Giornali: Clay Shirky, la crisi è una questione culturale prima che economica

In una analisi di qualche giorno fa, di cui pubblichiamo la traduzione integrale, Clay Shirky entra a fondo nel discorso dei modelli di business per la stampa digitale, partendo dal fallimento del paywall integrale adottato dai londinesi Times e Sunday Times.

Sottraendo i contenuti al pubblico si sottraggono anche gli spazi per gli annunci pubblicitari e quindi vengono a mancare le due possibili fonti principali di entrata per un giornale: lettori e pubblicità. Tanto che, già dopo tre settimane dal lancio dei “muri” le due testate avevano perso quasi il 90% dei propri lettori.

Al contrario del paywall integrale, sembra funzionare il sistema a “soglia di accesso” dove il lettore può fruire di un certo numero di contenuti gratuitamente (attualmente sono mediamente 20 articoli mensili) come dimostra la positiva esperienza del New York Times e di altri giornali statunitensi.

La convinzione di Shirky è da sempre che una delle cause fondamentali della ormai endemica crisi dei giornali, sia l’incapacità degli editori in primo luogo, ma anche dei giornalisti, di staccarsi dal vecchio modello economico della carta stampata. I giornali online devono sviluppare un proprio modello di sostenibilità che prescinda dal passato.

Ma il problema è culturale prima che economico.

Non è più sostenibile la logica dei quotidiani che vedono il lettore come un cliente e le notizie come un prodotto,  concependo il giornale come un “pacchetto” generalista che possa soddisfare qualsiasi tipo di esigenza. I giornali debbono puntare alla creazione dei contenuti originali e di qualità , ed a quei lettori che sono disposti a sostenerli.

Bisogna dare più importanza a motivazioni non-finanziare e non commerciali, come la lealtà, la gratitudine, la dedizione alla missione, un senso di identificazione con il giornale, il bisogno di preservarlo come istituzione piuttosto che come business.

 

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NEWSPAPERS, PAYWALLS, AND CORE USERS

di Clay Shirky

(a cura di Antonio Rossano)

 

Questo potrebbe essere l’anno in cui i giornali finalmente abbandoneranno l’idea di trattare tutte le news come prodotti e tutti i lettori come clienti.

Un primo segno di questo cambiamento è stato il lancio, nel 2010, dei paywall integrali per i londinesi Times e Sunday Times, che però non hanno sviluppato nuove strategie; nel mondo dell’informazione sono stati comunque considerati come una verifica effettiva sull’ipotesi che  giornali generalisti (Non) potessero indurre una massa critica di lettori a pagare.

Successivamente, in marzo, il New York Times ha introdotto un sistema di pagamento per i lettori che superavano una certa soglia di articoli letti (uno schema prelevato dalla stampa finanziaria ed in particolar modo dal Financial Times) che sta generando entrate cospicue. Finalmente e più recentemente lo scorso mese, due importanti annunci: il Chicago Sun-Times ha adottato un sistema di pagamento a soglia e il Minneapolis Star-Tribune ha affermato che il proprio esistente paywall (sempre a “soglia” N.d.T.)  funzionava in maniera soddisfacente.  Considerati tutti insieme questi eventi smentiscono la convinzione che le informazioni online possano essere trattate come un semplice prodotto da vendere, come lo sono stati i giornali cartacei.

Gli addetti ai lavori hanno spesso insistito, a volte con rabbia, che noi lettori dovessimo pagare per i contenuti ( una affermazione che era apparsa, proprio in quella forma già nel 1996). In quello stesso periodo, i contenuti disponibili gratuitamente sono cresciuti di dieci volte, non così il numero di quelli che invece li compravano. Infatti,  come Paul Graham ha sottolineato “I consumatori non pagavano mai per i contenuti e anche gli editori non stavano realmente vendendoli… Quasi tutte le pubblicazioni erano organizzate come se quello che doveva essere venduto fosse il contenitore ed il contenuto fosse irrilevante”.

La radio commerciale è sostenuta solo dalla pubblicità perché nessuno può immaginare un modo per impedire l’accesso alle onde radio; la TV via cavo raccoglie abbonamenti perché qualcuno ha inventato il modo per controllarne l’accesso. La logica della rete è che ognuno paga per l’infrastruttura, quindi ognuno la possa utilizzare. Questo è ovviamente incompatibile con l’economia della stampa, ma stranamente, il principio industriale che “ogni lettore è un cliente” non è stato mai abbandonato dagli editori nel passaggio dalla carta stampata al web.

Un giornale stampato è un “pacchetto”. Un lettore che vuole leggere solo sport o l’andamento della borsa compra lo stesso giornale di quello che vuole leggere la politica locale e nazionale, o ricette e oroscopi.  Online il “pacchetto” viene però “spacchettato” ogni giorno dai lettori che seguono singole notizie senza alcun riguardo per le prime pagine o le sezioni o i percorsi di navigazione impostati dalle redazioni.

