Francia: giornalisti gay fra militanza e obbiettività

Gay Da alcuni mesi in Francia, un progetto di legge per il riconoscimento dei matrimoni fra persone dello stesso sesso avanza in parlamento nonostante l’ opposizione in aula e la vistosa mobilitazione di una parte dell’ opinione pubblica.

 

Come rendere conto ai lettori di questo importante dibattito nella società quando si è allo stesso tempo giornalista e omosessuale?

 

Olivier Faye di Slate.fr l’ha chiesto ai suoi colleghi.

 

Les journalistes gays en première ligne sur le mariage pour tous

di Olivier Faye

(traduzione a cura di Andrea Paracchini)

 

 

Numerosi giornalisti omosessuali si sono ”impadroniti” all’ interno delle loro redazioni  della ‘copertura’ del progetto di legge sul matrimonio gay. Esiste un trattamento omosessuale delle problematiche LGBT e i giornalisti gay devono fare coming out?

 

Il pomeriggio di martedì 12 febbraio l’ affluenza è tale che non c’ è più posto per sedersi nella tribuna stampa dell’Assemblée nationale. Ci sono gli habitués, notisti dei grandi giornali e canali tv…

 

Ovvio, è il momento del voto sul progetto di legge sul “matrimonio per tutti”. Un testo il cui esame è stato seguito per dieci giorni da numerosi giornalisti nuovi al Palais-Bourbon. Fra di loro, dei giornalisti omosessuali che, pur senza applaudire al momento in cui Claude Bartolone (presidente della camera bassa, ndt) ha annunciato l’adozione del progetto, non hanno potuto evitare di tradire la loro l’ emozione.

 

[…] Li abbiamo sentiti sospirare quando qualche deputato, più spesso dai ranghi della destra, faceva delle affermazioni giudicate offensive nei confronti degli omosessuali. Quando l’ individuo sbuca da dietro il professionista…

 

Perché si tratta di una questione ricorrente vecchia (quasi) quanto il Figaro: i giornalisti devono e possono sottomettersi a una rigorosa obiettività? Il fatto di essere coinvolti a titolo personale in un argomento intacca la loro capacità di giudizio?

 

Se nei paesi anglosassoni la tradizione del columnist, che dà il suo punto di visita in una rubrica precisa è ben radicata, in Francia la frontiera fra i fatti e il piano editoriale si rivela essere più complicata da tracciare. […]

 

 

«Un punto di vista omosessuale»

 

Sul matrimonio per tutti, i media LGBT hanno investito tutte le loro forze nella battaglia e hanno adottato il punto di vista dei loro lettori. Per il pure-player Yagg, tutta la redazione del sito, che impiega in tutto cinque persone, era mobilitata il giorno del voto: un giornalista live-tweettava dalle tribune stampa, un altro dalla sala delle Quattro Colonne, un altro ancora restava in redazione.

 

«Non c’ è soggettività da parte nostra, ma un punto di vista omosessuale, è evidente”, spiega Paul Parant, responsabile del servizio attualità di Têtu, il più importante magazine gay di Francia, cha ha coperto con uno stagista (tempi difficili per il giornale che Pierre Bergé ha appena ceduto a…Jean-Jacques Augier, tesoriere della campagna Hollande, chiamato in causa nell’Offshoreleaks) i dibattiti dell’Assemblée nationale.

 

“Cerchiamo l’obiettività, non scriveremo nei nostri articoli ‘St’idiota di Philippe Gosselin’ [deputato schierato contro il progetto, ndlr]. Tuttavia, il nostro lettore ha un suo punto di vista preciso, bisogna difenderlo, proprio come un giornalista de l’Humanité che tratta argomenti sociali non rinuncerà a dire male dei padroni”.

 

Ciò non ha impedito al mensile di realizzare un’ intervista di Hervé Mariton, nella quale il deputato ha potuto sviluppare i suoi argomenti contro il matrimonio gay. «Non è mai stato omofobo e ha parlato di argomenti di fondo – giustificaPaul Parant -. Tuttavia, evidentemente, saremmo più portati  a pubblicare una foto che valorizza  un sostenitore della legge e una più ridicola di un oppositore.»

 

Nel mondo dei media non comunitari, che si tratti di pure-players (Rue89, Mediapart, Slate), della stampa economica (Alternatives Economiques, La Tribune) o culturale (Les Inrocks), abbiamo spesso potuto constatare una tendenza in favore della legge Taubira, senza dubbio attribuibile in parte all’orientamento a sinistra dei giornalisti o dei loro lettori..

 

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«Una risonanza personale, intima, innegabile»

 

Ma per certi questo è dovuto anche alla presenza nelle loro redazioni di giornalisti impegnati sulle questioni LGBT. Così, Mathieu Magnaudeix, che ha seguito per Mediapart tutto il percorso parlamentare del testo, non fa mistero della sua orientamento sessuale.

 

Lo rivendica addirittura: nel giugno scorso ha co-firmato su Le Monde un appello intitolato «Sortons du placard» (Usciamo dall’armadio, ndt) dove, in compagnia di altri professionisti dei media, invitava i giornalisti gay (ma anche gli attori, gli imprenditori, gli eletti, i sindacalisti…) a fare coming out.

 

«Volevo coprire questo dibattito, sono fiero di averlo fatto e di continuare a farlo nelle settimane e mesi a venire, spiega. Questo soggetto ha una risonanza personal, intima, innegabile e per queste ragioni ho tenuto a investirmici. Ero molto emozionato quando il testo è stato adottato.»

