Donne e media, notizie e vertici parlano ancora al maschile

Nonostante livelli di qualificazione più alti, solo il 14% delle giornaliste riesce a raggiungere i gradi più elevati di carriera (direttrice, caporedattrice), contro il 27% degli uomini.

E’ uno dei dati di una indagine comparativa sui percorsi di carriera delle giornaliste e dei giornalisti italiani curata da Monia Azzalini per l’ Osservatorio di Pavia e presentata pubblicamente nei giorni scorsi nell’ ambito di un ricco lavoro di ricerca del Gruppo sulle Pari Opportunità del Consiglio nazionale dell’ Ordine dei giornalisti.

 

Oltre all’ indagine e ad altri materiali documentari, il Gruppo – coordinato da Luisella Seveso e composto da Giampaolo Boetti, Mariapia Farinella, Franco Nicastro, Silvia Resta e Barbara Reverberi – ha presentato anche ‘’Riflessi condizionati’’, un video sulla presenza delle donne nei media e sui media, realizzato sempre dall’ Osservatorio di Pavia (clicca sulla immagine per scaricare il filmato).

 

L’ analisi, fra l’ altro, denuncia come, anche se nel sistema televisivo il 58% delle conduttrici siano donne, ‘’in Italia più che altrove a far notizia continuano ad essere soprattutto gli uomini’’, come testimoniano i dati dell’ Osservatorio, secondo cui le donne citate o intervistate nel corso del 2011 sono state il 24%.

 

Un capitolo del filmato è dedicato al modo con cui il sistema televisivo affronta la questione della violenza sulle donne, il tema del ‘’femminicidio’’, con l’ uso di stereotipi che testimoniano la presenza diffusa di una cultura ancora fortemente arretrata.

 

In questo senso il Gruppo ha sollecitato l’ introduzione nella pratica e nella cultura giornalistica italiana della Carta deontologica relativa all’ informazione sulla violenza contro le donne elaborata dalla Federazione internazionale dei giornalisti e adottata anche dalla Fnsi (le Raccomandazioni della Ifj sono qui).

 

 

Qui le slide della Ricerca

 

Fra i materiali presentati dal Gruppo di lavoro anche una analisi sulla Rappresentanza femminile nella professione (i dati si fermano però al 2006, dal momento che in seguito gli Ordini regionali non hanno più raccolto dati di iscrizione per genere), che conferma una consolidata prevalenza delle donne nella professione e nelle scuole di giornalismo (sia fra le iscritte che fra le diplomate), ma la loro scarsa rappresentanza ai vertici degli organismi della categoria: solo 22 su 150 nel Consiglio nazionale dell’ Ordine, ad esempio.

 

 

Professione giornalista

 

 

Qui il Pdf dell’ indagine comparativa

 

Esperienze professionali in età lievemente più matura, ingresso ufficiale nella professione ritardato (una su 4 dopo i 30 anni, rispetto al 15% fra i maschi), anche se il periodo medio di ‘’gavetta’ è pressoché uguale. Per il 54% delle donne (il 50% fra gli uomini) il giornalismo era ‘’un sogno, una vocazione’’, ma una su cinque ha cominciato a fare questo lavoro ‘’per caso’’ e solo il 14% (rispetto al 19% fra gli uomini) ha intrapreso la professione per servizio/impegno civile, politico e culturale. E intanto rimane sempre arduo per le donne raggiungere il ‘’soffitto di cristallo’’, i livelli di vertice nelle testate.

* Per quanto riguarda i primi passi nel mondo del lavoro giornalistico, la maggior parte delle donne – rileva l’ indagine di Azzalini, attuata attraverso 76 interviste (di cui 50 a donne e 26 a uomini) – ha iniziato a lavorare con contratti di collaborazione (occasionale, coordinata e continuativa o altro), nel 48% contro il 27% dei casi maschili. La maggior parte degli uomini ha cominciato con il praticantato o lo stage: nel 46% dei casi contro il 16% dei casi femminili.

