Allarme in Francia per il ‘’degrado’’ del mestiere di giornalista

Francia-copL’ impossibilità di farcela senza qualche lavoretto extra, nuovi carichi di lavoro non remunerato, precarietà, status professionale confusi: le condizioni di esercizio del mestiere di giornalista in Francia si degradano progressivamente.
 

L’ allarme viene dalla Scam (Société civile des auteurs multimédia, un’ associazione che raggruppa circa 34.000 autori in vari campi) sulla base di una Ricerca che ha coinvolto 3.400 giornalisti.

 

Quasi un giornalista su tre – precisa lo studio, presentato alle Assise del giornalismo di Metz qualche giorno fa – dichiara di svolgere una attività extra-giornalistica per arrotondare i propri redditi, che sono tra l’ altro estremamente disparati.

 

 

Il 12% dei partecipanti al sondaggio hanno un reddito annuo inferiore allo Smic (il Salaire minimum interprofessionnel de croissance), pari a  13.000 euro netti; il 18% sono fra i 13 e i 18.000 euro netti annuali, il 46% fra 20 e 40.000 euro, il 18% fra 40 e 60.000 e infine il 6% supera i 60.000 euro.

 

Cifre che suonano in forte contrasto con il parere della  Cour des Comptes (la Corte dei Conti d’ Oltralpe) secondo cui la professione giornalistica non sembrava ‘’sfavorita da un punto di vista salariale’’ e – spiegava la Reuters –   auspicava la soppressione dell’ abbattimento fiscale di 7650 euro di cui beneficiano i giornalisti. Anche se la Corte riconosceva anche che  “la situazione dei giornalisti freelance o a tempo determinato, in particolare quella dei giovani giornalisti, potrebbe spingere e sfumare sensibilmente questo giudizio’’.

 

Situazioni contrattuali contraddittorie

 

La tendenza va verso una moltiplicazione dei trattamenti sempre più accentuata, visto che per ridurre i costi crescono costantemente i datori di lavoro, soprattutto i nuovi media digitali, che pagano i giornalisti con diritti d’ autore o a fattura, chiedendo loro di assumere   uno status da auto-imprenditori. O ancora, in tv, impiegano i giornalisti  video reporter come ‘’intermittents’’  dello spettacolo, pagandoli solo per una parte del tempo lavorato.

 

Così, se il 62% degli interpellati sono salariati con contratto a tempo indeterminato e il 28% sono ‘’à la pige’’ (dei collaboratori fissi esterni), ci sono anche il 6% di imprenditori di se stessi, il 6% di lavoratori indipendenti, il 6% di autori e il 3% di intermittenti. La somma è superiore a 100 perché il 12% hanno più status.

 

Il fenomeno varia a seconda del settore di attività: i giornalisti della radiotelevisione sono in prevalenza assunti a tempo indeterminato (circa l’ 80%); quelli della carta scritta registrano una forte percentuale di ‘’pigistes’’ (37%), mentre i giornalisti multimediali per il 30% sono lavoratori indipendenti o auto-imprenditori. I fotografi, il segmento più precario, sono quelli che hanno contemporaneamente più tipi di trattamento.

 

Da notare che, secondo il Rapporto, il 90% dei 3.400 giornalisti francesi che hanno partecipato al sondaggio sono dei lavoratori dipendenti o parasubordinati (anche i collaboratori esterni fissi, i pigistes, vengono considerati dei salariati), mentre solo il 22% del campione fa quello che potremmo definire lavoro autonomo che in Italia ha raggiunto invece (vedi Giornalisti, la ‘’bolla’’ del lavoro autonomo) una percentuale di quasi il 60%. 

 

 

I ‘’pigistes’’

 

Situazione piuttosto tesa nel campo dei giornalisti con contratti ‘’à la pige’’, cioè collaboratori fissi pagati a pezzo (per certi versi analoghi agli art. 2 del nostro contratto di lavoro).

 

‘’Precarietà, isolamento, assenza di riconoscimenti’’ sono le recriminazioni più diffuse.

 

Denunciano una disparità di trattamento con i dipendenti sia in termini di remunerazione che di quantità di lavoro, oltre che di protezione sociale (assicurazione, buoni vacanza, buoni regalo a Natale). E una applicazione approssimativa dei diritti sul lavoro. Cosa che comporta la necessità di battersi continuamente per il rispetto dei propri diritti (premi di anzianità aziendale e carte de presse, tredicesima mensilità, ferie e permessi pagati).

 

Infine sottolineano il disprezzo per gli esterni alla redazione, che si sarebbe aggravato con la crisi. Parlano di difficoltà sempre maggiori nel trovare nuovi contratti di collaborazione e di essere molto meno integrati nelle redazioni rispetto al passato.

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Carichi di lavoro non remunerati

 

I pigiste faticano sempre di più a vivere del loro lavoro, perché le tariffe a cartella (1500 battute) restano ferme mentre aumentano i contribute sociali e le spese spesso non vengono rimborsate. I freelance d’ altronde hanno sempre meno spazio nei giornali, molti dei quali sono in difficoltà. La molteplicità dei supporti crea anche a volte dei nuovi carichi di lavoro non remunerato: molti raccontano di dover alimentare il sito del giornale, oltre a fare il lavoro quotidiano, senza compensi supplementari.