 

Più inaspettato l’atteggiamento di Alternatives économiques che ha ospitato diversi dossiers sulla questione, diretti da David Belliard, pure lui firmatario dell’appello «Sortons du placard». In carica della rubrica “società” e delle questioni di salute, si è impadronito del dibattito sul matrimonio d’ intesa con la sua capo redattrice.

 

«Ho fatto outing, qui tutti lo sanno e non fa discutere. Il fatto che io sia gay, evidentemente, influisce sui soggetti che propongo e sul mio punto di vista.»

Rivendica la scelta di non aver dato la parola agli oppositori come pure di fare il possibile per “legittimare” le evoluzioni della famiglia.

 

«Non siamo dei tramiti neutri. Preferisco un giornalista trasparente sulle sue orientazioni politiche piuttosto che una persona che si dichiara senza opinioni e poi manipola l’informazione.»

 

 

Frontiera fra giornalista e militante

 

Ma una tale trasparenza è auspicabile quando il giornalista è chiamato a trattare un argomento così incendiario come il matrimonio gay? Non rischia di perdere di credibilità di fronte al lettore che potrebbe accusarlo di mancare d’imparzialità?

 

Differenti scuole si affrontano su questo tema. Per Alice Coffin, giornalista sui problemi dei media a 20 Minutes, omosessuale e impegnata in diverse associazioni (La Barbe, Oui oui oui), «la frontiera fra giornalista e militante è destinata a sparire».

 

Cosa che può dare problemi. La giornalista ha recentemente criticato in una riunione di redazione la prima pagina dedicata ai padri dell’ associazione SOS Papa saliti su una gru per protesta perché la giudicava favorevole all’associazione e alle sue posizioni «omofobe e misogine».

 

«Mi hanno subito replicato che facevo del militantismo poiché sono delle cause che mi riguardano – osserva -. Ora, le persone LGBT sono nella condizione di parlare di questi argomenti e li conoscono molto bene. Quando i miei colleghi hanno bisogno di contatti, non si fanno mica problemi a venirmi a cercare. Bisogna smetterla con questa ipocrisia.»

 

Ma a 20 Minutes come nella maggior parte delle altre testate della stampa generalista sono i responsabili delle rubriche (parlamento o società) che sono stati incaricati di scrivere sul matrimonio gay. Per loro, anche se non si tratta di un argomento come un altro talmente è esplosivo, il loro lavoro deve essere neutro come al solito.

 

«Un buon giornalista dovrebbe poter fare astrazione delle sue idee e consegnare un lavoro professionale, assicura Hélène Bekmezian, giornalista parlamentare a Le Monde, che ha seguito l’integralità dei dibattiti. Ho cercato di mantenere il ruolo di arbitro.»

 

Il quotidiano ha scelto di sostenere il progetto di legge Taubira, ma questa è una questione di linea editoriale, decisa dai redattori capo, e non dell’ opinione dei giornalisti. Il punto di vista del giornale è stato dunque espresso nei soli editoriali, anche se la tonalità generale degli articoli non risulta ostile al matrimonio gay. Stesso fenomeno, ma questa volta contro il progetto, in testate come Le Figaro o Valeurs actuelles, che hanno scelto di opporvisi.

 

 

Restare «alla giusta distanza»

 

Molti giornalisti gay difendono un giornalismo impegnato e ritengono di dover al loro lettore la trasparenza riguardo ai loro orientamenti sessuali. Ma un coming-out, per un giornalista omosessuale, suppone una certa sicurezza dell’impiego e una buona intesa con la sua gerarchia..

 

«Posizionarsi apertamente come omosessuali è più complicato quando si è freelance o si è in cerca di lavoro – confida un giovane freelance che ha coperto i dibattiti -. C’è sempre questo timore di far paura ai datori di lavoro che si suppone possano aspettarsi da un debuttante un profilo piuttosto neutro.» Assicura così di essere rimasto «alla giusta distanza» dal suo soggetto poiché «è il ruolo di un giornalista quando non è editorialista».

 

All’ opposto, è in prospettiva di trasparenza ma anche in una logica di influenza che sta nascendo il progetto di una «associazione dei giornalisti LGBT». I membri di questa associazione vorrebbero in particolare far riflettere all’ interno delle redazioni sui termini impiegati nel trattare i soggetti LGBT e «spingere» verso più articoli su questa problematica. Starebbero considerando anche la nozione di lobby, per rispondere alle critiche che potrebbero loro essere rivolte.

 

Poiché in Francia ogni approccio comunitario «all’ anglosassone» suscita molto spesso reazioni oltraggiate. […]

 

 

«Attendevamo prese di posizione importanti»

 

[…] Didier Lestrade, fondatore di Act-up, di Têtu e corsivista di Slate,  […] in rottura con il «movimento gay mainstream», considera che il dibattito sul matrimonio per tutti è stata un’ occasione persa per fare avanzare la causa omosessuale:

 

«Laddove attendevamo delle prese di posizione importanti da parte dei giornalisti gay, questi hanno parlato dell’argomento con più ritegno del solito.»

 

E poiché parliamo di prese di posizione soggettive, riveliamo quelle dell’autore di questo articolo […] Essere giornalista rimane un mestiere e come tutte le professioni, la sua pratica è retta da codici che lo distinguono dal militante.

 

Ognuno «parla» con un punto di vista, con la sua inalterabile soggettività, ma deve soprattutto avere «lo spirito critico, la veridicità, l’esattezza, l’integrità, l’equità, l’imparzialità come pilastri dell’azione giornalistica» (dixit la carta del SNJ, il sindacato dei giornalisti). E’ per questo che non conoscerete l’ orientamento sessuale di chi firma queste righe. Né cosa pensa del defunto Hugo Chavez.