Un paese opaco, paralizzato da una astrusa cultura della segretezza

Così come il PIL non è sufficiente a calcolare il benessere di un paese, allo stesso modo non basterebbe uno stetoscopio a stabilirne lo stato di salute  – Il grado di trasparenza e openness delle istituzioni ne è un indicatore sempre più rilevante a livello globale. Ma in Italia l’accesso a informazioni, dati, procedimenti, ecc. della pubblica amministrazione è ancora un miraggio (e ancora ci si ostina nel tentativo di distinguere tali categorie). Stesso discorso per la trasparenza di enti e istituzioni che gestiscono tali informazioni  —  Una testimonianza di Amelia Beltramini, capo redattore di Focus.

 

 

La giornalista fornisce gli spunti per indagare la sanità del Bel Paese, ma mette anche impietosamente in luce tutta l’opacità della cosa pubblica italiana, riscoprendo (ancora una volta) un paese patologicamente dipendente da astrusi meccanismi di segretezza. Nonché un’informazione ormai assuefatta a tali meccanismi, incapace di scardinarli, eluderli, o più semplicemente disinteressata a farlo  —  Un pezzo di open journalism che ci guida tra le principali patologie italiane

 

di Amelia Beltramini

 

Dal 23 giugno è in edicola uno Speciale di Focus dal titolo I migliori ospedali d’Italia (2,90 €) per sapere a chi rivolgersi per le più comuni patologie acute. Utile anche in vacanza, non si sa mai… I dati sono del Ministero della salute, progetto PNE (piano nazionale esiti), relativi ai ricoveri per i malanni più frequenti. La sanità è pagata con denaro dei cittadini e i dati sono raccolti spendendo denaro dei cittadini, quindi quei dati sono dei cittadini che devono poterne disporre. Dati utili e interessanti: di ogni struttura sono riportati la mortalità dei pazienti nei 30 giorni dopo la dimissione, la percentuale di re-interventi, le complicanze, la durata della degenza, i tempi di attesa: gli aridi numeri sono resi leggibili da un semaforo verde per i dati migliori della media, giallo per quelli che non si discostano significativamente dalla media e rosso per quelli inferiori alla media.

 

Abbiamo calcolato che se tutte le strutture italiane migliorassero fino a raggiungere i risultati delle migliori (quelle verdi), si salverebbero circa 38 mila vite l’anno, cioè circa 100 al giorno.

 

Corteggiavamo questi dati dall’aprile 2010 e con metodi giornalistici avevamo acquisito quelli relativi al 2009, ma stavano uscendo i dati del 2010 e volevamo ottenerli utilizzando le procedure previste dalla legge istitutiva del Foia (Freedom of information act) italiano per verificarne l’efficacia. L’esempio era quello del Guardian inglese cui era bastato chiederli tramite Foia.

 

Il 23 dicembre 2011 (governo Mario Monti in carica, ministro della Salute Balducci, ex presidente Agenas, ente coordinatore del progetto) avevamo pertanto inviato per posta certificata e per posta raccomandata RR una richiesta ufficiale all’Agenas , perché ci fornisse i dati del 2010 e del 2009 (che richiedevamo solo per verificare se ci avrebbero fornito almeno i dati vecchi). Secondo il FOIA italiano la domanda va indirizzata al “responsabile del procedimento”.

 

La risposta, pur confermando che il responsabile del procedimento era Moirano, direttore di Agenas, rimandava al 27 marzo 2012 la chiusura del “progetto scientifico” (che nulla ha a che fare con i dati chiesti) e si nascondeva dietro al ministero della salute definito proprietario dei dati, e unico che avrebbe potuto renderli disponibili in epoca successiva al 27 marzo. Ma al quale non potevano essere chiesti perché non vi era indicato alcun responsabile del procedimento. Obiettava inoltre la risposta che i dati non sono documenti e quindi non rientrano nel Foia (sarà bene chiarire nella stesura di un vero Foia italiano che fra dati e documenti non c’è differenza).

 

Era nostra intenzione ricorrere, ma nel frattempo, il 15 marzo sul sito dell’Agenas, veniva pubblicato un comunicato stampa, in cui si affermava che i dati relativi al 2010 erano stati messi in chiaro per gli amministratori. Il giorno successivo, venerdì 16 marzo, l’ufficio stampa del ministero della salute invitava una serie di testate a un media training per il mercoledì successivo, al termine del quale sarebbero state consegnate ai giornalisti invitati le chiavi di accesso personalizzate al database del 2010 per vincolarne l’uso ai pochi prescelti. Focus, l’unico che aveva fatto domanda in base alla legge Foia (e questo ci era stato più volte precisato in Agenas), non veniva invitato.

 

A quel punto, ottenuti i dati del 2010 per altre vie, lunedì sera cominciavamo a pubblicarli on line su Focus.it e diramavamo un comunicato stampa a tutte le agenzie, ma nessuno lo riprendeva. Martedì sera apprendevamo dalla mail di un collega “stamattina – durante una conferenza al ministero – abbiamo chiesto lumi a Fulvio Moirano direttore di Agenas, sui numeri di Focus. Lui ha risposto che non sono corretti… e addirittura passibili di denuncia.. !!!! Per questo li abbiamo ignorati. I dati ai giornalisti loro li danno domani insieme alla password di accesso.. ”. Interpellato telefonicamente il collega affermava che tutti avevano temuto una smentita di Moirano.