La crisi a Linkiesta: e i blogger?

Linkiesta
Alle varie voci che stanno accompagnando la crisi ai vertici di Linkiesta (qui la lettera di dimissioni del direttore Jacopo Tondelli; qui una ricostruzione del Fatto quotidiano) si aggiunge anche quella dei blogger che collaborano con la testata e che, attraverso una di loro, denunciano  il silenzio sul loro contributo alla vita del giornale e della piattaforma.

 

Aggiornamento.

Una sessantina di blogger de Linkiesta intanto hanno pubblicato una lettera aperta diretta  ai componenti del Cda e al nucleo di promotori dell’iniziativa editoriale non presenti nel Consiglio, chiedendo ai vertici della testata di ”tornare sui propri passi, dando risposta urgente ai quesiti formulati ieri dalla redazione” e annunciando che, ”fino a quando ciò non avverrà, tutte le nostre attività rimarranno sospese”.

 


Raja Elfani, blogger franco-tunisina,  è intervenuta sul suo blog  (‘Glob’), con un articolo dal titolo Linkiesta e la pecca del giornalismo. E ora?’’, definendo il ruolo dei blogger

 

Un apporto analitico fondamentale ma sottaciuto in quanto tale dalla redazione. Un errore di fondo mai affrontato, una deontologia tradita in silenzio e per finire – perfino in questa occasione di crisi dichiarata – una mancanza paradossale di trasparenza. Eppure Linkiesta è una piattaforma fondata su questo principio di sharing interno, di scambio reciproco, di patto tra redazione e voci libere.

 

Sulla funzione dei blog, la testata, continua Elfani,

 

 alternava da un po’ una linea strutturale con un’altra: una democratica e coerente che approfondisce apertamente le analisi della redazione linkando i post dei non vincolati, e un’altra in malafede che sorvola la competenza ritenuta casuale dei blogger.

È triste verificare su un portale web gli stessi sotterfugi che seppelliscono la disapprovazione altrove. La competizione tra giornalisti e blogger esiste, perché lasciarla sottintesa? Il blogging è la base di ogni giornale online, non solo forum di reazioni: Linkiesta deve prendere l’iniziativa di dargli uno statuto. Oltre la gradita ospitalità, ci aspettiamo una politica chiara, pensata per una forma di espressione in divenire, ancora senza diritti.