 

Altra notazione: la scelta di argomenti meno vicini alla realtà.  I giornalisti denunciano un progressivo “allineamento sul buzz” e il prevalere di temi ‘’ritenuti interessanti per il pubblico, invece che tentare di interessare i lettori a tutti gli argomenti’’, provocando poi una confusione crescente fra comunicazione e informazione.

 
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Il reddito

 

Il 12% dei partecipanti al sondaggio hanno un reddito annuo inferiore o uguale allo Smic,  13.000 euro netti; il 18% sono fra i 13 e i 20.000 euro, il 46% fra 20 e 40.000 euro, il 18% fra 40 e 60.000 e infine il 6% supera i 60.000 euro.

 

Si osservano forti disparità a seconda del settore di attività – osserva il Rapporto -: i fotografi sono quelli che guadagnano di meno (sovra-rappresentati nella categoria del reddito più basso: 37% contro il 12% del campione), mentre i giornalisti televisivi quelli che guadagnano di più (il 40% al di sopra dei 40.000 euro netti contro il 23% dell’ insieme del campione).

 

Altro elemento emerso, lo squilibrio uomini/donne. Mentre il peso di genere nel campione è pressoché equivalente, le donne rappresentano il 62% dei redditi più bassi (meno 20.000 euro annui) e solo il 16% di quelli più alti.

 

Infine, una porzione notevole di giornalisti ha delle remunerazioni che variano da mese a mese (30%) e da un anno all’ altro (21%).

 

Per quanto riguarda il tipo di rapporto di lavoro, nel settore della stampa il 91% sono salariati (73% dei quali pagati con stipendio mensile e il 27% a pezzo), mentre il 20% viene compensato anche (o solo) con diritti d’ autore e il 9% con onorari professionali.

 

 

I compensi delle collaborazioni

 

TV: più di un pigiste su due prende meno di 1.000 euro per un reportage breve (meno di 26 minuti).

Radio: più di un giornalista su tre ha un compenso di meno di 60 euro a servizio (-26’).

Stampa scritta: un pigiste su due riceve meno di 70 euro a cartella (1500 battute)

Foto: più di un fotografo su 3 riceve meno di 30 euro a foto.

 

Il 29% del campione dicono di avere un’ attività extra-giornalistica. Tuttavia, se si escludono i dipendenti a tempo pieno – 62% del campione – che ‘’solo’’ nel 17% dei casi hanno un’ attività extra, la proporzione schizza al 51%.

 

E’ del 42% per i collaboratori fissi e gli intermittenti, del 60% per gli autori e del 67% per i professionisti indipendenti e gli auto-imprenditori.

 

Il 35% dei giornalisti che hanno un’ attività extra non sono titolari della carte de presse, sono meno remunerati della media (21% hanno redditi inferiori o uguali allo Smic, contro il 12% del campione) e hanno dei redditi più aleatori.

 

 

Il degrado del mestiere

 

Per il 50% del campione la questione della remunerazione è il problema principale nell’ esercizio del mestiere. Viene prima di condizioni di lavoro (35%), status professionale (20%),  libertà di espressione e uguaglianza di genere, entrambi col 15%.

 

Quale che sia il sesso, la situazione con la carte de presse o il settore di attività, quello della remunerazione è la questione più citata. Solo per i giornalisti tv sta al secondo posto, dopo le condizioni di lavoro, che sono invece al secondo posto per i dipendenti a tempo pieno.

 

Il problema dell’ uguaglianza uomini/donne è citata dall’ 85% delle donne e dal 15% degli uomini.

 

Reporter di guerra

 

Nel campione figurano 176 giornalisti che si occupano di conflitti armati e che rappresentano uno strato professionale tutto particolare.

 

E’ una popolazione più maschile (73% uomini contro la media del 49% del campione), 17% hanno meno di 35 (contro il 28%) e il 45% hanno più di 50 an ni (contro il 29%).

 

I loro redditi sono significativamente più alti degli altri ma anche più variegate. E’ come se il fatto di coprire dei conflitti armati si traducesse in una remunerazione superiore, tranne che per i fotografi e i registi.

 

Così, il 14% ricevono meno di 20.000 euro netti l’ anno, il 38% fra 20.000 e 40.000 e il 48% più di 40.000, contro rispettivamente il 32%, 44% e 24% per l’ intero campione.

 

Il 25% di loro non sono assicurati. Una proporzione ancora più elevata fra i fotografi (50%). Segno che molti giornalisti partono per zone di guerra senza alcun contratto.

 

Francia2La ‘’carte de presse’’ non rappresenta più la realtà del mestiere

 

Conseguenza di questo cumulo è la difficoltà nell’ ottenere o nel conservare la carte de presse, che viene concessa solo a chi riceve almeno il 50% dei propri redditi da aziende giornalistiche. E molti sollecitano quindi una riforma delle norme e della Commissione che le rilascia alla luce di questi cambiamenti.

 

Attualmente i giornalisti ‘’encartés’’ (dotati cioè di carte de presse) sono 37.477. Una cifra che, secondo la vicepresidente della Scam, Lise Blanchet , rappresenterebbe solo un po’ più della metà dei giornalisti professionali.

 

Da qui la richiesta di una convocazione degli Stati generali del giornalismo per ridiscutere il sistema attuale di concessione del documento.