

L’utilizzo di un simile strumento aprirebbe scenari di assoluto interesse per la professione giornalistica – e non solo – facendo sì che l’informazione non si esaurisca nella tempestività della copertura di un dato evento e nel conseguente talk show della sera, ma raggiunga le cause profonde del perché quell’evento si è verificato, cosa si sarebbe potuto fare e cosa si potrebbe fare in futuro perché non accada più (oltre a consentire il monitoraggio degli interventi di ricostruzione e ripristino della normalità).

 

La cronaca e l’individuazione delle responsabilità[1] sono condizioni necessarie della professione, ma non sufficienti. Come sostiene anche il nuovo direttore del New York Times, Jill Abramson, oggi il “Why” (perché) è la più importante delle cinque “W” che da sempre caratterizzano il giornalismo.

 

Un esempio di come informazioni e dati pubblici consentano incredibili pezzi di inchiesta giornalistica ce lo fornisce proprio il NYT, con il progetto in materia ambientale denominato “acque tossiche” e valso nel 2010 l’ennesimo Pulitzer alla redazione newyorchese – il primo in ambito di data journalism.

 

Naturalmente le questioni ambientali presentano diverse criticità nell’individuare responsabilità e competenze, cause e soluzioni. I bacini idrici, evidentemente, non hanno gli stessi confini netti delle Pubbliche Amministrazioni di competenza. E la stessa PA competente in materia di ambiente, come spesso accade in Italia, è un dedalo di autorità, sigle, agenzie (vedi Autorità di Bacino, ARPA, Agenzie dell’ambiente, ecc.).  È materia recente, ad esempio, la circolare con cui il Ministero dell’Interno richiama il ruolo strategico delle Prefetture nella gestione delle emergenze di natura idrogeologica. Tuttavia, nonostante le indicazioni, si tratta di un labirinto istituzionale in cui stabilire chi fa capo a cosa può essere molto difficile.

 

Alla luce di ciò, le istituzioni dovrebbero intervenire per assicurare la massima trasparenza in materia, sia nel definire – e possibilmente snellire – le competenze dei singoli, numerosi attori, sia nell’assicurare l’accesso alle informazioni e ai dati del settore pubblico, in modo da:

  • accrescere l’informazione e la consapevolezza della società civile;
  • consentire il legittimo lavoro di giornalisti e addetti ai lavori (associazioni, organizzazioni, ecc.);
  • individuare, denunciare e, auspicabilmente, prevenire situazioni di pericolo, mala gestione e opacità amministrativa e imprenditoriale.

 

Risuona dunque quanto mai opportuno rinnovare l’impegno assunto in tal senso dalle rappresentanze politiche e giornalistiche intervenute in occasione del recente dibattito in seno alla presentazione dell’e-book curato da LSDI “Open Data – Data Journalism. Informazione e trasparenza al servizio  delle società nell’era digitale”.

 

Nella speranza e nell’attesa che tale impegno abbia un seguito tempestivo e concreto, LSDI intende portare all’attenzione di colleghi e quanti riscontrino un interesse in materia, gli strumenti oggi a disposizione per accedere alle preziose informazioni pubbliche, portando avanti la propria campagna per un’informazione aperta e condivisa che possa contare anche su istituzioni più trasparenti e consapevoli dell’importanza che una corretta funzione giornalistica riveste per la salute, la sicurezza e la democrazia del Paese.


[1]  A tale proposito, si veda l’art 25-undecies del d.lgs. 231/2001, in vigore da settembre 2011, con cui viene introdotta nel nostro ordinamento giuridico la responsabilità degli enti collettivi in relazione alla commissione di reati ambientali. Nonostante il recepimento della direttiva 2008/99/CE sulla tutela penale dell’ambiente, in Italia tale tutela “è, come è noto, realizzata quasi esclusivamente mediante contravvenzioni” e “I reati contravvenzionali non hanno sufficiente efficacia deterrente, sono ad elevato rischio di prescrizione, non consentono l’applicazione di misure cautelari personali e neppure le intercettazioni telefoniche ed ambientali”.

 

 

2. LA CONVENZIONE DI AAHRUS (1998)

 

La Convenzione Internazionale di Aahrus, ratificata anche dall’Italia, impone alle amministrazioni pubbliche di produrre i documenti relativi a questioni di carattere ambientale a qualsiasi cittadino che li chieda, a prescindere dai requisiti di “un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l’accesso”, così come recita la Legge 241 del 7 Agosto 1990 che regola l’acceso alle informazioni del settore pubblico in Italia.

 

Ad oggi, la Convenzione di Aarhus è l’unico strumento concreto a disposizione di cittadini e giornalisti italiani per aggirare questa cavillosa restrizione, nonostante le modifiche normative introdotte nel 2013 con il cosiddetto Decreto Trasparenza, in parte positive ma assolutamente insufficienti (come ad esempio il dispositivo dell’Accesso Civico).

 

Il modello per la richiesta di accesso alle informazioni è qui

 

 

 

3. UNA TESI DI LAUREA SULL’USO DI AAHRUS, PUBBLICATA DA LSDI

 

Trasparenza e pubblica amministrazione: un amaro reportage dal mondo dell’ opacità

19 ottobre 2010

 

Anche se una convenzione internazionale impone alle amministrazioni pubbliche di produrre i documenti relativi a questioni di carattere ambientale a qualsiasi cittadino che li chieda, ottenerli è un’impresa che costa fatica e richiede perseveranza  e che, a volte, va a buon fine solo perché il responsabile dell’ amministrazione è un amico di famiglia – Una tesi di laurea sperimentale, fatta sul campo da una studentessa dell’Università di Padova,  illustra la resistenza che scatta nella pubblica amministrazione quando un cittadino chiede che venga rispettato il suo diritto di ottenere copia degli atti su una discarica di rifiuti  che da anni infiamma gli animi dei cittadini della zona (siamo a Rossano Calabro, in provincia di Cosenza, dove peraltro in questi giorni si è tornato a parlare dell’inutile acquedotto la cui costruzione è iniziata nel 1979 per un costo di 13 miliardi di lire: non ha mai fornito acqua al polo industriale del vetro – inesistente – che sarebbe dovuto sorgere presso la Valle del Crati, ma in compenso provoca frane e smottamenti) – In attesa di una legislazione globale come quella dei Foia,  la Convenzione di Arhus, anche se limitatamente alle questioni ambientali, potrebbe essere uno strumento molto utile per avviare una mobilitazione che si ponga come obbiettivo il totale rovesciamento della ‘’cultura’’ della pubblica amministrazione, con l’ affermazione del principio di trasparenza e del diritto di accesso agli atti pubblici per qualsiasi cittadino

 

La tesi è consultabile qui.

 

L’ appendice con tutti i documenti è qui.