‘’Giornalista deve essere chi lo fa, chi viene retribuito e paga i contributi Inpgi’’

Senza una radicale riforma, l’ Ordine rischia di diventare definitivamente un ente inutile – Dopo il ‘’decretino’’ agostano, Giancarlo Ghirra, segretario del Consiglio nazionale dell’ Odg, denuncia la ‘’timidezza’’ del ministro Severino (‘’di fronte a quanti, in Parlamento e fra i giornalisti, intendono mantenere una struttura figlia dell’Ottocento’’) e indica quali a suo parere dovrebbero essere le linee della riforma: ‘’Laurea (basta con la favola del praticantato sul campo, che nessuno fa più nelle forme dei decenni scorsi); abolizione dell’ antistorica divisione fra professionisti e pubblicisti divisione che  penalizza tanti giovani sfruttati e ridotti a precari e consente a iscritti ad altri albi professionali non soltanto di essere iscritti all’Ordine ma anche di rappresentare i giornalisti nei Consigli.

 

 

E, ancora, elenco unico nel quale si entra soltanto se si supera l’esame di Stato e si versano contributi all’Inpgi – Infine, grande rigore etico: se ne sente il bisogno davanti a un giornalismo fazioso e impreciso che va perdendo di credibilità giorno dopo giorno’’ – Una legge per un Ordine più rigoroso può evitare un insidioso provvedimento sulle intercettazioni, dice ancora Ghirra, che su questi temi interviene anche sul prossimo numero di Tabloid, il periodico dell’ Odg di Milano

 

di Giancarlo Ghirra
(segretario del Consiglio nazionale dell’ Ordine dei giornalisti)

 

Nato quasi cinquant’anni fa, quando nelle redazioni si ritrovavano meno di 10.000 professionisti, in Italia uscivano una settantina di quotidiani e poche centinaia di periodici, e si contava una sola azienda radiotelevisiva, la Rai, l’Ordine dei giornalisti si trova oggi immerso in un magma incandescente. Gli iscritti sono oltre 112 mila, sono migliaia tivù, radio, e, soprattutto, siti e testate on line. Solo il numero dei quotidiani è rimasto invariato, ma, per il resto, il mondo dell’informazione è letteralmente esploso, dilagando anche su social network e blogger.

 

C’ era dunque da aspettarsi una riforma incisiva della, pur ottima, legge voluta nel 1963 fra gli altri da Guido Gonella e Aldo Moro. E invece Paola Severino ha mostrato di essere una ministra di parola soltanto per quanto riguarda il rispetto delle date. Aveva garantito che entro il 14 agosto avrebbe varato il decreto di  riforma degli Ordini professionali. E il 14 agosto il Dpr è stato pubblicato sulla Gazzetta ufficiale. Ma la responsabile della Giustizia non ha tuttavia tenuto nel debito conto, se non sulla questione dell’assicurazione obbligatoria, la peculiarità della professione giornalistica, della quale aveva nel recente passato riconosciuto autonomia e specificità.

 

 

Il decretino di mezza estate

 

Il decretino di mezza estate ha corretto alcune sconcertanti scelte dello schema diffuso due mesi fa, quando la ministra aveva ipotizzato di affidare la tutela della deontologia in primo grado agli Ordini delle regioni più vicine e l’appello addirittura ai primi dei non eletti, quelli che il gergo  dei giornalisti definisce ‘’trombati’’. Ora si torna a criteri più accettabili sulla disciplina.

 

Delude tuttavia l’assenza di un disegno di riforma, la volontà di modificare profondamente una legge vecchia di 50 anni con poche ma incisive norme che una giurista del livello di Paola Severino non può non condividere se vuole contribuire a rendere l’Ordine dei giornalisti più efficiente e più credibile.

 

I giuristi spiegano ora che la delega del Parlamento al Governo non prevedeva la possibilità di un cambiamento profondo della vita dell’Ordine, rispondente ai tempi drammatici che viviamo, con l’irruzione di tecnologie avveniristiche e migliaia di giovani giornalisti costretti a lavorare in condizioni di grave precarietà, con compensi spesso iniqui. Ma a lungo negli ultimi dodici mesi i giornalisti italiani avevano sperato che il Dpr incidesse più profondamente nella vita dei 27.960 professionisti, 73.000 pubblicisti, 1.666 praticanti e 9.138 iscritti all’ elenco speciale dell’ Ordine.

 

 

La ‘’timidezza’’ del ministro Severino

 

E la stessa Paola Severino sembrava avere idee ben chiare sulle scelte da adottare per evitare che l’ Ordine dei giornalisti finisca nella lista degli enti inutili. D’ altronde è stato proprio il confronto con i dirigenti del Consiglio nazionale dell’ Ordine a ottenere alcuni risultati positivi rispetto allo schema di decreto presentato due mesi fa: intanto è stato escluso per i giornalisti l’obbligo dell’assicurazione obbligatoria, poiché il professionista dipendente non ha clienti. E anche sul tirocinio non vengono toccate le norme previste dal contratto nazionale e dalla legge istitutiva dell’Ordine, che prevedono un praticantata di 18 mesi.