Questo spacchettamento porta ad una nuova matematica dei lettori online: se si contano le pagine visitate dai lettori in un mese si vedrà che la gran parte di essi, tra un terzo e la metà, legge una sola pagina. Un gruppo più piccolo ne legge due al mese, uno ancora più piccolo tre e così via fino al lettore più attivo, anch’egli in un piccolo gruppo, che legge decine di pagine al giorno, centinaia al mese.

Contro questo comportamento ingestibile dei lettori, un paywall ha rappresentato l’alternativa del “tutto o niente”, con il risultato che “Se non vuoi darci soldi, non ti faremo vedere neanche la pubblicità!” (meccanismo implicito di alcuni pay wall integrali come ad esempio quello del Times: ovviamente non potendo accedere ad alcun contenuto il lettore non viene neanche sottoposto a messaggi pubblicitari, privando di fatto l’editore di qualsiasi forma di entrata N.d.T.); il giorno del lancio del suo paywall, il Times di Londra ha ridotto  il suo pubblico online, che era molto più grande di quello della versione cartacea, ad una piccola parte di quest’ultimo.

Questo non è un problema specifico dei paywall dei giornali generalisti, questo è “il” problema dei paywall! Questione che era stata largamente compresa alla fine del secolo scorso e per la quale i paywall non hanno mai rappresentato una alternativa convincente. Il risultato più semplice del trattare le notizie digitali come un “prodotto” è ottenere soldi dal 2% dei tuoi lettori. Il risultato peggiore è perderne il 98%, che rappresentano la tua base per la pubblicità.

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Per comprendere questi 15 anni di attaccamento dei giornali ai paywall, bisogna comprendere che “Tutti debbono pagare!” non è solo un principio economico, ma un paradigma culturale. Sebbene i giornalisti abbiano sempre saputo che il numero dei lettori sarebbe crollato se avessero trascurato i contenuti esterni come le curiosità o l’intrattenimento essi, al contrario,  non sono mai stati interessati a capire perché poche persone leggessero notizie sul consiglio comunale o sulla rottura della tubazione dell’acqua. Una parte del fascino dei paywall, anche a fronte della loro inefficacia economica, è consistito nel mantenere l’idea che un “cercatore di coupon” e un “drogato di notizie” fossero solo clienti, persone le cui motivazioni potessero essere soddisfatte in generale, senza doverle comprendere in particolare.

La soglia di accesso tipica di alcuni paywall è stata spesso discussa come se essa fosse semplicemente un modo per indurre i lettori a pagare, cosa alla quale si dovrebbe rispondere “non per la maggior parte di essi”. Definire la soglia di accesso come un paywall “crepato” o “poroso” sottovaluta l’enormità del cambiamento; la metafora di una crepa suggerisce un contenitore per la gran parte intatto che lascia fuori una minoranza dei propri contenuti e un giornale che condivide anche due pagine al mese non libera affatto la maggioranza degli utenti dal pagamento. Ma nel momento in cui la soglia giunge a 20 pagine (un numero che sta rapidamente diventando usuale) un giornale rinuncia praticamente a vendere ad una percentuale del suo pubblico tra l’85% ed il 95% (come detto sopra la gran parte degli utenti legge poche pagine al mese N.d.T.), e questo convincerà solo una parte della residua minoranza a pagare.

I giornali hanno due principali fonti di reddito, i lettori e la pubblicità, ed essi possono operare su queste in scala massiva o su nicchie. Un giornale metropolitano è un tipico prodotto di massa per i clienti (i molti lettori che comprano il giornale) e per i pubblicitari (poiché molti lettori leggono i loro annunci). Le Newsletter e i giornali a bassa diffusione, al contrario, servono un pubblico di nicchia e per questo anche pubblicitari di nicchia, come Fire ChiefMother Earth News . (Alcune newsletter sono prive di pubblicità, come Cooks’ Illustrated, dove una parte di ciò che l’utente paga è la libertà dalle pubblicità, o meglio la libertà da un editore “grato” agli inserzionisti)

I paywall integrali hanno rappresentato un tentativo di mantenere il vecchio modello del “mass+mass” (lettori+pubblicitari N.d.T.) dopo il passaggio ad una distribuzione digitale.  Con così pochi lettori disposti a pagare e pertanto così pochi lettori a poter fruire della pubblicità, i paywall integrali portano invece i giornali in una dinamica di “niche+niche” (nicchia+nicchia). Quello che, al contrario le “soglie di accesso” creano, in modalità ibrida,  è un mercato di massa per i pubblicitari ed un mercato di nicchia per i lettori.
Come ha evidenziato David Cohn questo è l’equivalente commerciale del modello della Radio Nazionale Pubblica, dove gli sponsor raggiungono tutti gli ascoltatori, ma il supporto diretto viene solo dai donatori. (per timore che la NPR possa sembrare una piccola realtà , vale la pena ricordare che il Times ‘ha convinto qualcosa come uno su cento dei suoi lettori a pagare, mentre i sostenitori della Radio Nazionale Pubblica sono quasi uno ogni dodici ascoltatori. I giornali con “soglia di accesso” aspirano a raggiungere i livelli di persuasione di NPR). I paywall incoraggiano un giornale a focalizzarsi sul valore dei contenuti, le “soglie di accesso” li incoraggiano a focalizzarsi sul valore dei propri utenti.