 

* Le “collaborazioni” sembrano caratterizzare il lavoro femminile sia in fase d’ingresso sia successivamente.
– In fase di ingresso, il contratto di collaborazione viene percepito da talune come un primo traguardo raggiunto, dopo periodi di lavoro in nero e/o sottopagato.
– Per quanto riguarda la permanenza nella professione con contratti di collaborazione, fenomeno che riguarda più le donne degli uomini, non vi sono abbastanza risposte che consentano di approfondire il fenomeno e di ascriverlo a ipotesi almeno teoricamente plausibili (i contratti di collaborazione consentono una maggiore flessibilità e dunque facilitano i problemi di conciliazione, storicamente un aggravio per le donne che lavorano?).

 

Lavoro nero, sotto-pagato o addirittura non pagato, gavetta lunga e onerosa sono i fattori che rientrano nella categoria più rappresentata degli ostacoli dichiarati all’ingresso e alla carriera nella professione giornalistica, in misura pressoché analoga per le donne (30%) e per gli uomini (31%).

 

Altri ostacoli individuati dagli intervistati sono:

 

– problemi di relazione con i colleghi e/o la redazione, ostacoli perlopiù percepiti dai giornalisti maschi;
– lobby, poteri forti (ai limiti della legalità), impedimenti riconosciuti più dalle intervistate donne che dagli uomini;
– crisi economica e occupazionale, problemi evidenziati soprattutto dagli uomini;
– essere donna, ostacolo indicato solo da giornaliste.

 

Una percentuale pari al 22% delle donne e al 23% degli uomini intervistati ha dichiarato di vnon aver incontrato ostacoli oppure solo problemi trascurabili nel proprio percorso di carriera.

 

Le donne che hanno riconosciuto nella loro appartenenza al genere femminile un ostacolo alla carriera, affermando così indirettamente di aver subìto una discriminazione di genere, sono tutte adulte (quarantenni e cinquantenni) o anziane (sessantenni o settantenni).

 

Le giovani (ventenni e trentenni) riconoscono di aver subìto discriminazioni di genere se poste di fronte alla domanda diretta, altrimenti indicano più facilmente come ostacoli all’esercizio della loro professione altre questioni come la gavetta lunga e onerosa o la precarietà del lavoro in un mercato che percepiscono come bloccato da lobby di potere e crisi economica.

 

Del resto, la più evidente disuguaglianza di genere emergente da questa indagine riguarda

– al di là della consapevolezza personale degli intervistati – i percorsi di carriera che evidenziano una certa resistenza del cosiddetto “soffitto di cristallo”, da cui, probabilmente, molte giovani sono ancora distanti, almeno dal punto di vista anagrafico.

Nonostante, mediamente, le donne intervistate siano più qualificate per formazione e titoli di studio conseguiti, solo il 14% di loro ha raggiunto livelli massimi di carriera giornalistica (direttrice, caporedattrice o dirigente nel pubblico impiego), contro il 27% degli uomini.

 

– Una maggior presenza femminile si riscontra fra i quadri, dove le donne sono il 26% contro il 19% degli uomini.

 

*Alla domanda ”Hai mai subito discriminazioni di genere? hanno risposto positivamente il 38% delle donne intervistate contro il 12% degli uomini.

 

I casi maschili sono solo tre, due dei quali connessi alla paternità o meglio alla scelta di viverla pienamente chiedendo il congedo di paternità. Il terzo è un classico caso di
discriminazione percepita sulla base di un pregiudizio negativo pertinente e discriminante, in realtà, le donne, come spiega esplicitamente la risposta fornita dall’intervistato:

Diciamo che in qualche situazione ho avuto un’arma in meno di un certo tipo di colleghe.

 

La casistica femminile è più variegata:

 

– alcune risposte sono essenziali, si limitano a un “sì” che nasconde forse la volontà da parte di alcune intervistate di non esporre la propria privacy.
– a compensare questi silenzi, ci sono racconti molto dettagliati che testimoniano discriminazioni sessiste gravissime subite da giornaliste di tutte le generazioni: dalle ventenni alle settantenni.

– Fra i silenzi e le testimonianze di discriminazioni molto pesanti, vi sono dichiarazioni più miti, di discriminazioni connesse a trattamenti iniqui, nelle retribuzioni o nelle opportunità di carriera, vissute in prima persona o percepite come fenomeno pertinente il lavoro femminile più in generale.