Il modello Forbes, la ”perfezione” dell’ economia della gratitudine

Un Huffington Post moltiplicato per cento.  E’ il ‘’modello Forbes’’:  30 milioni di utenti unici al mese . Un risultato raggiunto soprattutto grazie a due fattori: l’enorme quantità di contenuti – 100mila post pubblicati lo scorso anno da un esercito di quasi mille freelance,  e un approccio nuovo e spregiudicato nel modo di pianificare la gestione del lavoro redazionale.

 

Che vuol dire soprattutto abbracciare in pieno la strategia (già ampiamente battuta da altri moloch dell’informazione online) dell’economia della “gratitudine”.

 

Un’ ampia analisi di  Lelio Simi su Senzamegafono, che riprendiamo integralmente.

 

 

Giornalismo imprenditoriale. Dove ci porta il ”modello” Forbes?

di Lelio Simi

( Senzamegafono)

 

Se con il tuo sito di news superi i 30 milioni di utenti unici il mese raddoppiando il tuo traffico in un anno, è inevitabile, un po’ di attenzione l’attiri  da parte di chi cerca modelli vincenti per l’informazione online. Così Forbes (o meglio il suo portale di notizie Forbes.com) è diventato il “modello Forbes”. Un risultato raggiunto soprattutto grazie a due fattori: l’enorme quantità di contenuti: 100mila post pubblicati lo scorso anno da un esercito di quasi mille freelance e un approccio nuovo e spregiudicato nel modo di pianificare la gestione del lavoro redazionale. La rivoluzione è stata realizzata da Lewis DVorkin che di Forbes è Chief product officier, e se i numeri gli stanno dando ragione in pieno non mancano però alcune perplessità su tutta l’operazione.

 

Ma dove sta la novità? Innanzitutto Forbes.com più che un classico sito web è una piattaforma nella quale i tanti collaboratori gestiscono i propri blog e pubblicano i propri articoli in quasi totale autonomia ma impegnandosi a garantire accuratezza e costanza nell’interazione con i lettori. Forbes da parte sua fornisce strutture e tecnologia, e in alcuni (rari) casi anche un po’ di soldi in base al traffico generato (insomma ai clic che riesci a mettere insieme). DVorkin lo chiama incentive-based entrepreneurial journalism, giornalismo imprenditoriale basato su incentivi ovvero come ha spiegato a Mashable: “Quello che stiamo facendo è estendere il nostro marchio a 1.000 marchi: cioè tutte le persone che scrivono attraverso il nostro sistema. Se fanno un buon lavoro, costruiscono un seguito tra i lettori. Se non fanno un buon lavoro essendo responsabili per i loro contenuti, non saranno in grado di costruirsi un pubblico di persone che li seguono”. Tradotto brutalmente o sei capace di nuotare da solo o affoghi.

 

La maggior parte del controllo e dell’elaborazione dei testi non viene quindi fatto da una redazione giornalistica che cura i vari contenuti ma direttamente dai singoli freelance. “Non vi è alcun editing tradizionale sui contenuti dei contributor, almeno non prima della pubblicazione. Se una storia diventa ‘calda’ e va in home page, allora chiediamo al freelance di verificare più attentamente” dice ancora Dvorkin che aggiunge “Gli autori, sia per il personale o freelance, scrivono i loro titoli, caricano il materiale multimediale, formattano i propri articoli in WordPress e premono loro stessi il pulsante ‘pubblica’. A differenza della rivista su carta, nessuno modifica il loro lavoro. Nessuno verifica i fatti”.
In realtà una redazione c ‘è, la “new newsroom” disegnata da Dvorkin dove  tra i collaboratori – gli unici a creare contenuti – e il lettore  si inseriscono diverse figure professionali (esperti SEO, product manager, analisti ed esperti marketing) che “guidano” i testi a secondo del’audience e della loro capacità di relazionarsi con gli sponsor.

