Washington Post e New York Times. Il primo un po’ arranca, il secondo a gonfie vele

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Entrambi i quotidiani americani soffrono per il calo della pubblicità e la transizione al digitale. Ma la strategia del paywall adottata dal New York Times sta facendo una enorme differenza.

 

Su Monday Note, dati alla mano, Frederic Filloux racconta il perché, segnalando che negli Usa sono ormai circa 300 le testate con contenuti online a pagamento

 

 

 Two strategies: The Washington Post vs. The NYT

di Frederic Filloux

(Mondaynote.com)

 

I dati finanziari ufficiali del Washington Post forniscono un buon punto di vista sulla attuale situazione dei media tradizionali alle prese con il passaggio al digitale. A differenza di altri grandi quotidiani, gli elementi economici essenziali del Post risultano in maniera chiara dalle loro dichiarazioni, non sono sepolti fra i meandri delle altre attività.

Prodotto sapiente, il Post rimane una grande macchina da informazione, raccogliendo premi Pulitzer con la regolarità di un orologio e puntando duramente agli scoop. Il Post incarna perfettamente l’ immagine di un vecchio media sotto assedio da parte di testate specializzate e più agili, come Politico, quelle che spezzano il monopolio della copertura giornalistica fornito dai grandi media tradizionali.

 

In una intervista  al New York Times dell’ anno scorso, Robert G. Kaiser, un ex direttore che era stato col giornale dal 1963, ha raccontato:

Quando ero direttore editoriale del Washington Post, tutto quello che facevamo era meglio di quello che aveva qualsiasi altra testata. Avevamo le migliori previsioni del tempo, i migliori fumetti, il migliori servizi giornalistici e la maggiore copertura informativa. Oggi  ci sono concorrenti in tutti i campi e molti di loro lo fanno meglio. Abbiamo perso il nostro vantaggio in maniera molto profonda ed evidente”.

Il giornale icona è stato lento ad adattarsi all’ era digitale. La sua trasformazione in realtà è cominciata solo intorno al 2008. Da allora, ha riempito tutte le caselle necessarie: integrazione di stampa e produzioni digitali; i redattori impegnati su entrambi i lati della produzione di news mentre tutto inesorabilmente spinge la redazione a scrivere di più per la versione digitale; lanciati molti blog che coprono una vasta gamma di argomenti; e adottata infine una buona applicazione mobile. La cultura “quantitativa” è stata sostanzialmente assorbita, con i redattori che ora analizzano tutti gli indicatori associati alle operazioni digitali, tra cui un aggiornamento in diretta delle parole chiave più rilevanti di Google che è ben visibile in redazione. Tutto questo ha aiutato il Post raccogliere 25,6 milioni di visitatori unici al mese, contro 4-5.000.000 per Politico, e 35 milioni per il New York Times che storicamente ha un pubblico più ampio.

 

Nel complesso, la Washington Post Company basa ancora molto del suo fatturato sull’ attività di formazione, come si vede nella seguente tabella:

 

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Ma il business dell’ istruzione non è più la vacca da mungere come era prima. Non solo i ricavi da questo settore sono scesi, ma l’ anno scorso ha perso 105 milioni di dollari contro un profitto di  96 milioni nel 2011. Per quanto riguarda poi l’ andamento del quotidiano, le perdite sono salite a $ 53 milioni nel 2012 rispetto ai 21 milioni del 2011. E la tendenza è al peggioramento: per il primo trimestre del 2013, il fatturato della divisione quotidiano è sceso del 4% rispetto a un anno fa, con perdite pari a 34 milioni contro i 21 milioni di dollari per il Q1 del 2011.

 

E ora passiamo ad una prospettiva più a lungo termine. Il grafico seguente riassume il problema del Post (e degli altri media tradizionali):

 

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Traducendo in dati numerici:

 

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Un enorme calo della pubblicità su stampa, e linea piatta (al massimo) per la pubblicità digitale: che sono poi gli elementi comuni dell’ equazione che devono affrontare i quotidiani tradizionali che vanno dalla stampa alla linea.

 

E ora, diamo un’ occhiata alla diffusione con un confronto con il New York Times. (Si noti che non è possibile ricavare gli stessi dati dal bilancio della New York Times Co. perché aggregano troppi altri elementi.) Il grafico seguente mostra l’ evoluzione delle vendite per il Post tra il 2007 e il 2013:

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E per il New York Times:

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Chiamatelo effetto paywall: il New York Times ora aggrega insieme i dati di diffusione di stampa e online. Quest’ ultima conta ora a 676.000 abbonati digitali che reclutati tramite il sistema misurato del NYT (vedi i precedenti articoli di Monday Note  con il tag ‘’paywall”). (Complessivamente, gli abbonati digitali a NYT,  Herald International e  Boston Globe assommano a 708.000). Sembra che il NYT ha trovato la formula giusta: il portafoglio abbonati digitali cresce a un tasso del 45% all’anno, grazie a una combinazione sapiente di marketing sofisticato, raccolta intelligente dei dati dei lettori e politica di prezzi molto aggressiva (fino a fare addirittura offerte speciali per la festa della mamma).

 

Tutto questo si aggiunge alla linea di base: se ogni abbonamento digitale porta 12 dollari al mese, il risultato è di circa 100 milioni di dollari che due anni fa non esistevano. Ma le cose non vanno bene sul piano della pubblicità, dove il giornale continua a soffrire. Per il primo trimestre del 2013 rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, l’ azienda NYT  ha perso il 13% di ricavi da inserzioni su carta e il 4% per gli annunci digitali. (Come al solito nei loro documenti ufficiali, i vertici del NYT menzionano gli effetti deflazionistici di Ad exchanges come una delle cause dell’ erosione nel campo delle inserzioni digitali.)

 

Un ulteriore segno che la pubblicità digitale rimarrà in stasi: anche Politico sta esplorando delle alternative; sperimenterà un paywall in un campione di sei stati e per i suoi lettori al di fuori degli Stati Uniti. Il sistema sarà analogo a quello del NYT.com o del FT.com, con un numero fisso di articoli disponibili gratuitamente.

 

Il management di Politico rileva in una  nota:

È sempre più chiaro che i lettori sono più disposti di quanto si pensava una volta a pagare per i contenuti che apprezzano e interessano. Con più di 300 testate giornalistiche che diffondono informazione online a pagamento negli Stati Uniti, l’ idea di dover pagare per leggere prodotti giornalistici che per l’ editore hanno costi notevoli non è più ormai tanto ‘’esotica’’ per dei consumatori sofisticati.

 

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