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Le “soglie di accesso” sottopongono la logica del “pacchetto” del giornale cartaceo – un po’ di tutto per tutti,  riempito di annunci – a due nuove criticità: Cosa  vuole la maggior parte dei lettori abituali? E cosa può trasformare i lettori frequenti in lettori abituali? Queste alcune cose che non vogliono: più pubblicità. Più gossip. Più notizie d’agenzia. Questa è una nuova scommessa per i giornali mainstream, che hanno sempre contato i visitatori piuttosto che coinvolgerli, come principale metrica del loro business.

Le celebrità che si comportano male sono sempre al top delle pagine viste, ma quei lettori saranno tutto fuorchè abituali. Nel frattempo le persone che hanno raggiunto la “soglia di accesso” e che quindi pagano  sono, quasi per definizione, persone che considerano il giornale non solo come fonte occasionale di articoli interessanti, ma come istituzione essenziale, la cui sopravvivenza è di vitale importanza e a cui non interessa quali sono le offerte del giorno.

Nel discutere sul perchè i  lettori più fedeli pagherebbero per l’accesso al New York Times, Felix Salmon ha descritto alcune delle motivazioni riportate dai lettori:  “mi piace il prodotto, comprendo le risorse coinvolte e vorrei che la sua produzione continuasse” e “Sento che mantenere un NYT di qualità sia immensamente importante per l’intero paese”. Ora, e presumibilmente d’ora in poi, i lettori che contano di più per i giornali hanno innumerevoli possibilità di raggiungere un alto punteggio nella lista dei “Pochi ma buoni“…

Le persone che ragionano in questo modo sono sempre state una minoranza, oscurata dai “pacchetti” della carta stampata, ma resi dolorosamente visibili dai paywalls.  Quando un giornale abbandona il modello del paywall integrale, rinuncia a vendere la notizia come una semplice transazione.

Bisogna dare spazio a motivazioni non-finanziare e non-commerciali, come la lealtà, la gratitudine, la dedizione alla missione, un senso di identificazione con il giornale, il bisogno di preservarlo come istituzione piuttosto che come business.

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Le “soglie di accesso” sono maggiormente sperimentate nei giornali delle grandi città – New York, Chicago, Minneapolis. La maggior parte dei giornali però non sono come il Minneapolis Star-Tribune, piuttosto sono come lo Springfield Reporter, con un numero di copie distribuite sul cartaceo pari o inferiore a 20mila ed i cui contenuti sono in gran parte acquistati da Associated Press e United Media. Questi giornali non andranno mai bene per la lista dei “Pochi ma buoni”, perché producono pochi contenuti originali e non potranno percorrere la via finanziaria delle “soglie di accesso”  perché la quantità dei lettori maggiormente coinvolti (e quindi disponibile  a pagare) è insufficiente.

D’altra parte la cronaca locale è la sola forma di contenuto che il giornale locale produce, così è anche possibile immaginare un circolo virtuoso almeno per alcuni piccoli giornali, dove un nucleo di cittadini dalla mentalità civica interviene per finanziare il giornale in sostegno di una maggiore copertura locale, sia relativa alla politica che alla comunità.

è troppo presto per sapere che tipo di comportamenti i nuovi “core users” richiederanno ai loro giornali. Potrebbero iniziare col chiedere minori o meno intrusivi annunci pubblicitari rispetto ai lettori non paganti. Potrebbero richiedere ai giornali di rendere le proprie sezioni di commento più conversazionali (come il NYT ha appena fatto). Tuttavia il più importante cambiamento è che i lettori paganti sono piuttosto convinti di essere più coinvolti politicamente dei lettori medi.

Non vi è mai stato un mercato di massa per il buon giornalismo in questo paese. Quello che è stato creato è un mercato di massa per la pubblicità, insieme con un mercato di massa per l’intrattenimento, l’opinione e l’informazione; questi erano legati ad un impegno istituzionale di fornire una modica quantità di vero giornalismo. In quel mercato di massa, le opinioni dei lettori coinvolti politicamente non avevano molta influenza, essendo in inferiorità numerica rispetto a quelli che leggevano solo gli oroscopi.  Questo tipo di lettore andava bene per gli inserzionisti pubblicitari che hanno sempre preferito un profilo centrista e distante dalla politica per non allontanare i potenziali clienti. Quando i lettori politicamente impegnati sono anche gli unici lettori paganti la loro opinione dovrà contare maggiormente e in un modo che potrà contraddire il desiderio degli inserzionisti pubblicitari di avere una copertura leggera.

Ci vorrà del tempo prima che il peso di quei lettori potrà influenzare i giornali ma, lentamente, la forma dei giornali seguirà le richieste di chi li finanzia. Almeno per il momento, il più promettente esperimento in supporto degli utenti consiste nel rinunciare alla massa in favore della passione; questo potrà essere l’anno in cui vedremo in che modo i giornali premieranno le persone più impegnate per la loro sopravvivenza a lungo termine.