Giudice cassa la Cassazione e sostiene che il blog è ”stampa”. Da Varese una sentenza paradossale

VareseSe venisse accolta la linea del magistrato lombardo nessuno potrebbe più aprire un luogo di discussione (blog, forum, financo mailing list) senza rischiare di diventare responsabile anche degli illeciti commessi dagli altri. Cosa che, sottolinea con preoccupazione Daniele Minotti, varrebbe anche per i popolari social network.

 

Purtroppo, osserva il legale, al di là del ventaglio di interpretazioni possibili, ciò che sostiene certe pronunce è spesso l’ ignoranza del mezzo tecnologico, delle sue caratteristiche, delle sue funzionalità, che fa si che si giunga a soluzioni tragicamente lontane dal sentire della gente, con una parola “paradossali”.

 

 

di Daniele Minotti

 

L’ anno scorso credevamo che, con la definitiva chiusura del caso giudiziario riguardate Carlo Ruta, la Rete non potesse più essere ricompresa nella stampa e, di conseguenza, il blogger non dovesse più rispondere dei commenti altrui (vista anche l’ assoluzione in appello del blogger aostano).

 

E invece no, perché, proprio in queste ultime ore, un giudice di Varese ha condannato una giovane blogger per la pubblicazione di commenti (anche) altrui ritenuti offensivi della reputazione di un’ editrice.

 

La sentenza fonda la responsabilità della giovane blogger su due punti fermi.

 

1) – Con il primo, ribalta completamente le precedenti (e consolidate) interpretazioni della Cassazione sull’ ampiezza del termine “stampa”.

 

In precedenza, infatti, la Corte Suprema aveva chiarito che l’ espressione “stampa”, dunque l’ applicazione della relativa disciplina, dovesse essere interpretata in modo restrittivo, specie valutando il contesto penale.

 

L’ art. 1 delle l. 47/48 recita, infatti: “Sono considerate stampe o stampati, ai fini di questa legge, tutte le riproduzioni tipografiche o comunque ottenute con mezzi meccanici o fisico-chimici in qualsiasi modo destinate alla pubblicazione”.

 

Ma dalla lettura dei lavori della Costituente (ricordiamo, infatti, che quella sulla stampa è una legge votata proprio da quell’ Assemblea) il giudice dedurrebbe la volontà di estendere l’applicabilità della legge a tutte le forme di pubblicazioni.

 

Sicché, in modo del tutto stupefacente, la celeberrima l. 62/2001 sui prodotti editoriali non costituirebbe alcuna rivoluzione, ma consapevole continuazione con la volontà dei Padri Costituenti. Così, implicitamente, anche la legge Mammì (l. 223/90) citata – parecchio a sproposito – nel capo d’ imputazione.

 

Pare che il giudice varesino sia l’unico a pensarla così, però. E, allo stesso tempo, pare non sapere che la telematica (così come radio e televisione per il legislatore del 1990) sono realtà ben differenti dalla stampa tradizionalmente intesa.

 

Al di là del fatto che l’Assemblea neppure poteva immaginare una “cosa” come Internet, pertanto su di essa non poteva ragionevolmente legiferare, della profonda diversità della Rete aveva già concluso la Cassazione con una sentenza (peraltro, confermata con altra pronuncia) evidentemente sconosciuta in quel di Varese dove l’equivalenza Internet=stampa (o anche “la stampa è anche Internet”) è recisa in modo netto.

 

2) – Il secondo argomento del giudice varesino è certamente ancora più inquietante. Non vi sarebbe, invero, una responsabilità come quella del direttore (perché quel determinato blog era soltanto un luogo di discussione), bensì una forma “diretta” in quanto “la disponibilità dell’amministrazione del sito Internet rende l’imputata responsabile di tutti i contenuti di esso accessibili dalla Rete, sia quelli inseriti da lei stessa, sia quelli inseriti da utenti”.

 

E’ chiaro che tale affermazione è completamente apodittica, a maggior ragione se la responsabilità è riconosciuta anche per i commenti non moderati relativamente ai quali in nessun caso si può scorgere una quale condotta in capo al blogger.

 

Ma la cosa ancora più inaccettabile è che, seguendo il dictum di questa sentenza, nessun potrebbe più aprire un luogo di discussione (blog, forum, financo mailing list) senza andare indenne da sanzioni in caso di illecito altrui. Cosa che, allora e senza alcuna iperbole, varrebbe anche per i popolari social network.

 

Purtroppo, al di là del ventaglio di interpretazioni possibili, ciò che sostiene certe pronunce è spesso l’ignoranza del mezzo tecnologico, delle sue caratteristiche, delle sue funzionalità, che fa si che si giunga a soluzioni tragicamente lontane dal sentire della gente, con una parola “paradossali”.

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Il blog di Daniele Minotti