 

 

Il modello è per molti aspetti quello dell’Huffington Post ma – come ha fatto notare qualcuno – moltiplicato per cento. Anche dal punto di vista della retribuzione, tranne qualche rara eccezione, siamo nel territorio (già ampiamente battuto da altri moloch dell’informazione online) dell’economia della “gratitudine”: associando il mio nome al marchio Forbes e alla piattaforma con un così largo seguito posso promuovere me e il mio lavoro in modo più efficace.

 

Almeno questa è la teoria. La pratica per il momento dice che i vantaggi per Forbes sono decisamente più concreti: contenuti a costo basso, oltre che scalabilità e flessibilità, perché si può contare su un enorme “parco” di collaboratori che può aumentare o diminuire in proporzione delle esigenze della testata, visto che i contributor hanno contratti che possono essere risolti con preavviso di 30 giorni. Il sistema garantisce quindi più contenuti più rapidamente, e minori costi compresi quelli dovuti alla contrattualizzazione di redattori fissi. Evviva.

 

Ci sono pochi dubbi che quello che sta accadendo al sito di Forbes debba essere guardato con attenzione perché ci sta dicendo diverse cose su quello che potrebbero essere molte delle tendenze future. Ma se, al di là dei più che lodevoli numeri ottenuti, il “modello Forbes” come al sottoscritto qualche perplessità ve la suscita, vi consiglio di leggere oltre  al già citato Forbes’s Web Expansion Comes With Some Growing Pains, sia il bell’articolo di Jeff Sonderman What the Forbes model of contributed content means for journalism che ne evidenzia punti forti, ma anche i punti deboli, sia l’ottimo post Is Forbes the model for a digital-first media entity?, su GigaOm a firma di Mathew Ingram.

 

Da parte sua DVorkin (che ricordo ha una grande esperienza giornalistica alle spalle per testate come Wall Street Journal e New York Times), ha le idee molto chiare come dimostra nel suo blog (da leggere assolutamente) dove spesso racconta  l’evoluzione del suo progetto, sottolineando costantemente come alla base della sua idea di giornalismo economicamente sostenibile ci siano valori come trasparenza, qualità e interazione con i lettori. Per molti versi siamo nei paraggi di quel giornalismo aperto del quale ho parlato spesso in questo spazio.

 

Il fatto è che DVorkin conosce molto bene il valore dei contenuti originali e di qualità, dei media sociali e dell’engaging, non solo per quanto riguarda la fidelizzazione del lettore ma anche per quello che concerne il suo coinvolgimento nel processo di produzione delle notizie. Queste strategie le sta affinando da qualche anno e già con True/Slant – altro portale news modellato sull’idea di unire giornalismo, networking, nuove forme di pubblicità e imprenditoria – aveva cominciato a far emergere il suo nuovo modello di web journalism tutto concretezza e pragmatismo. In questo è probabilmente anni luce avanti rispetto a molti dirigenti delle grandi testate così poco capaci di saper leggere con lucidità il cambiamento intorno a loro. E per dirla tutta bisogna ammettere che Forbes.com rispetto a solo due anni fa è nettamente migliorato, con molti ottimi contenuti.

 

Forse alla fine niente di assolutamente nuovo Forbes.com probabilmente sta solo, nel bene e nel male, mettendo in evidenza, estremizzandole, questioni già conosciute nelle ultime tendenze dell’informazione online così come nella stampa mainstream (che non ha aspettato certo l’entreprenurial journalism e la cultura digitale per scoprire, e spesso non risolvere, conflitti di interessi e rischio di marchette spacciate per articoli giornalistici). Resta però un’immagine di cosa sarà/potrebbe essere il futuro (cioè dopodomani): testate d’informazione senza più una redazione giornalistica, realizzate aggregando contenuti (più o meno in evidenza a seconda del traffico generato e delle opportunità di business) scritti e messi online da schiere di freelance/imprenditori che – ognuno per conto proprio – producono contenuti esclusivamente nelle loro campo di interesse e incentivati dal comprensibile desiderio di autopromuoversi. Potrebbe anche funzionare economicamente per qualche editore. Funzionerà per la qualità dell’informazione e per il futuro di questa professione?