 

Semmai il nodo che riguarda i giornalisti, e che il Dpr non ha affrontato, riguarda il fatto che ormai sono poche centinaia all’anno i giovani assunti con regolare contratto di praticantato, mentre nelle redazioni anche di testate importante, a partire dalla Rai, si ricorre a forme insopportabili di sfruttamento del lavoro precario.

 

Ordine e Federazione nazionale della stampa premono su Governo e Parlamento per ottenere quella legge sull’equo compenso che escluda da contributi pubblici le testate protagoniste dello sfruttamento. Ma è evidente che ciò non basta: occorre cambiare radicalmente l’ accesso alla professione e garantire retribuzioni contrattuali.

 

L’ impressione è che anche la ministra abbia personalmente le idee chiare su questo punto, ma non intenda scontrarsi con quanti, in Parlamento e fra i giornalisti, intendono mantenere una struttura figlia dell’ Ottocento.

 

 

Nel 2012 giornalista deve essere chi lo fa

 

Nel 2012 giornalista deve essere chi lo fa, chi viene retribuito per scrivere e paga i contributi all’Inpgi, l’istituto di previdenza dei giornalisti. Non si  può continuare con l’ antistorica divisione fra professionisti e pubblicisti che  penalizza tanti giovani sfruttati e ridotti a precari e consente a iscritti ad altri albi professionali non soltanto di essere iscritti all’Ordine ma anche di rappresentare i giornalisti nei Consigli.

 

Giornalista è e deve essere chi ha la necessaria preparazione, figlia di una laurea e di un tirocinio seri o e rigoroso. Giornalista è chi rispetta le regole deontologiche, non viola il rapporto di fiducia con i lettori praticando la commistione fra informazione e pubblicità, non scrive il falso, verifica rigorosamente le notizie.

 

Laurea, dunque (basta con la favola del praticantato sul campo, che nessuno fa più nelle forme dei decenni scorsi), elenco unico nel quale si entra soltanto se si supera l’esame di Stato e si versano contributi all’Inpgi, e grande rigore etico: se ne sente il bisogno davanti a un giornalismo fazioso e impreciso che va perdendo di credibilità giorno dopo giorno.

 

Non è un obiettivo semplice: si pensi che oggi dei 112 mila giornalisti iscritti all’ albo nei suoi diversi elenchi e registri soltanto cinquantamila, cioè meno della metà, versano (da dipendenti o da collaboratori e free lance) contributi all’ Inpgi, l’istituto di previdenza. Meno della metà degli iscritti, insomma, esercita attività professionale.

 

 

Mettere ordine nell’ Ordine

 

Si sente insomma l’esigenza di mettere ordine nell’Ordine. Noi che ogni giorno sulle colonne dei giornali e dagli schermi, per non parlare del web, rivolgiamo irate prediche a politici e amministratori sollecitando tagli di poltrone e scelte anticasta abbiamo un Consiglio nazionale di 150 componenti, che diventerà ancora più pletorico nel 2013 se una nuova legge non impedirà di arrivare a quota 153.

 

Ma a che servono tanti consiglieri, soprattutto dopo che la parte disciplinare verrà affidata a una specifica commissione? Cinquanta, al massimo sessanta, sono più che sufficienti.

 

Un testo di legge di riforma giace nei cassetti del Senato dopo un voto unanime della Camera. La ministra della Giustizia si è detta pronta a presentare un maxiemendamento al testo che porti a una riforma. Speriamo lo faccia, inserendo alcuni punti qualificanti: la metà del Consiglio deve essere di consigliere donne (oggi su 150 sono appena 20), non più del 20% deve essere formata da pensionati (oggi prevalenti) per consentire al Consiglio di rappresentare chi vive sul campo successi e drammatiche sconfitte di una professione sotto attacco.

 

E nessun consigliere dell’Ordine dev’essere contemporaneamente dirigente del sindacato, dell’istituto di previdenza, della Casagit, o, peggio, di organismi di categoria di altre professioni. Noi che parliamo agli altri di compatibilità, ineleggibilità, e anche  di numero di mandati, dobbiamo finalmente essere più rigorosi.

 

 

Una legge per un Ordine più rigoroso può evitare un insidioso provvedimento sulle intercettazioni

 

 

Ma soltanto una legge ci può spingere sulla via della virtù. Una legge che ci aspettiamo dalla ministra Severino, alla quale garantiamo che un Ordine più rigoroso nel fare giustizia sui limiti dei giornalisti italiani può farle risparmiare la fatica di un delicato e insidioso provvedimento sulle intercettazioni: siamo contro ogni legge bavaglio, pronti a punire chi, fra noi, non rispetti privacy e dignità delle persone. Lo abbiamo già fatto,  lo faremo meglio con un Ordine riformato.

 

Qualsiasi intervento esterno sulla stampa rischia di mettere in forse la democrazia e la libertà dell’informazione, già duramente provate nel nostro Paese da poderosi conflitti di interesse e dall’ assenza quasi totale di editori puri.

 

Semmai c’è da stare più attenti del solito anche nelle redazioni. Il cattivo giornalismo, quello che si fa strumento di tentativi di ricatto e di uso politico brutale dell’informazione, può portare cattive leggi: proprio ciò che non vogliamo